Nella mia troppo rapida incursione al paesello marchigiano, trovo conferma ad un paio di vecchie convinzioni. Sabato, mentre fumo una sigaretta meravigliandomi di essere
all’aperto, alle dieci di sera, senza aver bisogno di giacche e maglioni, incontro il vicesindaco. Il quale mi racconta di essere stato invitato da una trasmissione televisiva come quiz vivente. Ovvero, come personaggio misterioso di cui indovinare la professione giudicandolo dall’aspetto. In particolare, lui è stato scambiato per un idraulico.
Oggi apro il quotidiano e leggo un articolo di Jean-Paul Fitoussi. Ho deciso di ritagliarlo e di farne leggere la prima parte al vicesindaco (e già che ci sono la posto, visto che l’argomento identità resta prezioso per le cicliche, interminabili, discussioni sul nickname). State bene.
Un giorno che ero andato a prelevare Amartya Sen al suo albergo per accompagnarlo all´Ofce, mi sono sentito chiedere dall´impiegata alla reception
se fossi il suo autista. Dopo un momento di esitazione ho annuito. Tra le mie diverse identità della giornata, quella di autista le era apparsa in primo piano. Come sottolinea, non senza malizia, lo stesso Sen in «Identità e Violenza», (Laterza, 2006): «Benché in genere si tenda – per lo più implicitamente – a considerare una data identità come esclusiva, a mio parere quest´ipotesi è del tutto assurda. Uno stesso individuo ad esempio può avere la cittadinanza britannica e tratti somatici cinesi, essere di origine malese, agente di cambio, consumatore di carne, asmatico e linguista per formazione, praticante del body building, poeta a tempo perso, antiabortista, appassionato di ornitologia e osservazione astronomica, e credere che Dio abbia creato Darwin per mettere alla prova la fede degli uomini ». Basta un minimo di introspezione per rendersi conto che la nostra difficoltà a rispondere alla domanda su chi siamo deriva dalla complessità dell´intreccio delle nostre diverse identità e della loro architettura. Di fatto, chi sono io? E come posso accettare di veder ridotta quella che credo sia la ricchezza della mia identità a una sola delle sue dimensioni? Eppure è questa la filosofia sottesa al comunitarismo, che privilegia su tutte le altre una sola delle nostre identità, adottandola come criterio per organizzare la società in gruppi ben distinti.
nel dubbio io do del dottore a tutti(senza ridere),e aspetto la lezione
Si sa che ognuno di noi è uno-nessuno-centomila. Però ci sono contesti in cui può far comodo semplificare le cose, ridurre la complessità a un solo aspetto. Non si può mica limitarsi sempre a protestare “Lei NON sa chi sono io!”:-
Lippa, ma Harry Potter?
Nisba?
Allora forse bisogna far evolvere il comunitarismo in multicomunitarismo… (hai detto facile ;))
Non so perché, ma Amartya Sen (come, in piccolo, Alberoni) mi ha sempre dato l’idea di uno scopritore dell’acqua calda.
Poi, per l’amor del cielo, magari sono io che non capisco un tubo. Però…
Mi sfugge il nesso col nickname…
Io sono solo l’uomo più geniale nel metro quadro circostante, ma neppure sono riuscito a seguire il dibattito. Amartya Sen non è un premio Nobel di Economia?
http://essercidomani.blogspot.com
Credo che il valore di Alberoni risieda nella sua capacità di divulgazione, non certo nella sua acutezza. Sen invece è il tizio che ha inventato l’HDI, una misura del benessere un po’ elaborata adottata dalle Nazioni Unite e quindi molto prestigiosa. No?