INGINOCCHIARSI DAVANTI AL POTERE. DIARIO ELETTORALE, PARTE SECONDA

Chi parlerebbe del coro dell’Antigone, se riuscisse a prendere la scena? In altre parole: qual è lo stato delle cose nella comunicazione giornalistica? O ancora: perché, se un giornalista dell’Huffington post mi contatta su Twitter, scatto sulla difensiva scrivendogli che in presenza di alcune testate fornirò soltanto il codice fiscale? Quale rincorsa, verso quale baratro, impegna oggi i miei colleghi?
Permettete l’autocitazione. Era il settembre del 1992 e mia figlia assaggiava il primo omogeneizzato di frutta, e io stessa credevo che il futuro del giornalismo, e la sua qualità, fossero radiosi. Ma che un cambiamento si annunciasse era già evidente, e Internet non c’era ancora. Così, scrissi per Repubblica questo articolo:
“C’ era una volta (e neanche tanto tempo fa) una barriera che distingueva l’ informazione in austera e frivola, in quella destinata a restituire, attraverso la stampa quotidiana, una fotografia del reale e quella che all’ obiettività preferiva il teleobiettivo, da puntare su abbracci clandestini e tintarelle scollacciate. Come se, in anni di ideologie forti, il giornalismo “serio” avesse ripudiato con decisione l’ originaria e comune venatura pettegola, delegata una volta per tutte agli specialisti del settore: quei rotocalchi popolari che, scelto un bersaglio (nella stragrande maggioranza dei casi proveniente dal mondo dello spettacolo, e laureato Vip proprio dall’ attenzione dei quotidiani), ne scandagliavano il privato, spesso reinventandogli una personalità a forza di fotografie rubate e congetture maliziose. E là si chiudeva il cerchio, lasciando magari aperta la possibilità di suscitare curiosità in qualche intellettuale amante del kitsch: ma niente di più. Oggi questo sistema di vasi comunicanti è stato ribaltato: e, con forza maggiore nell’ estate appena trascorsa, i rotocalchi scandalistici sono divenuti serbatoi per le prime pagine dei quotidiani, dediti con improvvisa sollecitudine ai teletopless, agli adulteri coronati, agli amori fra regista- patrigno e figliastra-aspirante attrice. Cambia la richiesta da parte del pubblico o cambia la mentalità di chi fa informazione? Per Santi Urso, vicedirettore di quel Novella 2000 che si è rivelato il più saccheggiato fra i rotocalchi rosa, il fenomeno è sempre esistito: “Dobbiamo andare indietro di vent’ anni per non trovare sui quotidiani la notizia privata: mi rifiuto di credere che se il caso Allen fosse scoppiato, poniamo, nel 1987, non avrebbe avuto le prime pagine. E’ vero, semmai, che l’ ultima estate è stata fitta di avvenimenti. In sole tre settimane abbiamo avuto il bacio di Brigitte Bardot con il collaboratore di Le Pen, il piede della Ferguson e il topless di Lilli Gruber: è come vincere alla lotteria tre volte di seguito. Del resto, il costume si è modificato insieme alla società: nella seconda guerra mondiale Life metteva in copertina i carri armati. Se oggi in copertina c’ è il topless, questo è sintomo di pace e di libertà. E non necessariamente di frivolezza. L’ adulterio di Sarah, nel suo campo, ha una pertinenza paragonabile a Maastricht. Se non andasse in prima pagina, vorrebbe dire che è in atto una crisi gigantesca: una guerra, o qualcosa del genere. Ma ora come ora, se fossi il direttore di un quotidiano e dovessi pubblicare una foto di un somalo o una della Gruber, metterei senza esitare la Gruber. Anche la Gruber, magari: una foto così allontana l’ ansia”. Semmai, per Urso, i veri problemi sorgono quando a trattare certo materiale sono i non addetti ai lavori: “Quello che mi ha stupito in modo terrificante, e su cui mi piacerebbe interpellare l’ Umberto Eco della Fenomenologia di Mike Bongiorno è la storia dell’ alluce di Sarah Ferguson, su cui sono stati imbastiti fior di servizi. Ma non esiste nessun alluce: il suo partner le ha semplicemente baciato la pianta del piede. Non meno erotica, d’ accordo, ma di alluce non si parla: la foto è chiarissima”. Paolo Mosca, direttore del periodico rivale Eva Express, cita invece come determinante il caso Allen: “Perché, avendo come protagonista il regista- simbolo dell’ impegno, ha unito pubblico culturale e pubblico ‘ rosa’ , l’ intellettuale e il pettegolo; ognuno appagato da due diversi modi di trattare la notizia: quello del sociologo e il nostro, che avevamo, per altro, già anticipato sei