No, non esiste una statua di Carlo Giuliani con i pettorali in vista, e chiedo scusa ai suoi cari per averne usato il nome per quello che prova a essere un rovesciamento di prospettiva. Immaginatela, quella statua. Immaginatene una che racconti il massacro di Genova 2001 con corpi di uomini e donne denudati nei punti giusti, e il volto fiero rivolto verso l’avvenire, per dimostrare che non hanno perso il coraggio di sperare. Vi piacerebbe? Credo di no. Credo che, se una statua del genere esistesse, ci sarebbero proteste e interrogativi e richieste di spiegazioni. Credo anche che nessuno darebbe del bigotto o del moralista o dell’ossessionato dal sesso a chi protesta. Perchè una cosa è celebrare la felicità del desiderio e la bellezza di un corpo di donna o di uomo. Un’altra è raccontare il dolore e la violenza attraverso una nudità rappresentata come seduttiva.
Non c’è una statua di Carlo Giuliani, ma c’è una statua di una donna stuprata. C’è una statua che rappresenta la violenza e il femminicidio, è stata inaugurata ad Ancona ed è stata voluta, approvata e difesa dal Comitato Pari Opportunità della Regione Marche. Le motivazioni sono queste: “Una donna, sconvolta nelle vesti dalla violenza subìta, che non abbassa le spalle e il capo: è “Violata”, la statua in bronzo, realizzata dallo scultore Floriano Ippoliti, collocata nei pressi della galleria San Martino ad Ancona. Un monumento contro la violenza sulle donne. Violenza fisica ma anche psicologica, che spesso si consuma tra le mura domestiche dove dolorosamente rimane. La statua, la prima in Europa dedicata alle donne vittime di violenza, è stata realizzata con il contributo degli assessorati alle pari opportunità e al bilancio della giunta regionale, del comune di Ancona, dalla Camera di Commercio e grazie ad alcune associazioni”.
La statua è questa.
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Ora. Già altre volte si è discusso della rappresentazione seducente dello stupro, in molti casi inconsapevolmente (perché non metto affatto in discussione la buona fede dello scultore Floriano Ippoliti. Mi risulta più duro credere a quella della Commissione, in tutta onestà). Il filone “rape and revenge”, stupro e vendetta, esiste, nel cinema e non solo, da anni. I romance “strappa-corsetti” vedono spesso nello stupro il punto d’inizio di una storia d’amore. Su questo si potrebbe e si dovrebbe discutere per anni (e in molti casi si fa). Ma qui siamo in un altro campo: qui si è voluto realizzare un monumento che simboleggia la violenza contro le donne per combatterla, e per farlo si è convenuto che gli abiti strappati nei punti giusti (seno, parte dei genitali, culo) fossero significativi quanto la borsetta che “Violata” stringe tra le dita quando si rialza dopo lo stupro.
Verrebbe da dire che la violenza sulle donne è altra cosa: sia quella fisica sia quella psicologica cui allude il comunicato stampa istituzionale. Verrebbe da dire che le donne violentate e uccise non sono necessariamente “gnocche”: ma qui si tornerebbe a evocare un automatismo che porta a raffigurare la gnocca quando si rappresenta un corpo femminile nudo (e, ci fosse bisogno di ripeterlo, evviva i corpi femminili nudi: ma non in questo caso e non così). Verrebbe da dire che non di una statua alla vittima necessita il contrasto alla violenza: ma di altre azioni simboliche (e pratiche). Verrebbe da dire che si vorrebbero conoscere pubblicamente le motivazioni della Commissione PO delle Marche: la presidente ha risposto su social network che le ha già fornite in un convegno (di cui al momento non sono disponibili gli atti).
Verrebbe da dire quel che si è già detto: se questa è la percezione di intellettuali e artisti della cosiddetta questione femminile, stiamo freschi.
Mi sono permesso di citarti, altrove: siamo ancora all’abbiccì.
