UNO STRACCIO PER IL FEMMINICIDA

Sul Resto del Carlino di ieri viene dato ampio spazio al caso della statua di Ancona. Tra gli altri servizi (qui si legge l’intervista allo scultore Floriano Ippoliti), Maria Gloria Frattagli rivolge qualche domanda a Vittorio Sgarbi. Queste le risposte:
«E’ triste che ci sia bisogno di fare una statua contro la violenza sulle donne. Come se la loro vita valesse di più di quella di un omosessuale ucciso o di un gioielliere ucciso come accaduto nei giorni scorsi a Milano. Non riesco a capire perché si debba dare maggiore valore a questa cosa, credo che le donne stesse siano le prime ad opporsi». Parole di Vittorio Sgarbi, buon conoscitore di Ancona, che chiamato in causa per dire la sua sulla statua da critico d’arte parla più del valore simbolico che della scultura e di come esteticamente è stata giudicata.
Mal’opera le piace?
«La statua non mi sembra brutta se fosse stata all’interno della Mole Vanvitelliana nessuno se ne sarebbe accorto o perlomeno non avrebbe fatto tutto questo rumore. La discriminazione sarebbe rimasta all’interno di quattro mura invece che mostrarsi a tutta la città».
Quindi più che un motivo artistico c’è una ragione strumentale?
«Esattamente. Ancona è una città incolta, forse la più incolta d’Italia che dà spazio a una moda tra l’altro su un reato che è stato inventato, ovvero il femminicidio. Possiamo dire che l’omosessualicidio non esiste? No, non lo possiamo dire. Io non sono per la visione di genere, per esempio sono frequentemente soggetto a stalking non per questo mi hanno fatto una statua. E non credo che Ancona d’ora in poi riempirà al città di statue di tutti i soggetti che più frequentemente vengono uccisi».
Lo speriamo…
«Ripeto, la statua in sé non è nemmeno brutta, ma proprio non ne riesco a capire il motivo, cioè cosa l’artista volesse esprimere perché non c’è ragione di accettare il ricatto del soggetto, si poteva benissimo fare una statua per ricordare tutti i tipi di violenze, avrebbe avuto più senso, sarebbe stata più adeguata ai tempi che stiamo vivendo».

Le argomentazioni di Sgarbi sono quelle consuete dei negazionisti del femminicidio: perché diversificare l’assassinio delle donne (in quanto abbandonanti, da parte di uomini di abbandonati, nella maggior parte dei casi) dagli altri tipi di violenza? Qui fornisco solo una risposta: perché nel momento in cui una tipologia di delitto viene reiterata con modalità quasi identiche, è non solo corretto, ma necessario che si chiamino le cose col loro nome. Anche con tutti i pregiudizi estetici sul nome medesimo. La risposta è parziale: ma aggiungo che fra poche settimane, nella seconda metà di aprile, potrete leggere un ragionamento più approfondito in un pamphlet scritto a quattro mani con Michela Murgia. Si chiama “L’ho uccisa perché l’amavo” e uscirà per Laterza, collana Idòla. Ne riparleremo.
Peraltro, parlare di femminicidio significa parlare anche degli inconsapevoli assist che vengono forniti dal mondo dell’immaginario. Pubblicità inclusa. Ieri mattina ho letto su Repubblica una lettera di una lettrice, Roberta Miniero, giustamente indignata per i cartelloni pubblicitari apparsi a Napoli. L’ho contattata via mail e le ho chiesto di fotografarne uno. Dunque?
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41 pensieri su “UNO STRACCIO PER IL FEMMINICIDA

  1. Questa volta mi trovo d’accordo con Loredana (era ora). Anche a Siena violenza sulle donne. E’ un fenomeno troppo evidente per non essere considerato a parte.

