Dunque è oggi. Cosa posso dire ancora su La notte si avvicina? Molto ho detto, molto dirò nelle presentazioni che saranno, per un po’, soltanto via Internet, come è giusto, e soprattutto è alle lettrici e ai lettori che spetta, da questo momento, la parola.
Certo, c’è una domanda che mi faccio, e riguarda il ruolo che i libri, e la cultura tutta, possono avere in tempi tenebrosi e vacillanti come quelli in cui camminiamo. Ce la facciamo tutti, quella domanda, e ci chiediamo anche quanto senso abbia continuare a parlare di libri e di cultura in giorni di oscurità e timore. Continuo a rispondermi allo stesso modo: ha senso, poco o molto non so, ma cosa altro possiamo fare se non narrare, se non tentare di trasportare nel piccolo o grande mito delle storie quello che viviamo?
Io non lo sapevo. Non immaginavo che avremmo vissuto questo. L’ho scritto cento volte e per altre cento lo scriverò. Ho solo trasposto in un paese immaginario, come il Maine di King, quello che vedevo. E vedevo questo. Ultima anticipazione, grazie sempre e che il cammino cominci.
“L’estate era sempre stata vista di buon occhio: i figli e i nipoti che tornavano da Roma o da altre città portavano soldi, e in loro onore si organizzavano feste e sagre, e si friggevano frittelle tutte le sere nella piazza, e i commercianti imbandivano cene lungo il fiume lessando trote per l’insalata e cuocendo lenticchie e impastando dolci da farcire con la marmellata. Non negli ultimi due anni. I villeggianti venivano visti ormai come un’intrusione, come persone che comunque, sia pure con lo stesso sangue del paese nelle vene, erano ormai portatori di esigenze che non si volevano prendere in considerazione. Pretendevano che si pulissero gli argini del fiume. Che la musica finisse a mezzanotte in punto. Volevano, secondo l’idea del paese, essere serviti proprio nel mese in cui si poteva stare fra compaesani, a divertirsi in quei modi brutali in cui si concepiva il divertimento. Così, come sai bene, nell’estate della peste la sagra c’è stata, ma sarebbe stata comunque l’ultima. Le epidemie portano fuori quel che siamo davvero, come tutte le grandi incrinature che chi non ha vissuto in quel tempo non conosce se non asciugate fino alla nudità dell’evento. Quando ci siamo in mezzo, tutto cambia. Quando si vivono lunghi anni che abbiamo definito di pace, e che pacifici non sono stati, si dimentica che gli esseri umani sono fragili. Invece, ciascuno di noi ha pensato lungamente che solo alcuni lo fossero. I vecchi come me, o coloro che fuggivano dalle guerre lontane per non morire, e morivano invece ugualmente, nell’indifferenza o in piccole indignazioni che sfumavano subito via.
Abbiamo vissuto in un mondo che ci voleva forti, attivi, vicini persino a sconfiggere la morte stessa. Eravamo solo impreparati. E chi intuiva che qualcosa sarebbe infine avvenuto pensava di poter sfidare la peste”.
ti sono grata per la tenacia con cui difendi il diritto di leggere storie e di narrarle! Buon cammino a te e al nuovo libro. Nicoletta