Tra le tante ridicolaggini che questo evento ha causato, non riesco a fare una classifica – anche perché la tristezza le avvolge tutte. Chi si mette a parlare di arte, chi di bigottismo, chi tira in mezzo “il femminismo” come fosse la cosa più ovvia e scontata e uguale per tutt*, quel poràccio (proprio nell’accezione romanesca, ndr) dello scultore che non trova di meglio che immaginare la moglie.
La solita occasione mancata. Speriamo, come detto, che almeno varrà qualcosa come esempio negativo.
Guardando il filmato, non solo la statua, mi sembra che o siamo di fronte a una colossale malafede e malizia, o a una colossale ingenuità e buona fede delle persone del posto…francamente non lo so. Mi sembra però anche uno dei frutti del malinteso che mescola un po’ tutto: problematiche serie, marketing territoriale, rappresentazioni ‘artistiche’ molto ingenue, slanci promozionali – insomma, un problema di cultura. Ma non possiamo non riconoscere che questo è il livello di tanta italia, subìto o imposto, questo è.
Lo scultore Michele Guerrisi realizzò un monumento dedicato ai caduti di Siderno. Se cercate sul web vedrete un soldato ignudo, virilmente bello, che impugna un gladio e si slancia a testa alta. Questo monumento esalta lo spirito eroico e indomito dei combattenti, e così facendo sostiene la narrazione di una guerra eroica, che può essere vinta col valore dei singoli guerrieri. Non mi piace.
Non mi piace a prescindere da ogni considerazione estetica, perché ritengo che una guerra non debba mai essere celebrata, nemmeno, e soprattutto, mostrando l’ eroismo dei singoli. La guerra è qualcosa di così orribile che non può essere rappresentata, figuriamoci se dev’essere celebrata.
Allo stesso modo il monumento che Loredana cita ci mostra un’ eroina, che ha una borsetta al posto del gladio, ma che parimenti distoglie l’attenzione dall’atto dello stupro, dalla violenza, e ci mostra invece una donna vittoriosa. Anche in questo caso un accadimento orribile viene rappresentato in modo parziale e al singolare, mentre invece riguarda una collettività, con tutte le sue complessità. Certo, in questo caso non è presente la retorica nazionalista e fascista, e capisco che ci siano state buone intenzioni. Però merita riflessione, secondo me, la vicinanza di questa statua con quelle eroiche del periodo fascista, che esaltavano la presunta superiorità di un uomo o una donna dotati di fede e fermezza d’animo, la loro capacità di trionfare sempre e comunque, anche superando la morte. Peccato che la realtà sia ben diversa e che riguardo a certi orrori non occorra nulla più di una lapide che ricordi le vittime, a meno di chiamarsi Picasso e dipingere Guernica.
Davanti al comune di Napoli c’è un bellissimo memorial alle donne vittime di violenza: un cespuglio di rose (credo rose tea) con una discreta placchetta. I giardinieri la curano, d’inverno è spoglia ma d’estate fiorisce. Le cose possono essere fatte diversamente.
Giusto per dare un metro di paragone. Questo (http://farm3.staticflickr.com/2645/3808802500_5b737d23b2_z.jpg) è il monumento ai martiri della Resistenza che si trova a Savona. Un monumento che ha suscitato non poche risate tra i savonesi ai tempi e ancora oggi (per dire, quella piazza viene da allora chiamata “ciassa du belin”), ma in cui il corpo nudo ha uno scopo espressivo, quel corpo parla del dolore della guerra, lo simboleggia e lo esprime. Questo non parla, è un corpo nudo e basta, non evoca nulla, non può essere letto se non, appunto, come rappresentazione di bellezza.
Le osservazioni di Loredana e i commenti riportati hanno una loro effettiva consistenza (ho letto e visto tutto Loredà), però riguardando la statua, a me maschietto di vecchia data (dunque datato) mi è arrivato addosso anche una specie di grido orgoglioso “Questo è il mio corpo che hai cercato, invano, di deturpare. Questa sono, io, donna”. Sinceramente non l’ho sentito negativo.
