LA BORSA KELLY E IL VESTITO STRAPPATO: LA PRIORITA’ DELLE NOTIZIE

Certo, è facile. Ed è proprio quella facilità che mi resta addosso da ieri pomeriggio, quando sugli schermi sfilavano le immagini dei funerali di Stato per Silvio Berlusconi e da alcuni profili Facebook arrivavano le notizie di quel peschereccio affondato nelle acque greche, carico di oltre settecento persone. Mi sono detta che non era possibile che quella notizia, che solo oggi ha conquistato una posizione rilevante sui giornali ma che ieri era relegata molto molto in basso, venisse tralasciata. Mi sono detta che così è troppo, che neanche il più ardito fra i romanzieri avrebbe cercato un effetto del genere.
Ma proprio perché è troppo e perché è facile bisogna dirlo.
E dunque, da un lato la cronaca del chi c’era. Non solo. La cronaca di come erano vestite le partecipanti al funerale, e chi di loro avesse rispettato il dress code. E dunque: camicia di voile, velette di pizzo, cerchietti neri in pelle, décolleté Christian Louboutin, collane di perle, Kelly di Hermès nera, mini bag nera Candy Jodie Micro di Bottega Veneta.
Sto copiando e incollando. Non invento.
Dall’altra. Non lo so, non immagino, non posso. Scrivo quel poco che è noto.
Sembra che ci siano cinque fasi, nella morte per annegamento.  La prima è la sorpresa. Il tonfo in acqua. Il freddo. Aspirare aria. Unico atto inspiratorio riflesso. L’ultima boccata. Poi, la resistenza: la glottide si serra, implora l’apnea, resiste per un minuto. Infine, ogni difesa viene meno. Cominciano i respiri. Profondi, affannosi. L’acqua si riversa a torrenti nei polmoni e nello stomaco, la coscienza si spegne, mentre le labbra continuano ad aprirsi e il cuore rallenta fino a fermarsi. Dura dai tre ai cinque minuti in acqua dolce, dai sei ai sette in acqua salata.
E se dobbiamo parlare di oggetti, rispondo con quelli che ho visto, nel 2016, a Lampedusa. Gli oggetti, dicono le donne e gli uomini di Askavusa “trattengono e rilasciano energia”.  Porto M non è un museo della memoria.  Tu entri, nei locali che danno sul mare, percorrendo vicoli e scendendo scalini, e inizialmente sbagli, perché sei pur sempre una straniera, e pur sempre ti porti dietro la schizofrenica mentalità della viaggiatrice, che in parte osserva e in parte mantiene e alimenta la postura della turista, quella che si siede ai tavolini e chiede una granita di gelsi e mandorla, perché no? E dunque entri, alzi gli occhi alla parete e dici: oh, guarda, vendono vestiti.
Poi vedi che il primo vestito sulla sinistra, quello azzurro con dolci venature di bianco ha uno, due, molti buchi e strappi, e che quei buchi e strappi non sono la malintesa estetica di uno stilista, ma sono, forse – perché non puoi saperlo – l’effetto di un impiglio, nel senso di un impaccio davvero, di un tragico impaccio. Dove? Sullo scafo? Nel trasbordo? Su uno scoglio? Sono, l’abito azzurro e quello a fiori e quello nero, e la maglietta e i jeans, gli abiti dei migranti. Quelle appese all’ingresso, sopra le nostre teste, sono le loro scarpe: da ginnastica, sandali, basse da donna. Sugli scaffali ci sono i loro oggetti: bottiglie, boccette, barattoli che sembrano di conserva. Ci sono le bottiglie di plastica. I giubbotti di salvataggio. I libri. La Bibbia, il Corano, altro. Sono gonfi d’acqua.
Questo non è un museo.
Racconta Giacomo Sferlazzo che nel 2005, anno di nascita del collettivo Askavusa, trovò per la prima volta alcuni oggetti. Altri ne avrebbero poi trovati nelle discariche e sulle spiagge. Il post è lungo, duro, va letto integralmente.
Tu, straniera che sei, non puoi che entrare e guardare e provare a ridire. Non è un museo, non può esserlo, e non è esattamente memoria, perché Ustica, per esempio, è accaduta, anche se ancora tutto quanto resta irrisolto pulsa come un cuore nero e irradia oscurità nella nostra storia presente. Qui tutto sta ancora accadendo, e visitare Porto M, e parlare con le donne e gli uomini di Askavusa semina dubbi, aumenta i dubbi,  ti fa chiedere: cosa faccio qui, e perché, e come potrò dirlo e quale verità dirò?
Adesso posso dirlo.
E quel che mi fa malissimo è il modo in cui si è ritenuto che uno dei più spaventosi naufragi del Mediterraneo sia stato messo da parte per ore in favore di una borsa Kelly. Ce ne ricorderemo, di questo pianeta.

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