  2. Sulla pubblicità ci sarebbero da fare dei processi per apologia di reato, negli anni ’70 ci fu un periodo in cui sulle pubblicità apparivano delle strisce icollate nottetempo con scritto: “Questa pubblicità offende la donna”, abitudine che si perse in poco tempo e dimenticata completamente con gli anni ’80.
    Il monumento è triste, il mio pensiero è che quando si fa un monumento, a una persona o a un’idea, questa è morta. Fare un monumento al femminicidio, o contro, (alla fine c’è così poco di artistico da dire su questo abominio), sembra sancirne un’ipotetica sconfitta quando siamo ancora all’invasione della Polonia se lo paragoniamo a una guerra, si direi che ammesso che abbia un senso fare ancora monumenti, è decisamente prematuro.

  3. Ma Sgarbi deve sempre essere interrogato su tutto? E’ l’oracolo d’Italia? A margine: il giudizio estetico sulla statua mi basta per valutarne le qualità intellettuali e accademiche. Il cartellone pubblicitario di Napoli è da denuncia penale, nelle due versioni “par condicio”.

  4. La pubblicità è un vero inquinamento cognitivo, e l’ho segnalata allo IAP per irresponsabilità sociale, appellandomi all’articolo 41 della Costituzione.
    Su Sgarbi non commento nemmeno, direi che anche chiedere e diffondere il suo parere è una forma di dannosissimo inquinamento cognitivo, ma dal Carlino ho imparato a non aspettarmi di meglio.

  5. Sgarbi fa lo Sgarbi, ormai vecchia e logora interpretazione.
    Però dice una cosa che “appartiene” a molti politici e, in generale, all’ elettorato di cui sono espressione: “Io non sono per la visione di genere”.
    Invece io credo che oggi quella che da lui viene definita “visione di genere” sia importantissima e addirittura alla base di ogni pensiero rivoluzionario.
    Così come occorre avere una ben chiara visione di classe occorre anche una visione di genere all’ interno delle stesse.
    Se voglio che la classe più numerosa, e nel sistema capitalistico più debole, acquisisca forza e consapevolezza devo prima “risolvere” la questione del genere.
    Come posso pensare di cambiare la società senza una “visione di genere”? Come posso anche solo pensare ad una lotta di difesa sindacale senza tener conto del genere?

  6. Sgarbi ha detto esattamente quello che tutti si aspettavano dicesse, confermando così la totale inutilità di intervistarlo: basterebbe cablare i suoi elementari schemi logici in un algoritmo per avere le sue risposte a video su qualsivoglia quesito, risparmiando in spese telefoniche ed evitando a lui di sprecare voce. Quello che mi lascia del tutto senza parole è il manifesto pubblicitario di Clendy: davanti a una cosa del genere ci si sente sopraffatti, non saprei né che dire, né come reagire. Perché non si tratta dell’uscita improvvida di un’idiota: dietro questa cosa c’è un intero team composto da esseri umani, che vanno dal pubblicitario che ha partorito l’idea al fotografo, al grafico che ha realizzato il prodotto, fino al management che ha approvato la campagna. Cinque, dieci, venti esseri umani assolutamente insensibili, anestetizzati rispetto a qualsiasi sentimento di com-passione, a ogni interrogativo sociale, refrattari perfino a quella consapevolezza minima che si chiama decenza e dovrebbe salvarti da certi svarioni anche se nell’intimo sei una bestia. E’ ovvio che bisogna denunciare, se possibile penalmente, questi signori. E’ ovvio che bisogna farli neri. Ma il fatto è avvenuto, e questo è il segno di un passaggio di livello, nell’imbarbarimento, che nessuna sanzione potrà cancellare.

  7. Ci sono donne che hanno lavorato a una proposta di legge contro il sessismo e la discriminazione in pubblicità, e tante e tanti che hanno firmato, questa: http://parlamento16.openpolis.it/atto/documento/id/52421
    Alla luce (anche, ma non solo) della disgustosa teorica par condicio che i pubblicitari oggi in questione hanno inscenato, con un altro cartellone in cui è una donna a far sparire le tracce almeno in rete anche quell’immagine sta circolando), forse modificherei alcune parti del testo parlando più spesso di uomini e donne (anche se sappiamo bene quale genere venga più spesso rappresentato in modo discriminatorio). Resta che il progetto giace e mi domando se e quando verrà ripreso in considerazione. Temo non senza una grande e costante attenzione e pressione.

