Dodici anni fa Giuseppe Marcenaro scrisse un libro prezioso, Testamenti, per Bruno Mondadori (suppongo si trovi solo nell’usato). Ci sono molti ritratti e molti ricordi. Scartafacci, li chiama. “Ho rinvenuto lettere inedite, fino ad oggi serbate con discrezione. Scartafacci. Lacerti da libri. Appunti senza senso. Ho scoperto così che la mia parte di eredità di un mondo perduto altro non è che il piacere di una ritrovata conversazione”.
In quella conversazione ci sono anche piccole storie che ci aiutano a capire l’oggi. Per esempio. Quando Gabriela Mistral, poetessa cilena, riceve il Nobel nel 1945, Camillo Sbarbaro si siede a tavolino e riempie di improperi scritti a matita la pagina di una rivista con i versi di Mistral. Certo, è la conferma del fatto che meschinità e invidia allignano ovunque, anche se oggi quello che era un privato insulto a matita diventa discorso pubblico, a disposizione permanente di decine di migliaia di persone, e naturalmente ogni accusa di risentimento personale viene negata.
In quel libro, inoltre, Marcenaro racconta un’altra storia, quella di Lucia Rodocanachi, la traduttrice fantasma, o négresse inconnue, come Montale la chiamava: un concetto che, sia pur sottotraccia, è ancora presente, e forse più presente che mai. L’idea, ovvero, dell’amica e sostenitrice del genio, pronta a sacrificare il proprio talento in favore di quello altrui: vicenda dura a morire. Come molte “farabuttate”, del resto.
Qualche esempio, tratto dal libro, da meditare nel week end.
9 maggio 1933. Eugenio Montale a Lucia Rodocanachi:
“Vittorini deve consegnare fra non molto la traduzione del St.Mawr di Lawrence a Mondadori, con l’appendice di un’altra novella. In tutto 300 pagine, delle quali ha fatto 150; altre 150, tutte di St.Mawr, restano da farsi e il tempo stringe. Acceteresti di farlo tu, solo letteralmente, a tamburo battente? Vittorini ti manderebbe il libro e alcune delle parti già fatte sia per darti modo di anticipare alcune caratteristiche del suo “stile” (!) nel pezzo che farai tu, sia perché tu corregga qualche strafalcione che gli sarà certo sfuggito (…). Per questo lavoro Vittorini ti darebbe solo 500 lire (da riceversi presto: fra un paio di mesi), dato che lo pagano ancora poco, ma in seguito ti darebbe (se faranno altri lavori, come Mondadori vuole) anche 1000, cioé più della metà. Naturalmente l’accordo dovrà restare segreto”.
24 maggio 1935, Elio Vittorni a Lucia Rodocanachi, dopo la pubblicazione del Serpente piumato, di cui Lucia traduce circa 300 pagine su 400:
“Anche questo secondo libro è venuto fuori come mio solo, per inerzia, perché non sono stato capace di avvertire, come desideravo, che c’era lei in collaborazione”.
E, dopo averle sollecitato le versioni di Wintry Peacock, Samson and Delilah, Primrose Path, Tickets please, The ghost in the rose garden, aggiunge:
“Faccia presto, per piacere…Sento che c’è quasi una punta di sfruttamento, in questo, da parte mia. E mi consolo al pensiero che anch’io sono sfruttato da parte dell’editore e di tanti”.
Carlo Emilio Gadda a Lucia Rodocanachi:
“Credo mi affideranno la traduzione di The way of all flesh di Butler, potremmo fare il lavoro ” in collaborazione”? Mi mandi s’il vous plait una pagina manoscritta con la trama o per meglio dire schema: – p.es. X sposa Y e divorzia da Z, ecc.- affinché possa parlarne con l’editore senza fare qualche brutta figura. Potrebbe “prepararmi” all’incontro con l’editore anche su J.W.Dunne, The New Immortality e Lancelot Hogben, Science for the Citizen?”.
Eugenio Montale a Lucia Rodocanachi:
“Dimmi se potrai tradurre Green Mansions di Hudson: non mi occorre una traduzione accurata ma completa, in modo che la mia revisione possa essere solo stilistico formale…Dimmi che effetto ti fa l’Hudson, se è degno della fama- e non parlare a nessuno”.
Eugenio Montale a Lucia Rodocanachi:
“Tradurresti un libro inglese con Zampa? Però come firma…illustre figura lui solo”.
Camillo Sbarbaro a Lucia Rodocanachi (sulla traduzione di À rebours di Hysmans che le propone):
“Ma acqua in bocca, perché il nome del traduttore sarà il mio. Farabuttate…”
Lucia Rodocanachi, scrive Marcenaro, “morì il 22 maggio 1978, nel tardo pomeriggio. Piovigginava. Faceva caldo. L’aria pesante. Nella notte, sul davanzale della camera ove Lucia era composta, venne a posarsi una civetta. Compì due o tre piccoli passi e poi volò via. Perdendosi nel buio, oltre gli ulivi”.