Come senonoraquando ma soprattutto come femminista e ancora di più come donna che l’ha subita, da anni mi batto contro la violenza di genere. Non è il nudo in sè, ovviamente, che dispiace, in questa statua. Se avessi visitato una mostra e mi fossi imbattuta nell’opera l’avrei osservata con attenzione e avrei cercato di capire in quale modo questa creazione potesse fare risuonare una parte di me. Il problema qui è l’accostamento dell’opera al messaggio. Ma soprattutto l’uso strumentale del corpo delle donne sul quale stiamo facendo un grosso lavoro. Questa statua, posata come simbolo contro la violenza di genere, esprime un paradosso che è il seguente: ci battiamo con fatica e quotidianamente contro l’uso indiscriminato del corpo femminile utilizzato ovunque per conferire valore aggiunto a messaggi pubblicitari di ogni tipo. Dalle sigarette alle moto, dalla aspirapolvere agli insetticidi se non c’è vicino una donna nuda o seminuda il messaggio pare non a vere effetto. Questo perché, ponendo il corpo delle donne nelle sue nudità come oggetto-simbolo di desiderio maschile questo desiderio viene trasferito, attraverso il linguaggio delle immagini all’oggetto cui viene accostato conferendogli tutto ciò che di evocativo il corpo nudo può avere. Noi che ogni giorno ‘stiamo sul pezzo’ sappiamo che questo uso forsennato del nostro corpo di donne è un passaggio, uno degli ‘step’ che possono condurre, reiterati ad una cultura sempre più maschilista che può sfociare in atti di violenza concreta. Il paradosso è dunque che per ergersi contro questa pratica si usi – ad accompagnare il messaggio – … una donna nuda! Aggiungo poi che la violenza ha molte forme, non sono solo quelle dello stupro o del femminicidio. La violenza è psicologica, è sociale. Questa statua – ho sentito dire – rappresenta la dignità e la forza delle donne. Ebbene, serenamente affermo che no, non lo credo e NON mi rappresenta come donna e come femminista. Mi auguro comunque che questo sia solo un passo, il primo, perché le istituzioni prendano davvero a cuore questo problema sino ad ora agito nelle piazze solo da associazioni e movimenti.” questo scrivevo lunedìi….poi mi sono chiarita ulteriormente le idee parlando di questa statua ad una conferenza che tenevo sulle immagini della donna dal punto di vista della comunicazione. Dunque: il processo di comunicazione (banalizzo per necessità di brevità) è un processo che necessita di due ‘attori’, emittente (colui che lancia il messaggio) e destinatario (colui che lo riceve), di un canale e di un contenuto. Tra le diverse variabili che intervengono in questo processo ce ne è una che si definisce ‘zona di silenzio’ La zona di silenzio è quella parte di non detto che può essere ampia nella comunicazione ad esempio tra due amiche di vecchia data (che possono omettere numerose informazioni ognuna su di sè perché già note nello storico della loro amicizia) e che invece può ridursi a zero in una comunicazione tra estranei. Se mai vi è capitato di attaccare discorso su un treno sapete come va: per ogni argomento personale si deve procedere ad una sorta di riassunto della propria biografia per permettere all’altro di orientarsi nel racconto. Che succede nella comunicazione che offre questa statua? (almeno secondo me, ovvio) Avviene la sovrapposizione di numerose zone di silenzio di variabile grandezza che a loro volta pesano in modo drammatico su quello che è il vero silenzio che riguarda la violenza di genere: quello delle donne che l’hanno subita e non riescono a dirlo. Tra l’artista e le donne, in genere, la zona di silenzio sembra ridursi ai minimi termini: l’artista mostra di non conoscere l’interiorità femminile. Tra le donne invece la zona di silenzio si amplifica (ed ecco che ci troviamo d’accordo, a gruppi, sulla condanna di questo lavoro) perché noi ‘sappiamo’. Dunque questa statua si pone nel mezzo di un crocevia concettuale in cui non c’è comunicazione reale e dunque le forme di questa espressione artistica non sono giustificate, in alcun modo. ‘Giustificare’, questa era la parola chiave di una grande insegnante di storia dell’arte che ho avuto al liceo, la Gengaro-Writtengs, e questa chiave ha sempre aperto le porte della mia comprensione. IN questo senso, questa statua è ‘ingiustificabile’ e disturba, anzi, dirò di più: fa male.