  8. Salve a tutti. fino ad oggi, in giro per Napoli c’era solo questa di immagine: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=508395139196941&set=a.358604280842695.77152.334277266608730&type=1&permPage=1
    e nessuno ha scritto post scandalizzati, forse mi sbaglio.
    e’ piena la metro da settimane di quella immagine, chiedevo commenti ai co-viaggiatori, ma nessuno ci trovava niente da dire, sguardo distratto e via, ora con la donna che giace non chiaramente ammazzata (mentre l’uomo sembra molto piu’ ammazzato…), il solito pre-potente vespaio…
    cosa voglio dire? ’sta storia del “femminicidio” sta diventando una ridicola storia di perbenismo e nulla piu’, solo commenti “dovuti” e convenzionali, delle donne e degli uomini sottoposti a violenza domestica, ogni santo giorno, non frega niente davvero a nessuno.
    avete idea di quanto e’ piu’ forte la violenza psicologica che un uomo violento puo’ esercitare su una donna per tutta la vita o su una famiglia intera addirittura? o di come puo’ una donna fare la stessa cosa a un uomo, ai suoi figli e a tutta la sua famiglia in maniera del tutto simile?
    la violenza domestica e’ un problema gravissimo e va considerato in tutta la sua estensione se si vuole provare a comprenderlo e poi risolverlo/mitigarlo.
    vedo solo indignazione a gogo che produce caratteri su uno schermo e nulla piu’. e un modo come un altro per arrogarsi il potere a senso unico.

  9. Solo una parola, signor Demetrio. Stiamo parlando di donne morte. Non c’è nulla di convenzionale e di doveroso in questo discorso. Donne morte. Come si permette di parlare di potere? La saluto.

  10. Caro Demetrio, vengo da una riunione, proprio ieri sera, per l’inizio di un corso di formazione di operatrici di accoglienza di un centro antiviolenza. Era pieno di volontarie, donne che trovano il tempo oltre al lavoro fuori casa, oppure che possono trovarlo ora che sono in pensione, e scelgono di dedicarlo ad aiutarne concretamente altre. Su base puramente volontaria, perché, lo sappiamo, i fondi non bastano mai, e ce ne sono sempre meno. Mentre la violenza dilaga, è la triste normalità.
    Poi nessuno nega che, in una minoranza dei casi, a subire violenza siano anche uomini, e proprio perché la violenza domestica è un problema gravissimo, e il silenzio di cui parli e i commenti tremendi che si leggono a margine di rappresentazioni come quella di cui stiamo parlando ne sono complici, proprio perché è una cultura di assuefazione e anestetizzazione che favorisce il proliferare della violenza, siamo qui a scrivere.
    Chi scrive qui fa spesso un sacco di cose diverse e molto concrete per arrestare e curare il dramma della violenza domestica. Sì, io purtroppo ho più di un’idea di cosa siano la violenza psicologica e la violenza domestica. Invitare al silenzio e dare per scontato di conoscere le azioni e opinioni altrui non ci porta molto lontano. A me il manifesto che segnali – e a cui avevo accennato – fa orrore tanto quanto l’altro, e proprio per questo ritengo che una legge lungimirante dovrebbe esprimersi in modo diverso. Anche se, spero sarai d’accordo, il numero di persone vittime di violenza per mano di uomini (e parlo di uomini e donne) è molto più alto di quello delle vittime di donne, e sulle ragioni ci sono molti uomini che si stanno interrogando e stanno lavorando. Ma anche il silenzio di cui parli, ripeto, lo trovo molto grave.

