SONO’ ALTO UN NITRITO: PERCHE’ L’AUTOREVOLEZZA FEMMINILE SUSCITA ODIO

Non è una novità. Ci sono persone che attirano odio, qualunque cosa facciano o dicano. Hanno certamente anche consenso, e ammirazione, e affetto, ma c’è una vastissima parte di commentatori e commentatrici che reagiscono come i cavalli al nome di  Frau Blücher in Frankenstein Jr.
Ad attirare odio, spiace dirlo (anche perché la precisazione attirerà a sua volta i distinguo di coloro che nitriscono – magari in modo meno clamoroso – davanti al sospetto di femminismo) sono le donne: per meglio dire, un certo tipo di donne. Ovvero: autorevoli, visibili, poco etichettabili in questa o quella schiera o appartenenza. Donne competenti ma non miti, sorridenti ma affilate quando serve. Faccio solo due nomi (escludendo Laura Boldrini che ha l’aggravante di essere una donna che fa politica per professione): quelli di Vera Gheno e di Michela Murgia.
Ora, soprattutto sulla seconda avviene non da oggi qualcosa che mi spiego solo in parte. Basta citarla (l’ultimo caso è di ieri, un’amica ha semplicemente segnalato un suo video sul processo a Roberto Saviano) e parte la carica: fanatica, faziosa, mediocre scrittrice, insopportabile, buttiamola dalla torre, il nulla cosmico, e via così. Esternazioni del proprio sentire, non interventi sul punto (il punto era il processo a Saviano, ricordiamolo). Un anno fa, mi è bastato postare una fotografia che ci avevano scattato a Più Libri Più Liberi e si è scatenato l’inferno. Una fotografia.
Allora, cosa accade a persone spesso perbene e tranquille, altrettanto spesso dotate di un certo livello di cultura, in queste circostanze? Perché si sentono non in diritto, ma addirittura in dovere di trasformarsi in odiatori (e odiatrici, purtroppo)? Rancore? E perché? Fastidio? E perché? Uno dei molti perché, certo, è quel pensiero sotterraneo (ma che corre nelle vene anche se taciuto) secondo il quale le donne devono stare al posto loro. Insomma, va bene la visibilità, ma almeno si comportassero secondo il canone che abbiamo in mente noi, o che ci hanno messo in testa da qualche secolo a questa parte.
Forse è troppo semplice. Anzi, è troppo semplice.
Grazie a uno squisito studioso come Giovanni Semi, ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e soprattutto uno di quegli intellettuali che ti riconciliano col mondo, sono arrivata al lavoro di altre due studiose. Si chiamano Lucia Bainotti e Silvia Semenzin. Insieme, fra l’altro, hanno scritto un libro sul rapporto fra revenge porn e gruppi whatsapp, e lavorano anche sulla costruzione del maschile nei gruppi Telegram. Seguitele. La costruzione del maschile, di un certo maschile egemone (e violento, anche solo verbalmente) non si riferisce solo agli adolescenti: molti uomini hanno, evidentemente, bisogno di rassicurarsi a vicenda grazie al gesto di attaccare un certo tipo di figura femminile. Il lavoro è molto interessante, quanto necessario per tutti, odiatori inclusi. E odiatrici, anche: perché ci sono anche molte donne che evidentemente hanno bisogno di unirsi al gruppo che rivendica un’unione basata, appunto, sull’aggressione.
Per chi sostiene che l’attacco verbale non sia violenza, inviterei alla lettura di questi commenti, uno per uno. Anche quando non riguardano – come spesso avviene – la persona fisica, mirano alla ridicolizzazione, allo scherno, alla riduzione a macchietta, alla – direbbe la meravigliosa psicologa sociale Chiara Volpato – deumanizzazione della persona in questione.
Dal momento che i social, bene o male, costituiscono la gran parte della nostra identità, occorrerebbe usarli con consapevolezza. Ovvio che il mio è un appello che cadrà nel vuoto, ma in questa mattina di pioggia desidero ripeterlo, ancora e ancora, perché mi fa impressione leggere quel che leggo, da parte di persone che non tengono mai conto di quanto possano ferire, di quanto male siano in grado di fare a chi neanche conoscono.

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