mesi fa la rottura fra Allen e la Farrow. Bisogna poi considerare che l’ informazione italiana si sta inglesizzando, e che si va considerare che l’ informazione italiana si sta inglesizzando, e che si va dissolvendo la distinzione provinciale fra informazione di serie A e informazione di serie B. I telegiornali sono stati i primi ad adeguarsi e dare ampio spazio al cosiddetto ‘ rosa’ , anche se sarebbe più corretto parlare di notizie non di impegno politico, ma di rilevanza sociale. I tradimenti coniugali di Sarah e Diana hanno il loro risvolto di costume, denunciano che non esistono più aristocratici in grado di sostenere la seriosità della monarchia. Se anche i quotidiani si rendono conto di questo, è un fatto che serve a noi e a loro, e che fa guadagnare pubblico alla carta stampata rispetto alla televisione”. Che, per Mosca, è la causa prima del miscelarsi dei due pubblici: “Con il telecomando si passa tranquillamente dalla tribuna politica allo sport e al varietà. Il lettore non vuole più un ‘ canale’ solo. Trasferisce la stessa filosofia, la stessa decodifica del reale, dal piccolo schermo ai giornali”. Sede naturale, per Urso, della chiacchiera: “Mi dia un’ altra definizione di giornalismo che non sia pettegolezzo. La differenza è che in questo mestiere si può scegliere tra raccogliere voci o veline. Ma davanti al pettegolezzo io mi alzo in piedi: non avremo, come i francesi, un Voltaire cui fare riferimento, ma chi lo taccia di scarsa dignità culturale è in errore. E non sa coglierne l’ ironia”.
Ventidue anni dopo, siamo tutti in piedi. O meglio, siamo tutti in ginocchio. Perché il confine fra giornalismo e pettegolezzo è sfumato. E perché quel che allora ci sembrava incredibile oggi avviene: in gran parte, oggi giornalismo significa monitorare i social network per fare copia-incolla degli status più succosi, o polemici, e trasformarli in articolo. Non c’è quasi testata, on line o cartacea, che si sottragga. Dunque, torno a chiedermi: perché?
Mi viene in mente il Baudrillard de “La società dei consumi”, quando afferma: “la dimensione del consumo, così come l’abbiamo qui definita, non è quella della conoscenza del mondo, ma neppure più quella dell’ignoranza totale: è quella del disconoscimento”. Disconoscimento significa, in questo caso, non assegnare una scala di valori che non sia quella della “notiziabilità”, a sua volta fluttuante.
Mi viene in mente lo scrittore e social media strategist Ryan Holiday, la cui frase (scelta saggiamente da Giovanni Arduino) apre Morti di fama: “la rabbia e l’indignazione dei fruitori sono la base per il successo di molte operazioni commerciali”. Dunque, la notiziabilità deve essere collegata alla polemica.
Mi viene in mente quello che in quel pamphlet abbiamo sostenuto: la necessità di abbassare il livello, da parte dei media, per non sembrare minacciosi, per insinuare, fra le righe, che si è convinti che l’autorevolezza e la qualità sono fesserie, che chi scrive sta scrivendo per puro caso e che il lettore può prendere il suo posto quando lo desidera. Anzi, facendo il copia-incolla si dimostra che sono le tue parole, o lettore,  (poche, perché non c’è bisogno di scomodare di nuovo Tullio De Mauro per sapere che le stiamo perdendo) la vera notizia.  KISS,  Keep it Simple, Stupid!, Falla semplice, scemo.  La si è fatta semplicissima. E anche molto scema, come si può constatare.
Dunque, la sensazione che ho avuto in queste settimane è che la comunicazione giornalistica si stia arrendendo, nella gran parte, a quel che ritiene essere comunicazione di massa, e che credendo di esercitare un potere soggiace ad altri poteri. E il grande equivoco secondo il quale essere oggetto (sì, oggetto) di notizia è un valore in sè è quello che si è ormai diffuso presso i comunicatori. Questo, in altre parole,  è il cuore della recente polemica elettorale che è stata etichettata come questione di genere, e che questione di genere, invece, non è. Di questo, però, si parla domani. La parola, di nuovo, al coro (originale) di Antigone.
Oltre ogni umana credenza, il genio
dell’arti inventore possiede;
ed ora si volge a tristizia,
ed ora a virtú.
Se onora le leggi
dei padri, e degl’Inferi
il giuro, la patria egli esalta.
Ma patria non ha chi per colmo
d’audacia s’appiglia a tristizia.
Vicino all’ara mia
mai non s’annidi l’uom che cosí adopera,
e mai concorde al mio pensier non sia.