  11. Signora Lipperini, stiamo parlando di donne e uomini morti. stiamo parlando di uomini e donne, morti viventi violentati per una vita intera da un partner violento. e infine, le ricordo, stiamo parlando anche di donne e uomini indegnamente rappresentati sui manifesti.
    c’e’ molto, davvero troppo, di doveroso e convenzionale nel restringere, con pre-potenza, il discorso della violenza domestica alle sole vittime di sesso femminile.
    ripeto l’ovvio, la violenza domestica, riguarda uomini e donne, sia per quanto riguarda l’esserne vittima, sia per il dover fare tutto il possibile per arginare il fenomeno.
    mi “permetto” di parlare di potere perche’ e’ anche questo quello che vedo. non saranno certo i toni indignati (appunto…) a non farmi parlare delle dinamiche di potere che si nascondono dietro il voler rappresentare il problema della violenza domestica come riguardante solo le donne come vittime, il problema e’ molto piu’ complesso e tale appare a chiunque voglia analizzare il tutto senza paraocchi.
    mi “permetto” di parlare di potere perche’, anche solo restando nell’ambito della violenza fisica, le donne uccise dai propri compagni vengono sbattute in prima pagina, gli uomini uccisi dalle proprie compagne, stesso fenomeno, stessa gravita’, le vado a spulciare solo nei trafiletti in edizione locale.
    insomma, queste rappresentazioni sbilanciate, non sono naturali, tutto questo passa per delle decisioni. le basta come potere o dobbiamo arrivare alle proposte di legge in parlamento, corsa assolutamente trasversale a tutti gli schieramenti ad accaparrarsi il partito degli indignati da femminicidio?
    mi fermo qua. il mio punto e’ uno solo:
    il problema non si chiama femminicidio, il problema si chiama violenza domestica.
    il problema non sono le donne morte, il problema sono donne/uomini/vittime di violenza domestica/colpevoli di violenza domestica.
    La saluto cordialmente.

  12. Demetrio, che il problema sia complesso è totalmente vero. Che non si possa risolvere (ma qui non è stato fatto, le ricordo) con una guerra fra sessi è verissimo e sacrosanto (né qui si è concordi sulla proposta di legge con aggravio di pena, è stato detto e ripetuto centinaia di volte).
    Devo però dirle che i numeri dicono il contrario: le donne vengono uccise in misura molto maggiore. Ci sono cause profonde, e antiche, e rimosse, dietro tutto questo, e in nessun modo quella che lei chiama l’indignazione da web può risolvere: può risolvere soltanto il lavoro culturale. Che passa, anche, per il dettaglio osceno di pubblicità come quella di Clendy, anche nella versione “per lei”. Anche io la saluto cordialmente.

  13. Lei parla di “negazionsimo del femminicidio”. Cosa intende con questa espressione? A me pare che l’unico negazionismo evidente sia quello dell’intelligenza. Nel 2012 ci sono state 75 morti per femmincidio. Nel 2013 il numero adopo tre mesi è 14, il che proiettato nell’anno dà all’incirca la stessa cifra. Fonte: bollettino di guerra.net
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  14. questo punto mi chiedo che fenomeno si potrebbe negare con un simile numero. Ci sono miriadi di casi di morte catalogabile in motivi noti e identici tra loro che registra numeri significativi. Facciamo una statua anche ai pedoni investiti dalle auto? Il numero dei bambini pedoni falciati dalle auto nel solo 2012 sono oltre 55. Non risco davvero a capire tutto questo clamore.

  15. Possibile che le uniche osservazioni che i commentatori uomini sanno fare sia: “c’è anche il manifesto con la donna assassina, gné gné gnè?” Davvero, è uno spettacolo penoso. Penoso il manifesto. Penoso il cercare di sminuire lo sdegno. Penoso negare cosa sta venendo alla luce in questo periodo storico (il femminicidio c’è sempre stato ed era pure legittimato dall”onore”, ora -semplicemente- queste storie vengono fuori anche grazie alle campagne di sensibilizzazione). Tutto fa brodo: un’immagine sessista, come una parola di troppo. E laddove ci sia l’offesa e la malafede è giusto denunciarlo. Anche a costo – purtroppo – di fare da amplificatore di popolarità a questi pubblicitari e a questa ditta.

  16. Vittorio: il clamore è dato dal MOVENTE. I femminicidi non sono incidenti, ma una branca di omicidi nati dal desiderio di possesso di un uomo sulla vita di una donna (di solito sua partner o ex partner).

