Leggendo No Sleep Till Shengal di Zerocalcare (che è bello, importante, giusto: insomma, leggetelo pure voi), mi hanno colpito alcune notazioni che sembrano marginali e non lo sono. La prima: quando Michele si rivolge a chi gli chiede perché un fumettista che potrebbe vivere tranquillamente nella sua Rebibbia si infila in un’avventura simile (un viaggio in Iraq verso la zona autonoma di Shengal, fitto di checkpoint e pericoli) dicendo che forse gli hanno installato il chip “della decenza umana minima”, e aggiunge “se st’urgenza non la capisci, si vede che non la poi capì”.
L’urgenza non ti dice, perché nessuno si sente così onnipotente, credo (e comunque in genere ci si sente più onnipotenti quando si raccontano i fatti propri, mi sembra) da pensare che raccontare una storia cambi le cose. Ti dice però che se nessuno la racconta, quella storia, chi la sta vivendo nei fatti, rischiando la morte e la sparizione di quanto ha costruito, sparisce. Non è che una tragedia, un’emergenza, un pericolo, finiscono quando smetti di raccontarli tu. Continuano, ma noi non lo sappiamo.
Ci pensavo sabato a Bari, quando ho avuto la fortuna di conoscere Porzia Petrone. Porzia è la sorella di Benedetto Petrone, ucciso a 18 anni nel 1977 da un gruppo di militanti Msi. La storia è lunga e dolorosa, la trovate riassunta qui ma ci sarebbe da scrivere tanto su questa vicenda (Rita Lopez lo ha fatto, per esempio). Sul fatto che giustizia non c’è stata del tutto, sui sogni di Benedetto di fermare la speculazione edilizia su Bari vecchia (“Perché, mi ha detto Porzia sabato, non era questo il ghetto, come dicevano: il ghetto lo hanno creato con le case popolari dove hanno portato gli abitanti di Bari vecchia, ristrutturando le case per i ricchi”), sullo stigma della povertà che si abbatte sulla sua famiglia, su, infine, i sogni infranti di un diciottenne e dei suoi cari. Piangeva Porzia, e pure io, e pure il mio anfitrione barese Gaetano, quando diceva di aver scoperto una targa per Benedetto nel campus universitario, e diceva “Benedè, sei arrivato all’università”.
Ma se questa storia non si racconta, si perde. Non per questa donna straordinaria di 71 anni, che si è fatta avanti per avere giustizia e memoria con tutte le difficoltà di essere, appunto, una donna. Ma per noi.
Questo intendo quando dico che la letteratura è una finestra, talvolta suscitando certi oh-oh-ohibò fra i coltissimi. Per dirla con Zerocalcare, quando si raccontano queste storie, si fa qualcosa “che serve pure a noi”.
(e se non lo capisci, si vede che non lo poi capì”).
Lo leggerò a Porzia. Ti abbraccio.