Grazie Lipperini: stiamo freschi, appunto. Grazie Serena per il bell’esempio di Napoli. E grazie ancora a Giuliana Brega: hai detto con chiarezza perché non abbiamo bisogno di spiegare ciò che ci è autoevidente. A me questa “statua” parla dell’autoreferenzialità di certa mentalità maschile, del suo tapparsi le orecchie. E stendiamo un velo pietoso sul guardonismo espresso con i mezzi formali del linguaggio mediatico di massa anni ’80-2000. Per chi volesse documentarsi su nudi femminili drammatici ed espressivi può cercarli invece nella storia dell’arte.
le memorie religiose sono piene di agiografie e relative icone di donne stuprate.Dietro le beatificazioni e santificazioni che di solito accompagnano questi simboli non è facile leggere il j’accuse verso gli autori degli stupri,e l’attenzione è puntata sul premio tracendente.Nel nostro caso le manifestazioni collaterali e una campagna stampa adeguata possono supplire all’eventuale ambiguità che circonda questa espressione di arte figurativa e portare un contributo alla causa.L’importante è che nessuno usi la cosa per farsi pubblicità in vista di qualche campagna elettorale come ogni tanto succede
Ci sarebbe anche da dire l’unica cosa che nessuno dice per un curioso pudore ogni volta che si ha a che fare con qualcosa di “artistico” e “impegnato”, e cioè che quella scultura è brutta.
E’ datata l’idea del monumento agiografico, è dozzinale la resa finale, troppo legata a forme e stili vecchi di minimo un secolo, è una emulazione fallita di modelli fin troppo pacificati, iconografie ormai vuote, forme scontate. Non c’è sperimentazione, contemporaneità. E’ un monumento didascalico, non c’è graffio, non c’è stimolo. E’ perfettamente inerte, non risuona. Cerca, semmai, di confermare, tranquillizzare chi guarda. E’ un’idea dell’arte degna dei venditori di litografie televisivi. un’idea ornamentale, fatta di luoghi comuni, caldi e tranquillizzanti.
Non c’è poesia, non c’è ricerca, non c’è graffio. E’ “la violenza sulle donne” così come una soap opera descriverebbe “la violenza sulle donne”. Ed infatti che tutti, all’inaugurazione, siano d’accordo lo dimostra. Non pretendo le provocazioni à la Cattalan (ricordate i bambini impiccati a Milano?), ma di certo questo manichino in bronzo serve più che altro a pacificare la nostra coscienza pelosa, non certo a metterla in agitazione.
gianni biondillo, lo abbiamo detto e ripetuto, grazie, puoi consultare l’evento creato da Giuliana Brega https://www.facebook.com/events/150251925141409/
(paoloa m: “che nessuno dice qui”, intendevo. Mica pretendo di essere il primo nel mondo ad averci pensato!) 😉
🙂 ah https://www.facebook.com/photo.php?fbid=440820912678667&set=oa.490444707688647&type=1&theater
L’idea della donna che si rialza e continua la sua strada l’ho trovata anche nel saggio King Kong girl di Virginie Despentes, ma credo che la Despentes odierebbe le fattezze da gnocca della statua. Questa sua particolare visione è presente anche nel suo primo film da regista: Baise Moi, che inizia con una scena di stupro autobiografica impressionante, e la vittima che poi si rialza strafottente (il resto è un rape&revenge girato da schifo, ma quella scena è una delle più disturbanti e realistiche che abbia mai percepito in un film).