  17. Vittorio, credo, è una vecchia conoscenza. Troverà nel libro che ho citato un intero capitolo – se, come immagino, lei è chi penso, ma anche se non lo è – dedicato ai commentatori che arrivano in tutti i luoghi dove si parla di femminicidio per dire: i numeri! i dati! le statistiche 🙂 Mi perdoni se non lo anticipo.

  18. Abbiamo ancora bisogno del parere di Sgarbi? Lui, con il suo linguaggio triviale, sessista e misogino, è corresponsabile della violenza sulle donne.
    Ed ora è anche negazionista! Isoliamolo.

  19. Io resto dell’idea che la connotazione di genere, anche con l’utilizzo della parola femminicidio, porti con sé l’altissimo rischio di dividere e contrapporre, e di incancrenire divisioni : ossia il contrario di quello che dovrebbe fare. Sta creando partiti. Ma già lo accennai l’altro giorno, Loredana.
    Spero solo di sbagliarmi: spero che sia un fenomeno di assestamento e che a lungo termine porti risultati, ma per ora qualche segnale inquietante penso sia evidente, con discussioni fiume sul dito invece che sulla luna (parlo in generale del web e dei giornali), un’alzarsi di toni, una tendenza ad analisi di parte o di genere (come in questo caso, per esempio: io non sapevo che esistesse anche la versione “maschile” di questa pubblicità, e all’inizio viene presentata solo quella “femminile”). Quello che voglio dire è che sembra di assistere a dibattiti tra partiti, in cui ognuno porta al proprio mulino l’acqua più adatta. E ciò, visto che si parla di violenza, di assassini, di sofferenza di esseri umani, non mi pare proprio che porti alla strada giusta.
    Accetto i partiti politici e se si parla di metodi di governo, non se si parla di sofferenza e violenza.
    Le buone intenzioni non sempre portano buoni risultati.
    Ma ripeto, spero proprio di sbagliare e vorrei cambiare idea.
    Leggerò il libro appena uscirà, comunque.
    Ha forse, tutto questo, il merito di sollevare comunque dibattiti.

  20. @Vittorio: se vuole parlare con uno statistico, eccolo qua. Ma in realtà non servono competenze statistiche per dirimere le questioni che lei pone. Lei dice “75 vittime su tanti milioni sono un fenomeno irrilevante” e aggiunge “come si può pretendere di diminuire un numero del genere?”. Dà così per scontato che esista una specie di “tasso di femminicidio naturale”, come fanno gli economisti quando parlano di “tasso di disoccupazione naturale”. Di più: lei suppone di conoscerlo, questo tasso, e lo stima pari all’attuale incidenza del fenomeno, il che la legittima a trarre la conclusione che non sia possibile fare niente per abbassarlo e che l’unica responsabilizzazione possibile sia quella delle vittime, che dovrebbero imparare a sottraRSI. Vede quante cose dà per scontate nel suo ragionamento, che scontate non sono? Per chiarezza, gliele ri-elenco: 1) esiste un tasso naturale di femminicidio (e in questo modo riconduce il fenomeno alla natura, o forse al caso, ma esclude che si possa trattare di un fenomeno culturale; 2) lei presume di poter quantificare questo tasso; 3) lei presume, infine, che dati i fattori di rischio determinanti (natura, o forse caso) non sia possibile incidere sul fenomeno utilizzando strumenti normativi e culturali. Come vede, il suo ragionamento è assai lontano dal metodo scientifico che apparentemente lei stesso invoca, appoggiandosi a delle statistiche. Lei ha ragione su una cosa, anche se non la esplicita in modo del tutto consapevole: che la violenza omicida è un fenomeno che riguarda soprattutto gli uomini. Sono uomini la maggior parte degli assassini (90%, mi sembra) e delle vittime (75%). Il che significa che gli uomini sono più avvezzi ad ammazzare delle donne e si ammazzano di preferenza tra loro; ma da qui a dire che si tratta di un retaggio naturale, e non culturale, ce ne passa. Non dico che la tesi sia insostenibile: dico che ci vorrebbero delle prove solide, e a quanto ne so nessuno ne ha mai fornite. Il femminicidio, a mio modo di vedere, esiste in quanto ci sono omicidi che non verrebbero commessi, se certe donne non esercitassero diritti (chiamiamoli così, anche se a volte si tratta del banalissimo diritto di uscire di casa). E questo non ha nulla a che fare con i numeri: cercare conferme dell’inesistenza del fenomeno nelle statistiche (e ribadisco, lo dico da statistico) ha senso solo se si ha del rapporto tra generi una concezione calcistica: quanti uomini hanno ammazzato quante donne? E quante donne hanno ammazzato quanti uomini? Chi è in vantaggio? E non è questo il modo di affrontare la questione. Che è poi lo stesso modo usato da chi si è precipitato a dire “ecco, vedete che Clendy (o come si chiama) ha fatto pure il manifesto per le donne che rendono pan per focaccia?”. Che sarebbe un’informazione anche utile da conoscere, se non fosse per l’animosità dei toni con cui viene fornita.

