IO HO PAURA, PER ESEMPIO

Diciamo le cose come stanno. Io sono una di quelle che ha paura di riprendere la vita di prima. Prima che insorgano  le e i vitalisti, che nei mesi scorsi tacciavano di imputridita pavidità chi non faceva feste in terrazza dando loro dei morti viventi, chiarisco che non si tratta di paura della malattia. Quella c’è sempre, in sottofondo, anche perché non è che non esista, la malattia, nonostante quanto si è detto e si dirà. E’ proprio il timore di riprendere esattamente quel che facevo prima, il dove eravamo rimasti, piglia un treno e poi pigliane un altro, sii ovunque, spenditi, presenzia, sorridi, fai una giravolta e fanne un’altra, non rifiutare mai un invito, e via così.
Dico un’altra cosa. Nonostante la paura, farò e sarò. Fra poco arriva Gita al faro, e sono felice che arrivi, per esempio: ma la paura ci sarà lo stesso. So che, a dispetto dell’isola che cura, sarò smarrita e stordita nel prendere l’aliscafo e guardare fuori. So che nei prossimi giorni, quando finalmente rivedrò dal vivo alcune amiche, quello smarrimento e quello stordimento ci saranno. Non passano invano, i mesi che abbiamo alle spalle. Non possono non incidere su quello che siamo, soprattutto se non si è, come nel mio caso, giovani o almeno di mezza età. Ma non è solo questo. E’ che, come ho già detto, non sento affatto la necessità di tornare nella competizione in quei termini. Anche perché, ed è una faccenda di cui mi sono resa conto in questi ultimi tempi, nella competizione io, e molti come me, non solo generazionalmente come me ma anche, sono perdenti. Non abbiamo gli strumenti per comunicare nel modo giusto, dare spintoni nel modo giusto, chiamare la luce dei riflettori nel modo giusto. Apparteniamo a un altro secolo e, per giunta, a quel pezzetto di generazione che non briga e non intriga, e semmai paga il conto di chi lo fa. E allora, mi chiedo, ha senso? Serve? Va fatto davvero o si può cominciare a pensare al tempo in modo diverso, impiegandolo per scrivere, leggere, pensare, condurre, certo, ma facendolo meglio? E, ancora, essere più vicina alla mia famiglia, gatti e piante inclusi?
Dico una terza cosa: non è giusto ridicolizzare la paura, e le incertezze. Non siamo, non tutti, obbligati allo sprint. Per chi può, ovviamente, permetterselo, esiste una faccenda che si chiama scelta. E le scelte consapevoli vanno rispettate.
Dico l’ultima cosa. La dicevo anche un anno fa, quando si parlava di fase tre. Gli aperitivi mi piacciono ma non è che senza non vivo. E sento parlare solo di quelli. Le persone escono per centinaia di motivi: lavoro, per esempio, portar fuori i bambini, visite mediche, spesa, e, anche, volendo, incontrare parenti e amici. Sembriamo invece un popolo di fissati per lo spritz, i drogati della fata arancione, come se vivessimo in un perenne aggiornamento dell’heure verte. Tutti Verlaine. O tutti Zola, di contro, che protestava contro la dissoluzione e i guasti dell’assenzio. Ma almeno Zola ha scritto Germinale. Vale la pena di ricordarlo, ogni tanto.

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