Il problema è che la Despentes dice la sua senza pretendere di farne un monumento universalmente riconosciuto.
Bravo Giobix. Ma Despentes racconta, e motiva quel che racconta proprio in King Kong Girl (dove è contenuto un brano di rabbioso stupore sul pensiero unico della gnocchitudine, peraltro). Ah, anche Kill Bill è un rape and revenge: ma non credo che Tarantino avrebbe mandato in giro la Sposa con i jeans e la maglietta strappati nei punti strategici 🙂
Infatti, se non avesse raccontato e motivato bene non mi sarebbe mai venuto in mente che una vittima di stupro potesse avere un atteggiamento del genere.
Sarei curioso di capire come ci è arrivato l’autore dell’opera (ho anche il mezzo sospetto che la statua, in origine, non avesse niente a che vedere con la violenza).
è orrenda. una statua orrenda per denunciare l’orrore. boh, magari c’è un nesso.
da anconetano posso dirvi che l’ho vista live e non dormo sonni tranquilli da sabato.
lo scultore è già famigerato in città per un’altra opera (si fa per dire) che ha sfigurato l’ingresso a un bel parco cittadino.
aggiungo che, sebbene non tanto ingenuo da pensare che la bellezza possa salvare il mondo, non credo che la bruttezza aiuti, in tal senso: si tratta di un raro caso in cui etica e estetica (etica con s ed etica senza est, grillescamente parlando) vanno a braccetto, ma nella direzione sbagliata
p.s.
da notare il lato b attraverso il quale il messaggio, evangelico, si chiarisce:porgi l’altra chiappa
http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=photo&media=57658
arte omeopatica. una statua orrenda per denunciare un crimine orrendo.
Non per voler esprimere un opinione bastianacontraria, diciamo anzi che molti commenti mi trovano d’accordo, in particolare quello di Serena da Napoli che è pure bellissimo in sé.
Però affermare che la statua in questione sia “sexi” o “seduttiva” e per questo e in quanto tale controindicata al messaggio che intende veicolare mi sembra azzardato, e pure contrario al senso di molte “battaglie” del femminismo, (anche sbagliate).
Una donna nuda, – e migliaia di opere d’arte da millenni lo dimostrano , non è una gnocca, un oggetto di desiderio maschile, la nudità rimanda semmai alla purezza
ciao,k.
Allora la purezza è senz’altro uno dei temi più affascinanti per gli artisti dell’era classica e dal Rinascimento in poi, si direbbe quasi che fosse un impulso fondamentale dell’essere umano. Susanna, per esempio, era soggetto diffuso perché i pittori erano entusiasti di poter ritrarre un esempio così eclatante di castità, nonché di igiene personale.
Anzi, direi che in effetti la statua si inserisce perfettamente nella tradizione della casta Susanna. Con il tocco molto contemporaneo e freudiano però della borsetta.
Per la cronaca, gli interventi di Adriana Celestini, presidente della commissione Pari Opportunità, sul gruppo Facebook che chiede la rimozione della statua.
Uno.
“Vorrei segnalare che non sono andata nottetempo a scavare una buca e piantare una statua. ho fatto un percorso di segnalazione e socializzazione di un’idea, ho raccolto l’adesione di tantissime donne rappresentate da associazioni e privati, ho presentato una richiesta al comune di accettazione e l’ho ottenuta. Ho presentato in conferenza stampa la foto della statua. Voi non siete d’accordo ma altre donne si, tutte cretine e incopetent?”