  21. Riporto quanto raccontato da Susanna Cenni: “Le deputate e senatrici Pd e Sel in commissione speciale, questa mattina sono intervenute chiedendo alla Presidente della Camera un intervento immediato verso l’IAP per il ritiro del manifesto. Io nei giorni scorsi ho ripresentato la proposta di legge a tutela dell’immagine delle donne nei media e nella pubblicità.”

  22. Cara Ilaria, assolutamente d’accordo sulle modifiche necessarie a quel testo di legge; la mia vera e propria rabbia, altro che indignazione, nasce proprio dal considerare come analisi e rappresentazioni sbagliate in partenza (in buonafede, o anche portate avanti con intenti di vera e propria mistificazione) portino poi, a cascata, a errori ben piu’ gravi, come possono essercene in quel testo di legge, dove per ogni riga ci sarebbero da scrivere paragrafi di controargomentazioni/modifiche…
    su quale genere venga più spesso rappresentato in modo discriminatorio non ci scommetterei, o su quale genere venga piu’ spesso fatto vittima di episodi di violenza fisica non dovrebbe interessare a nessuno parlarne; non e’ una classifica, non devo dimostrare di essere ammazzato piu’ dell’altro per essere degno di tutela, ma se si denigrano i maschi che riescono solo a fare gli pseudo-statistici pro suo genere, allora non si deve nemmeno gridare allarme perche’ i numeri dicono che le donne vengono uccise in misura molto maggiore. Se e’ falso il principio, allora non importa che i numeri siano veri o falsi; se e’ vero, allora e’ lecito citare i numeri da parte di tutti.
    il problema esiste, punto. la discriminazione/violenza colpisce gli uomini come le donne, colpisce le donne come colpisce gli uomini.
    isolare un sottoinsieme del problema, connotarlo aggressivamente con campagne mediatiche generalizzanti che fanno solo appello alle emozioni (“femminicidio”), mostra solo la punta dell’iceberg e crea risentimenti, pseudo-statistici e tifoserie varie. e soprattutto altre vittime.
    non e’ insensibilita’, ma credo nel dibattito sia augurabile concentrarsi sui vivi, affinche’ non diventino… morti. o soprattutto sui vivi.
    quando ti capita di avere di fronte persone che al solo sentire il nome del torturatore, iniziano a tremare di rabbia e di terrore, torturatore che magari e’ un “onesto lavoratore”, un “padre di famiglia” o fa “la maestra” che “ne capisce di dinamiche familiari”, o anche una semplice “brava donna”, ti rendi conto che il problema e’ tutt’altra cosa che solo il “femminicidio” o che oltre che porre l’accento su quest’aspetto, vanno disinnescati i motori delle violenze.
    dice bene la Lipperini, ci sono cause profonde, antiche, rimosse e a volte anche volutamente taciute, naturali e/o culturali che siano.

