“Consentitemi un riferimento a una delle grandi, forse la più grande, delle tragedie classiche, Antigone: non combattere battaglie che non sono le tue battaglie. Nella mia idea di Antigone, abbiamo Antigone e Creonte. Sono solo due sette della classe dirigente. Un po’ come Pasok e Nuova Democrazia. Nella mia versione di Antigone, mentre i due membri delle famiglie reali stanno combattendo tra loro, minacciando di mandare in rovina lo Stato, mi piacerebbe vedere il coro, le voci delle persone, uscire da questo ruolo stupido di mero commento saggio, impadronirsi della scena, costituire un comitato pubblico di potere del popolo, arrestare entrambi, Creonte e Antigone, e dare vita al potere del popolo”.
Così Slavoj Žižek due anni fa, in un intervento alla convention di Syriza ad Atene. L’auspicio è bello, ma quale è il lavoro da fare per arrivare a far sì che il coro sia in grado di darsi voce invece di essere contrappunto alle voci principali?
“Te lo si conta noi, com’è che andò. Noi che s’era in Piazza Rivoluzione”, direbbero i Wu Ming (e per motivi comprensibili non ho ancora parlato de L’Armata dei sonnambuli, che molto ha a che fare con i nostri tempi).
Ve lo conto io, allora, da oggi: o almeno ci provo, a giudicare da quanto ho visto in queste settimane.
C’è dunque una parte del coro che sembra parlare molto. E che anzi sembra non fare altro. E che anzi ancora piomba a capofitto dove si parla di più, gridando più forte fino a che non si riesce a cogliere una sola parola, ma che importa? Che importa se la discussione si perde, e la complessità viene ridotta a slogan, che importa visto che più del bersaglio conta quell’istante in cui verrà percepita la mia voce?
Questa è una delle problematiche più dolenti. Riguarda molto da vicino anche i femminismi, da ultimo: che in queste settimane, almeno in molti casi, hanno visto ridursi la complessità del pensiero appunto a slogan, e che dei narcisismi son stati, in alcuni casi, preda. Per il tempo e il modo, non per i contenuti: ma dal momento che tempo e modo contano assai, i contenuti stessi hanno perso forza. Almeno in rete, perché dal vivo (ve lo posso contar io, memore di una discussione non dimenticabile al Maurice di Torino) così non è. E su questo si tornerà, fatalmente e, visto che le apparenti libere scelte sono spesso una questione di potere, foucaultianamente.
Poi c’è un coro che tace perché nessuno ascolta, o se ascolta dimentica subito. Penso alle due anziane donne del Villaggio Lamarmora a Biella. Case popolari, una chiesa, slarghi con erba gialla. Due donne che sono salite da Salerno, anni e anni fa, e in famiglia siamo sette, e il lavoro, signora, non c’è. Penso alla ragazza di Novara, che pone una mano sul mio braccio e dice che sì, Amazon mette i braccialetti ai magazzinieri, ma anche qui, c’è un ipermercato sai?, fa la stessa cosa. I braccialetti che contano i passi, e valutano il ritmo, e se il ritmo cala, ciao, sei fuori. Penso a Maria Baratto di Acerra, anni 47, operaia in cassa integrazione del reparto logistico Fiat a Nola, suicida sette giorni orsono mentre noi si contava, e con noi tutti gli altri – inclusi i responsabili – che si è persa la dignità del lavoro. Penso al film dei fratelli Dardenne, e alla fabbrichetta di pannelli solari che deve ristrutturare, e dunque licenzia la dipendente e chiede ai colleghi di votare a favore del provvedimento in cambio di un bonus di mille euro. Due giorni, una notte, e la nostra fotografia: condannati a dire grazie in cambio delle briciole che cadono dalla tovaglia, e pensa se non ci fossero neanche le briciole, e poche fisime, per favore, che siamo in crisi.
Allora, per ridare parole a quella parte del coro che non le possiede, e per far sì che quella che dice di parlare in suo nome infranga lo specchio in cui viene condannata a riflettersi, il lavoro è lungo. E per proseguirlo bisogna ripulire l’aria dai veleni che siamo così abituati a respirare da considerarli la più fresca delle brezze. Fine primo capitolo, fine dell’Antigone originale:
I gran vanti
dei superbi, da duri castighi
colpiti, ammaestrano
troppo tardi, a far senno, i vegliardi.