Due
“non ho mai pensato di avere la condivisione totale all’idea di dare alla battaglia contro la violenza di genere anche lo strumento dei simboli, o la scelta dei simboli stessi.Io non ho letto nella scultura di Ippoliti la denigrazione e l’offesa alla donna che subisce violenza,bensì la fierezza femminile di riprendersi il suo io.Capisco che ognuno riceve messaggi diversi anche dalla stessa immagine , ma sono tante quelle donne che non scrivono su fb ma mandano messaggi a favore dell’iniziativa.L’idea era di smuovere attenzione sul tema della violenza in tutte le sue forme e avvicinare alla riflessione anche chi se ne sente lontano e magari non lo è.E’ una statua così interpretata dall’artista, vista in foto (il calco in gesso) anche da chi ora sentenzia contro. Ho raccolto adesioni e si è passata alla sua fusione in bronzo.Poteva essere più coperta? forse, io stessa lo avevo richiesto ma tutte le altre si sono ribellate.E brutta? per alcuni si per altri no.Molti commentatori al negativo (anconetani) parlano di bustarelle e altri mezzucci pur conoscendo la mia integrità morale, allora penso che dietro ci sia ben altro che una critica alla statua.Io so soltanto che la decisione è stata condivisa da tante donne ma se serve un bersaglio, sono qua con le mie ragioni che possono non piacervi ma che continuo a credere valide.Sempre pronta ad un confronto costruttivoAdriana Celestini “
Ringrazio Loredana per avere riportato anche le spiegazioni di Adriana Celestini. In effetti, come scritto nel mio breve intervento, sono stato in dubbio tra la solidità dei commenti e l’effetto della statua stessa che non mi era parsa proprio offensiva (ancorché, magari, “brutta”, “bruttissima”). Non so ma a volte certa “sicurezza” nei giudizi (in generale) non mi convince del tutto. Mentre non ho dubbi sul fatto che ci sia una violenza specifica sulle donne.
La prima cosa che mi ha fatto venire in mente questa statua è questa magistrale sequenza di “Alex l’ariete” (Biondillo sopra parlava di immaginario televisivo…).
E, più ci ripenso, più mi rendo conto che non mi fa venire in mente nient’altro se non questa magistrale sequenza di “Alex l’ariete”
http://www.youtube.com/watch?v=El_s2pgBeGU
Grandioso il commento di Biscia, che ha la sua parte di ragioni, ma da serpe qual è dovrebbe ricordare di quando nudità e purezza camminavano insieme. Il suo brillante sarcasmo ci ricorda che effettivamente oggigiuorno non è più tempo di statue e monumenti, qualsiasi opera su un piedistallo, anche il più grande capolavoro, è destinato alla derisione. oltre ai disinganni della storia, decenni disfrenato individualismo portano il popolo a diffidare innaturalmente di qualsiasi segno unificante, di valore da condividere. Biondillo dice appunto che li opere d’arte devono “graffiare “lacerare -i bambini di cattelan- e appunto le opere che piacciono alla massa sono quelle che valorizzano individualismo dissoluzione nichilismo. che accarezzano l’egoismo in profondità ,verso il nulla
ciao,k.
questo il link per una raccolta di firme che ne chiede la rimozione. diffondete e moltiplicatevi
https://www.change.org/petitions/comune-di-ancona-commissione-pari-opportunita-regione-marche-rimozione-della-statua-violata-di-floriano-ippoliti?utm_campaign=friend_inviter_chat&utm_medium=facebook&utm_source=share_petition&utm_term=permissions_dialog_true
ci sbatto per caso su questo blog. un link dentro a un altro link etc. da twitter. Che dire? magari è un limite mio ma “riscatto” con “stupro” non so che c’incastrino, almeno da parte della vittima. Perché questo è quello che la tizia delle PO dice. Nel caso di Violata semmai è quell’altro che si dovrà, lui sì riscattare: prima però si fa un po’ di anni di galera. E poi si vede…
Firmo senza dubbio la petizione. Trovo questa scultura davvero fuori luogo. Le testimonianze delle persone mi lasciano senza parole. Qui io non vedo ne arte ne poesia ne tanto meno denuncia di un bel niente. Siamo alla demenzialità linguistica