  23. @Demetrio: sulle cause che ci possano essere, del fenomeno, non farei una distinzione tra cultura e natura, perché la cultura nasce dalla natura, sempre, e non sono separate. La biologia conta più di quello che vogliamo ammettere: siamo animali, non macchine esclusivamente razionali.
    Se c’è la cultura dell’uomo più incline alla violenza fisica, c’è perché nasce da una tendenza naturale del maschio a esprimersi maggiormente con la fisicità: mi pare ovvio, ed è solo una constatazione (lo sottolineo, per dire che non vuole essere una giustificazione: non si sa sai che qualche commentatore mi metta in bocca cose che non ho detto).
    Detto ciò, siamo certo animali ma anche uomini, per cui sta a noi disciplinare tendenze anti-sociali come la violenza, sempre che si voglia vivere in società.
    Per il resto, condivido alcune riflessioni di Demetrio sui rischi di creare tifoserie: ma ho già detto la mia.

  24. Sono in totale disaccordo, Pier 🙂 La cultura deriva dalla natura, certo, ma infine la supera. Non siamo animali, mi dispiace: siamo donne e uomini, che in un contesto culturale nascono e crescono. Che poi dobbiamo fare i conti, donne e uomini, con l’eredità millenaria del contesto stesso è altra cosa. Dire che tutto è natura è un alibi: significa che l’uomo è cacciatore, la donna preda e non se ne esce più.

  25. No Loredana, non ho mica detto che tutto è natura: dico solo che la biologia a mio parere è molto più importante di quello che pensiamo; e non è un alibi, vuole essere un comprendere a 360 i fattori della questione. Se escludessimo certi fattori perché “non ci piacciono” o perché pare reazionario evocarli, non risolveremmo mai i problemi.
    Ma il discorso si farebbe troppo ampio perché comprende tutti gli aspetti della vita, e si finirebbe a parlare di filosofia (la guerra nasce solo dalla cultura? La violenza? Penso di no, perché sono entrambe presenti in tantissime epoche e luoghi diversissimi tra loro).
    Dico solo che sono convinto che abbiamo troppa fiducia nella razionalità, e pensiamo di poter ridurre tutto a cultura e razionalità, negando l’esistenza di una componente istintuale che invece pre-esiste (prima della ratio).
    Non lo dico solo io, lo diceva anche Nietzsche (non che sia Vangelo, ma per dire che non è una mia invenzione campata in aria).
    Ma finiremmo per rievocare i dibattiti tra post-illuministi e romantici e non ne usciremmo più, scantonando troppo 🙂
    E ribadisco che, prima di essere uomini e donne, siamo animali (nel senso letterale), siamo biologia 🙂

  26. Non so quanto deponga bene il fatto che lo dicesse Nietzsche 🙂 Ma non si tratta di negare la parte emotiva di noi: si tratta di non ricondurre tutto alla biologia 🙂

  27. Ma ti sembra che stia riconducendo tutto alla biologia? Semplicemente evito di escluderla, affiancandola agli altri fattori come la cultura etc. etc. 🙂
    Non capisco cosa intenda dire su Nietzsche, ma ci sorrido su 🙂

  28. La faccia l’ha perduta l’attore che si è prestato a ciò. La faccia l’hanno persa i pubblicitari. La faccia la perde chi, passando, guarda e ride. NESSUNA TRACCIA DI FACCE. E se non succede nulla dentro di voi guardandola, attenzione. Saluti.

  29. Pier, ammettendo che la spiegazione sia (anche) la biologia. Gli istinti violenti, eccetera. La biologia prevede anche una differenza del tasso di aggressività in base al genere sessuale? Hai studiato, tu, *tutti* i comportamenti di tutte le specie animali, divisi per genere sessuale? E se anche l’aggressività fosse statisticamente maggiore nei maschi, cosa esclude che l’animale umano non faccia parte di quelle specie in cui il tasso naturale di aggressività è lo stesso nei due sessi?
    Ovviamente io sono d’accordo con Lipperini, e rifiuto la concezione stratificata con la natura alla base e la cultura come sovrastruttura. E’ una concezione che, portata avanti, finisce col sostenere che gli uomini non violenti hanno subìto un maggiore influsso culturale di “repressione”, mentre secondo me è *tutto il contrario*. Sono gli uomini violenti che sono stati più esposti e più sensibili a una vera e propria *cultura* del possesso. Pornografia, prostituzione (la consapevolezza di, *mal che vada*, poter andarsi a comprare un corpo da trattare come vuoi) non sono canali di sfogo di certi bisogni repressi, tutto il contrario: li *creano* e li fomentano, quei bisogni.
    Perdonate l’off topic.

