INTERLUDIO PRIMAVERILE: AVANZARE DALLA RETROGUARDIA.

Tornare da una settimana secca di trasferta, che include quattro densissime dirette da Tempo di Libri, significa riposizionare i pensieri, guardarsi intorno, cercare di capire cosa è accaduto nel frattempo. Nulla, ovvero. Se non il prosieguo delle già citate fratture fra “intellettuali” e “popolo”. Ieri sera leggevo uno status amaro di Grazia Verasani, dove scrive, fra l’altro:
“Sembra quasi che leggere un libro sia diventata una posa, che lo scrittore sia un nemico, e che ci sia una separazione netta tra chi vive (male) e chi fa cultura (come può). Due mondi che sono all’opposto, che si fanno persino la guerra”.
Nella mia rubrica su Repubblica di domenica scorsa, ho citato una frase di Giaime Pintor, tratta da una lettera al fratello del 28 novembre 1943. Diceva così:
“Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono quando le preparano i poeti e i pittori, purché i poeti e i pittori sappiano quale deve essere la loro parte”.
E’ un rovesciamento quasi totale: oggi, i poeti e i pittori, in effetti, sembrano essere al momento la zavorra, il simbolo della non comprensione del mondo. Il “voi letterati” sibila, fra le righe, anche da parte di chi coi letterati infine collabora. Ma come?, dirà il commentarium, torni da una Fiera del libro con questi pensieri? E’ proprio perché torno da una Fiera che ho questi pensieri, in effetti. Perché in quattro giorni di isolamento, circondata da romanzi, poesie, saggi, fumetti, scrittori, editori, lettori, anche, quel che riporto dentro di me è la sensazione di isolamento (non uso “accerchiamento” perché fuori c’è il sole, e tutto sommato conservo il mio insano ottimismo). Continuo, infine, a pensare che quello a cui i poeti e i pittori di cui parlava Pintor dovrebbero fare è contribuire a ricostruire una visione del futuro. Proprio per questo, in segno di speranza, posto qui un vecchio scritto di uno scrittore saggio, che il senso delle cose lo aveva ben chiaro. Ben ritrovato, commentarium.
“Per quanto riguarda le visioni del futuro, credo sia meglio che ci si cominci a preoccupare del giorno di domani, quando, si suppone, saremo ancora quasi tutti vivi. In realtà, se nel lontano anno 999, da qualche parte in Europa, i pochi saggi e i molti teologi che c’erano allora avessero provato a prevedere come sarebbe stato il mondo da lì a mille anni, credo che avrebbero sbagliato su tutto.
Nonostante ciò, credo che una cosa l’avrebbero più o meno indovinata: che non c’era nessuna differenza fondamentale tra il confuso essere umano di oggi, che non sa e non vuol chiedere dove lo portano, e la terrorizzata gente che, in quei giorni, temeva di essere vicina alla fine del mondo. In confronto, ci sarà un numero maggiore di differenze di tutti i tipi tra le persone che siamo oggi e quelle che ci succederanno, non tra mile, ma cento anni. In altre parole: è probabile che noi abbiamo, oggi, molto più in comune con quelli che hanno vissuto un millennio fa rispetto a quello che avremo con quelli che da qui a un secolo vivranno il pianeta… Il mondo sta finendo adesso, siamo al tramonto di ciò che mille anni fa stava appena sorgendo.
Adesso, mentre finisce o non finisce il mondo, mentre cala o non cala il sole, perché non dedichiamo il nostro tempo a pensare un po’ al giorno di domani, in cui quasi tutti noi saremo ancora felicemente vivi? Invece di queste proposte forzate e gratuite sul e per l’uso del terzo millennio, che, da subito, lui stesso si occuperà di trasformare in nulla, perché non decidiamo di proporre alcune idee semplici e qualche progetto alla portata di qualsiasi comprensione? Queste, per esempio, nel caso in cui non ci venga in mente niente di meglio: a) Avanzare dalla retroguardia, ossia, avvicinare alle prime linee del benessere le crescenti masse di gente lasciate indietro dai modelli di sviluppo in uso; b) Creare un nuovo senso dei doveri umani, rendendolo correlato al pieno esercizio dei proprio diritti; c) Vivere come sopravvissuti, perché i beni, le ricchezze e i prodotti del pianeta non sono inesauribili; d) Risolvere la contraddizione tra l’affermazione che siamo sempre più vicini gli uni agli altri e l’evidenza che ci troviamo sempre più isolati; e) Ridurre la differenza, che aumenta ogni giorno, tra quelli che sanno molto e quelli che sanno poco.
Credo sia dalle risposte che daremo a questioni come queste che dipenderà il nostro domani e il nostro dopodomani. Che dipenderà il prossimo secolo. E il millennio intero. A questo proposito, si torni alla Filosofia”.
José Saramago, Quaderno, 25 marzo 2009

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