UN'INTERVISTA DI CHIARA VALERIO SUI LIBRI E LA MICROFAMA

Ieri è uscita su L’Unità, per la serie Biblioterapia, questa intervista che mi ha fatto Chiara Valerio. Si parla, ovviamente, di libri, e di Morti di fama.
Loredana Lipperini è una donna che ha un libro per capello (e in effetti ha molti capelli). Scrive su La Repubblica, conduce Fahrenheit, scrive narrativa e saggistica, ha un’autentica passione analitica per i fenomeni della rete, conosce la lingua e i sottolinguaggi, tiene un blog su Kataweb da quando probabilmente esistono i blog. Ha scritto di donne, di madri, si è rimessa “dalla parte delle bambine” con la penna e con la testa. Inoltre, Loredana Lipperini è una donna che sorride. Il suo ultimo lavoro – insieme a Giovanni Arduino – è Morti di fama (Corbaccio, 2014), nel quale Lipperini e Arduino, hanno dato un nome, e una definizione – anche attraverso interviste – alla microfama. Se in effetti, tutti, più o meno, c’eravamo fermati alla predizione wharoliana dei quindici minuti di celebrità (15 minutes of fame), se tutti (o quasi) c’eravamo fermati all’ontologia che, da Cartesio in poi, ci si attribuisce col pensiero, Lipperini e Arduino proseguono, descrivendo come i 15 minuti di Wharol siano diventati il tempo di refresh delle pagine sui social, e quanto l’ontologia sia divenuta faccenda di “like”. In questo mondo fatto di parole, dove però le parole sono, o sembrano, tutte uguali, abbiamo chiesto a Loredana Lipperini di parlarci dei libri. Del tempo dei libri.
1. Quanti libri legge alla settimana?
Dipende dalla settimana. Se sono in conduzione a Fahrenheit, da cinque a sette, per forza di cose. Se posso prendermela più comoda, uno e mezzo. Uno lo leggo, il mezzo lo rileggo.
1.1. Che cosa sta leggendo adesso?
Per la radio, Tevere di Luciana Capretti, La mia maledizione di Alessandro De Roma e Marguerite di Sandra Petrignani. Per diletto, prima di addormentarmi, E le stelle stanno a guardare di Cronin, per il non troppo stravagante desiderio di rinfrescarmi le idee sulle lotte dei minatori gallesi a inizio Novecento.
1.2. Un libro che rilegge?
Quelli che rispuntano sul comodino con puntualità semestrale sono La montagna incantata di Mann e Mucchio d’ossa di King.
1.3. Perché?
Mann mi ricorda la bellezza della lettura e King mi avverte di quanto sia difficile la scrittura.
2. Qual è la differenza tra leggere un libro per la radio, leggere un libro per farne una recensione, leggere un libro perché si sta scrivendo un altro libro e leggere un libro per passare il tempo?
Quando leggo per la radio mi strozzo con la lettura, sfrutto ogni frammento spazio-temporale, dalla coda alle poste al viaggio in metropolitana all’attesa per la cottura degli spaghetti. La lettura per la recensione è giocoforza più lenta, e avviene spesso a computer acceso, per prendere appunti direttamente sul file dell’articolo. Leggere per scrivere è la lettura che prediligo: è quella fatta con la matita in mano, senza fretta, col quadernino sulle ginocchia e l’incanto delle cose che stanno per nascere e non hanno ancora una forma. La lettura passatempo sta diventando un miraggio: recupero in estate, quando mi concedo il lusso delle riletture dei libri che mi sono piaciuti nei mesi precedenti e con i quali mi sono strozzata per mancanza di tempo.
2.1. Leggendo Morti di Fama mi è venuto l’amaro sospetto che la microfama annulli lo spazio tra leggere un libro e scrivere un libro. Leggere e scrivere sono la stessa cosa?
No, ma lo stanno diventando. Mi rendo conto che l’affermazione possa suonare antidemocratica, e infatti l’accusa che spesso tocca rintuzzare è quella di voler conservare “il privilegio” della scrittura. Ma la scrittura è in primo luogo un lavoro (e dunque, anche un privilegio): richiede studio, attenzione, approfondimento delle competenze e tutte le ovvietà sugli “attrezzi del mestiere” che possiamo ripetere fino alla nausea, e che pur essendo ovvietà restano vere. Inoltre, le competenze medesime non bastano. In Morti di fama abbiamo usato il paradigma di Amadeus. Perché nel film che Milos Forman ha tratto dalla commedia di Peter Shaffer c’è un momento illuminante: è quando Salieri, prendendo fra le mani gli spartiti che Constanze Mozart gli ha portato in visione sperando in benevolenza per il marito, capisce fino in fondo l’incommensurabile talento del rivale e, dopo il trillo del Kirye Eleison nella Messa in do minore, lascia scivolare i fogli in terra, vinto. E’ che quel talento o lo si ha o non lo si ha. Puoi perfezionarti, diventare un bravo narratore, un piacevolissimo artigiano della musica o di qualsiasi altra arte. Ma non un Grande. Ingiusto? Sì. Infatti Amadeus è splendido per questo motivo.
3. Qual è il legame tra la microfama e il self-publishing?
E’ indotto da chi sul self-publishing guadagna, ed è, temo fortissimo. Non ho alcuna preclusione nei confronti dell’autopubblicazione: penso, anzi, che allo stato delle cose editoriali gli autori attualmente pubblicati in modo tradizionale dovranno (dovremo) rifletterci. Ma ho molta preclusione nei confronti di chi detiene il monopolio planetario del self-publishing (Amazon, per non far nomi) e che guadagna poco da moltissimi, illudendo quei moltissimi che autopubblicarsi (con Amazon) sia la via per il successo e la ricchezza. Non è così: gli scrittori autopubblicati che ricavano cifre consistenti sono pochi, le classifiche manipolabili, gli algoritmi che le determinano incomprensibili. Ma il meccanismo che è intorno all’autopubblicazione spinge alla microfama: status sui social network a ripetizione, ricerca affannosa di recensioni e retweet, fino all’acquisto di recensioni positive e mi piace. Ecco, come scriveva Salon, chi guadagnava dalla corsa all’oro non erano i cercatori, ma chi vendeva loro mappe e vanghe. Ed è quello che al momento accade.
4. “Hall of Microfame”… chi ci mettiamo?
Me stessa, il coautore di Morti di fama Giovanni Arduino e tutti noi. Nessuno ne è immune, che lo voglia o no.
5. Lei ha una grande passione e conoscenza per Stephen King (anche io, ma certamente lo conosco meno di lei) qual è il rapporto con la rete, con la pubblicazione “non di carta” di un best-sellerist come King?
King è stato fra i primi autori di best seller a tentare la via dell’autopubblicazione con The Plant, che inizialmente era un racconto destinato agli amici e che nel luglio del 2000 fu al centro di un esperimento interessante: King lo rese disponibile in rete al costo di un dollaro a puntata. “If you pay, the story rolls. If you don’t, the story folds”, scrisse King. Che, però, non concluse il testo. Non so se oggi come oggi lo rifarebbe: di certo, King è tra i firmatari dell’appello contro il monopolio di Amazon sottoscritto anche da Donna Tartt e Scott Turow. Non per conservare il famigerato privilegio, evidentemente, ma perché nella controversia che oppone Amazon ad Hachette il comportamento del primo è stato sconcertamente (togliere i libri degli autori di Hachette dalla home page del sito, ritardarne la consegna, e così via). Per il resto, King ha aperto da non molto un account Twitter e ha un ottimo sito con forum annesso: ma resta, mi sembra, uno scrittore schivo. E forse è giusto così.
6. Antonio Pascale dice spesso che dalle lavatrici uscivano non solo i panni puliti, ma anche i libri. Perché le donne avevano più tempo per leggere. E dalla rete, oltre a informazione, connessione, possibilità di leggere quasi gratuitamente quasi tutto, che cosa è uscito per le donne.
Moltissimo. Non solo in termini di informazione, possibilità di fare rete e di condividere iniziative e conoscenza, appunto. Il moltissimo riguarda soprattutto la scrittura e la lettura: i blog letterari delle giovani donne si moltiplicano, e per quanto rimangano meno esposti rispetto a quelli titolati sono un segno di speranza, secondo me.