  30. @ Cip
    Scusa, ma che prostituzione e pornografia creino e fomentino quei bisogni è sbagliato. Anzitutto è sbagliato parlare di prostituzione e pornografia come fossero un tutt’uno, poi non hanno nulla a che vedere con i bisogni che citi, ovvero possesso e trattamento disumano. Non sono neanche canali di sfogo. Dipende sempre dalle condizioni in cui vengono esercitate.
    Comunque in Donne e Uomini di Raffella Rumiati c’è un capitolo che parla proprio di violenza e aggressività, molto interessante e che fornisce spunti in entrambe le direzioni ( come credo sia giusto, poi se c’è qualcuno più ferrato magari interverrà ). Anche in questo blog si parla da anni di natura\cultura. Chi sta sotto e chi sta sopra, quale viene prima eccetera. Credo che grossomodo siamo tutti d’accordo sul fatto che sono intrecciate. Ciò di cui si parla nel libro che ho citato è invece la struttura sociale, vero discriminante per capire la violenza.
    Ne cito un passo interessante a proposito di uno studio:
    “Quando le donne pensano di non essere osservate e giudicate, e di non dover subire conseguenze fisiche, sembrano lasciarsi andare di più all’aggressività. Così almeno risulta da uno studio in cui i partecipanti erano impegnati in un videogioco che consisteva nel difendersi dagli aggressori lanciando bombe. La misura dell’aggressività del giocatore è rappresentata dal numero di bombe lanciate per abbattere gli aggressori. Quando i partecipanti rienevano che la loro identità fosse nota allo sperimentatore, e che le loro prestazioni sarebbero state valutate, gli uomini sganciavano più bombe rispetto alle donne. Quando agli stessi partecipanti si lasciava credere che la partecipazione all’esperimento fosse anonima, allora erano le donne a sganciare più bombe. Nessuno è perfetto”.

  31. Non ho assolutamente fatto un tutt’uno fra pornografia e prostituzione, il mio era un (inizio di) elenco.
    Il tuo esempio sull’esperimento col videogioco, appunto, non dà certo una giustificazione biologica alla maggiore aggressività maschile, tutto il contrario.

  32. @ Cip
    mi sono espresso male, ma intendevo pornografia come se fosse una cosa sola e prostituzione idem. I porno non sono tutti uguali e non agiscono allo stesso modo sulle persone. La prostituzione poi, è da considerare tale solo quando esercitata “liberamente”, e che un corpo possa essere trattato come si vuole dipende da che persona è chi quel corpo lo va a comprare, considerando poi che in una contrattazione “libera” tutto questo discorso cade, perché si paga una prestazione, non si acquista un corpo. In questa ottica non vedo come P & P possano essere ricondotte alla cultura del possesso.

  33. Perché, appunto, la cultura del possesso (e della feticizzazione dell’altro: banalmente, l’utilizzo degli altri per i propri fini, senza riguardo per i bisogni e i desideri dell’altro) è uno degli aspetti e degli usi di P & P. Idem la feticizzazione, che io intendo nell’accezione più ampia. In senso stretto, sarà una cosa positiva per qualcuno, ma per un sacco di altra gente, in senso lato, invece, è causa di frustrazione, insoddisfazione e violenza.

  34. Ma la cultura del possesso vivrà anche attraverso P & P e produrrà prodotti e pratiche che la rispecchiano, ma non può essere parte di P & P, che sono una tecnica e una pratica e che di per sé non portano alcun contenuto. Tu gli attribuisci qualità negative che non ne fanno parte a prescindere e che quantomeno dovresti dimostrare.

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