Grazie per la quote di Žižek, che ti ho sentito citare live (al Caffè Basaglia di Torino) e che ha fatto “clic” nel mio cervello. Di ritorno a casa, ho concepito questo:
http://www.marianotomatis.it/blog.php?post=blog/20140519
Hai indicato una quarta dimensione preziosa.
“Amazon mette i braccialetti ai magazzinieri, ma anche qui, c’è un ipermercato sai?, fa la stessa cosa. I braccialetti che contano i passi, e valutano il ritmo, e se il ritmo cala, ciao, sei fuori.”(non si uccidono cosi` anche i cavalli?)
http://youtu.be/-1VBLYRki74
Dove ho svolto il mio lavoro era molto,molto peggio.E non è stato un gran problema se non per loro.Da parte mia gli ho dato un calcio ben assestato là dove se lo meritavano,a mio parere.In ogni caso a Te ho preferito la Mercedes,spero non ti dispiaccia più di tanto.In quanto non eletta forse è meglio così.Avrai probabilmente più tempo da dedicare alle amiche.L’amicizia è una delle cose,quando autentica,più preziose nelle relazioni tra esseri umani.Ciao,Massimo Giorgio.
Io ho dei dubbi che esprimo così: intanto mi fa piacere sapere che scriverai a proposito delle discussioni avvenute ultimamente, e spero che qualcuno di Tsipras chiarisca la questione, che mi interessa non solo in quanto elettore. Poi ho un problema con quest’idea del potere del popolo, come se il popolo fosse buono. Infine penso che non qualcosa non torna quando sento parlare di dignità del lavoro. Ascolto molte persone nelle varie manifestazioni dire “ci hanno tolto la dignità” quando stanno perdendo il posto di lavoro, e penso che sia una sorta di meme malefico che si diffonde inconsapevolmente. Nessuna persona è degna o non degna se lavora o meno. Certi posti di lavoro non andrebbero difesi. Non so se è possibile, magari qualcuno può spiegarmelo, visto che si parla in varie forme di reddito di cittadinanza, ma penso che inseguire il dramma del posto di lavoro non porti a molto. Se una fabbrica per stare sul mercato o per inseguire maggiore profitto licenzia o delocalizza non è il problema. Da una forza di sinistra vorrei sapere se è possibile avere un’alternativa alla dipendenza dal lavoro. Se è possibile che il popolo, invece che unirsi per il potere unisca i propri redditi.
Caro Stefano, non so a quali discussioni tu ti riferisca. Io ho intenzione di scrivere in generale del rapporto fra potere, individuo e comunicazione, e di femminismi. Per quanto riguarda “le discussioni” non intendo entrare in alcuna cornice altrui. Per quanto riguarda il lavoro, in tutta onestà mi sembra molto strano non comprendere la differenza fra lavoro dignitoso e schiavismo strisciante o mascherato. Un caro saluto.
Sì certo, ma sarà possibile anche parlare infischiandosene della cornice, visto che io sono abbastanza intelligente da tenerla da parte e immagino che chi ti legge lo stesso, gli altri peggio per loro. Quindi niente, aspetto e leggo. Per quanto riguarda il lavoro so bene cos’è lo schiavismo strisciante, ma il punto è che una persona neanche dovrebbe metterseli i braccialetti. è possibile fare in modo che questa persona non sia posta in condizione da dover accettare i braccialetti? Poi, un discorso sul ruolo dei consumatori sarà da farsi anche in ambito politico no? Proprio su youtube c’è una serie di interventi caricati da Daniela Padoan sulla produzione di animali per l’industria alimentare, che è un tema che se non coinvolge le persone in quanto consumatori non ha molto futuro. Ma per tornare al lavoro e alla dignità per me non è accettabile che il problema di una persona disperata ( e forse suicida in relazione a ciò ) sia aver perso il posto di lavoro o il mancato reintegro come chiedono i colleghi di Maria B. Come se la vita di una persona fosse solo quel posto di lavoro. Oltretutto in molti casi stiamo parlando di lavori di merda. Penso che sia un grosso sbaglio. Che senso ha pretendere diritti da un’azienda che si disprezza? Non ne sto facendo una questione con te, non so dove altro scrivere.
Poi come si faccia a preferire una mercedes è un mistero insondabile.