Un pensiero su “UN'INTERVISTA DI CHIARA VALERIO SUI LIBRI E LA MICROFAMA

  1. Ho un indirizzo email dal 1986 e il mio primo accesso a internet è datato 1992 (data di nascita del web: 6 Agosto 1991). All’epoca, su alt.hypertext c’era forse una trentina di iscritti e si scambiavano opinioni con Tim Berners-Lee (non ancora “Sir”) Ho partecipato in prima persona all’evoluzione della rete, e ho assistito alla crescente inanità degli atti di comunicazione che vi vanno in scena – dalle mailing list, a usenet, a IRC, a Twitter e ai social media in genere.
    Dubito (forse a torto, ma ehi) che il mezzo abbia una responsabilità primaria – penso piuttosto che sia una probabile conseguenza dell’allargamento della comunicazione bidirezionale a grandi numeri di persone, con lo stesso meccanismo per cui dal dibattito televisivo si passa alla bagarre stile “A Boccaperta” o Oprah, solo molto più in grande e, inevitabilmente,,in peggio.
    MI piacciono corrispondentemente poco i social media di oggi – ho account su tutti quanti, per lavoro e per autolesionismo. Forse il migliore è reddit. Twitter è sicuramente il più atroce, per il suo e un astronomico fattore di circlejerk e la ripetitività (“status sui social network a ripetizione”) che lo fa assomigliare a una sirena antinebbia,
    Dopo una recente orgia di unfollow, tesa ad eliminare almeno parte dei peggiori inquinatori, mi sono reso conto di aver potato la totalità degli editori italiani. Non avendone di stranieri in follow, non posso fare paragoni diretti, ma avendo molti musicisti (generalmente americani) , noto che questi in genere si limitano a twittare il loro concerto una volta e basta. Sarà che sono jazzisti e quindi poco capaci di autopromozione? Certo non sembra che l’autopubblicazione (o la sua mancanza) sia un fattore determinante.

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