INVITI, RINGRAZIAMENTI E UNA LETTURA

Primo. Questo pomeriggio, potendo, fate un salto qui. E’ importante.
Secondo. Devo ringraziare subito due (per ora) donne che mi hanno fatto domande belle, intelligenti, stimolanti. Una è Elisabetta Bucciarelli, l’altra Seia Montanelli. Interviste: su Booksweb e sul Corriere nazionale (quando scopro come si fa, vi allego l’intervista in pdf).
Terzo. Marino Sinibaldi scrive oggi un elzeviro su La Stampa. E io ve lo porgo subito.

È vero, continuare a ragionare sui dati della lettura in Italia rischia ormai di generare solo più noia. E disorientamento, se agli allarmanti dati Ipsos-Mondadori (i lettori ridotti al 38% degli italiani) si sovrappongono quelli stranamente ottimisti del Censis (tra il 52% e il 59%, «su livelli finalmente degni di un paese civile»). O se al disinteresse di politici e intellettuali (persino di quelli che pubblicano libri!) si oppone la appassionata e divertita partecipazione con cui gli ascoltatori di Fahrenheit hanno discusso di libri, prezzi e librerie (l’occasione è stato il Disegno di legge sull’editoria che «liberalizzerebbe» lo sconto, almeno fino al 15-20% e le polemiche che La Stampa ha riportato).
D’accordo, si tratta dell’élite dei frequentatori di Radio3. Però non è irrilevante la veemenza con cui difendono il pluralismo delle librerie indipendenti messo a rischio dallo sconto libero ma anche la sincerità con cui confessano di essere (pure loro, l’élite!) molto molto influenzati dal prezzo e dallo sconto. Quello che appare irrinunciabile è la misura umana della libreria come luogo di incontro e di relazioni. Ma in fondo, ha scritto la più eretica delle ascoltatrici, le grandi librerie supercommerciali sono più democratiche, senza il sussiego a volte respingente del libraio supercompetente. Chissà a chi pensava.
Comunque sia, davvero la parola chiave è democrazia. E l’handicap di partenza è la lunga tradizione «ferocemente antidemocratica» di cui ha parlato nel suo elzeviro Gian Arturo Ferrari. Per questo la distrazione o la superficialità della politica è grave. Non vorrei ridurre tutto a uno slogan, ma a me sembra ovvio che in un paese che legge così poco non si riesca seriamente a discutere né di omofobia né di lavoro.
E che non si sviluppino culture politiche anche radicalmente contrapposte ma, insomma, culture e non barriti ideologici o chiassose messe in scena. Non so se l’allusione finale di Ferrari (ci pensino le istituzioni o faremo da noi editori) vuole suonare come una minaccia o una promessa. A noi altri (nel senso di lettori, pochi o tanti, 38% o 59%) in fondo basterebbe poco: meno festival magari ma più librerie grandi e piccole, specie dove non ci sono ancora, biblioteche sempre aperte specie dove si legge di meno, iniziative di promozione solo dove ce n’è bisogno (nella scuola e tra i giovani e giovanissimi), un po’ più di attenzione dei media anche se non siamo né tassisti né camionisti. Strano che cose così semplici siamo tanto difficili da fare.

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