PER CORMAC MCCARTHY: UNA NOTA

Piango, come molti e molte, Cormac McCarthy, che ci ha portato nei suoi anni di scrittura ai vertici assoluti della letteratura. Dicendoci che la letteratura non consola, ma scandaglia negli abissi per mostrarci chi siamo e cosa abbiamo fatto.
Come scrive oggi Nicola Lagioia su La Stampa:

“Vibra, nella trama invisibile della sua lingua, come una matematica segreta, un codice speciale, una geometria per niente ordinaria che ci fa vedere e sentire ciò che altrimenti ci sarebbe precluso. Quando leggi James Joyce, quando leggi Virginia Woolf, quando leggi Emily Dickinson, quando leggi Amelia Rosselli, quando leggi Franz Kafka, quando leggi Cormac McCarthy non sei solo al cospetto di grandi scrittori capaci di emozionarti in modo classico (i classici, se mi si perdona il gioco di parole, non hanno nulla di classico). Nella profondità di quelle emozioni capita di sentirsi infatti scardinati quasi a livello genetico. Per un attimo non ci chiediamo più soltanto come funzionano il coraggio, la passione, la vigliaccheria, la meschinità, l’invidia, il servilismo, la grandiosità che muovono la nostra commedia di umani. In maniera sottile, ci ritroviamo ad addentrarci in un territorio ben più misterioso dove non sono più i simboli a parlare, ma le correnti elettriche e nervose. Cosa ci rende umani? Cosa ci rende animali? Cosa ci rende terrestri nel bel mezzo di una galassia roteante?

Soprattutto nell’ultimo, meraviglioso romanzo, Il passeggero, McCarthy mostra come un mondo, il mondo dei padri, si sia sgretolato. Travolgendo chi non vuole essere come loro, e dunque non vuole concepire bombe e morte. Travolgendo soprattutto una donna, Alicia. Ma mostrandoci anche, grazie al personaggio del trans Debussy, come altre possano essere le vie. E’ un romanzo, almeno per me, che mostra tutte le incrinature del maschile. Fra le altre cose, certo: perché se crolla un sistema, è il sistema concepito dagli uomini.

Molti anni fa, durante una puntata di Fahrenheit, Tommaso Pincio presentò Suttree. E mi disse: “Mi aspettavo che tu mi facessi una domanda sullamisoginia di McCarthy“.  In realtà, non ci avevo nemmeno pensato: perchè il mondo senza donne, il mondo spesso primitivo di McCarthy, dal mio punto di vista non si è mai associato alla misoginia. Ammesso che abbia senso parlarne. Neanche ne La strada, che prefigura un’apocalisse dove il femminile è espulso o ridotto alla funzione materna (peraltro, limitata al parto).  Perchè il punto di vista del narratore, per me, è un altro: mostrarci la crisi. Non c’è nulla, nulla di intenzionale e peggio ancora di didascalico nella sua scrittura (e grazie al cielo): c’è quello che fa la grandissima letteratura, mostrarci chi siamo, e scagliare quell’immagine in un gorgo che si trasforma in terribile bellezza.
Tredici anni fa, John Jurgensen lo intervistò per il Wall Street Journal. gli chiese proprio di quello che sarebbe divenuto Il passeggero:

Può dirmi qualcosa del libro su cui sta lavorando, riguardo alla storia, all´ambientazione?
«Non sono molto bravo a parlare di queste cose. È ambientato per lo più a New Orleans intorno al 1980. Parla di un fratello e di una sorella. Quando il libro comincia lei si è già suicidata e il libro parla di come lui affronta la cosa. Lei è una ragazza interessante».
Alcuni critici fanno notare che lei di solito non approfondisce molto i personaggi femminili.
«Questo è un libro lungo e parla in gran parte di una giovane donna. Ci sono scene interessanti inframmezzate nel libro, e hanno tutte a che fare con il passato. Lei si è suicidata sette anni prima. Erano cinquant’anni che volevo scrivere su una donna. Non sarò mai competente abbastanza da farlo, ma a un certo punto bisogna provare».

Non è un caso, credo, che questo romanzo, e la sua imminente seconda parte, arrivi ora. Come un dono estremo, che ci mostra almeno cosa dovremmo intendere per letteratura, e qual è il suo potere.

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