5 pensieri su “INGINOCCHIARSI DAVANTI AL POTERE. DIARIO ELETTORALE, PARTE SECONDA

  1. Grazie Loredana.
    Continuo a vedere realizzarsi (“avverarsi” non mi piace in questo caso, ché la verità c’entra poco) quello che si diceva e si scriveva tra i situazionisti. Cose da professorone, da intellettualoide da strapazzo, cose così – che comunque rimangono scritte, alla faccia di chi (mi) appioppa definizioni che vorrebbero offensive.
    Io continuo a parlarne. Vedo che serve più che insultare.
    Dàje.

  2. Il confine tra produttori, distributori e fruitori di notizie si è ormai disciolto; l’accesso al web senza la necessaria comprensione per utilizzarlo ha prodotto questa confusione attuale nella quale ogni opinione vale un fatto, ogni scazzo da tastiera un titolo: una tale quantità di rumore bianco in grado di sovrastare qualsiasi melodia.
    Paradossalmente però questo ha prodotto anche aree estremamente specializzate dove discussioni, idee e notizie vengono scambiate in maniera più ordinata, diretta e dove l’unico valore è la credibilità di chi scrive.
    Credo che i canali di diffusione dovranno cambiare, specializzarsi, trovarsi il proprio pubblico perché, rimanendo generalisti e cercando di rivendicare lo status di comunicazione di massa ormai fagocitato dai social-network, saranno sopraffatti dalla marea di chiacchiericcio e opinioni personali passate per “notizia scoop prima che la censurino”.

  3. Costruire delle notizie saccheggiando i profili social dei soggetti interessati risponde anche a criteri di efficienza economica legati al prodotto. In tempi di crisi, per un giornalista saccheggiare facebook non costa nulla, sia perche’ e’ una fonte illimitata di notizie a costo zero, sia perche’ non costa nulla in temini di sforzo. Non e’ necessario recarsi dove gli eventi hanno luogo, cercare fonti e lavorarci per farle diventare notizie. Basta accendere il PC e fare copia-incolla. Nel flusso ininterrotto di fatti la vita media di una notizia è brevissima, non vale la pena di perderci del tempo per confezionare notizie di qualità. A questo va aggiunto una scarsa considerazione del pubblico delle notizie, naturalmente.

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