LA STORIA DI IRINA

Io me la ricordo, la storia di Irina Lucidi. Così come ricordo quella di Stefania Adami, la mamma di Laura, Armandino e Luciana Brigida. Così come ricordo le storie dove i bambini diventano l’ultima, terribile arma di ricatto: non mi vuoi più, guarda cosa faccio, guarda, li tolgo dalla faccia del mondo, così vivrai nell’orrore e nel rimpianto per il resto dei tuoi giorni.
Irina Lucidi aveva e avrà per sempre due bambine, Alessia e Livia.  Il loro padre, da cui Irina si stava separando, non le ha riportate a casa nel gennaio del 2011. Dalla Svizzera, è arrivato fino a Cerignola, in Puglia, si è sdraiato sui binari e si è lasciato travolgere dal treno. Delle bambine, nessuna traccia. Solo un biglietto per Irina: ” Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più”.
Raccontare questa storia era difficilissimo: significava affondare le mani nell’incubo di ogni genitore che fa i conti non solo con la fragilità di tutte le vite, ma con la possibilità spaventosa che quelle vite vengano distrutte da chi le ha condivise con te, le ha generate, le ha viste fiorire, le ha seguite con il bacio della buonanotte e la prima tutina di ciniglia. Per questo ho letto con commozione e ammirazione Mi sa che fuori è primavera, che Concita De Gregorio ha scritto mettendosi nell’anima di Irina con delicatezza e rispetto: perché in un mondo che davanti alle tragedie si eccita, e vuole saperne di più,  e sbava a ogni nuovo dettaglio, succede, semplicemente, che ci si dimentica di quel che tocca in sorte a chi è stato vittima dell’orrore dopo che l’orrore non è più alla ribalta. Irina Lucidi ha lasciato il lavoro e la casa, ha viaggiato, ha sognato balenottere felici, ha trovato, anche, un amore degno di essere chiamato con questo nome. Ha continuato a chiedere giustizia, ha scritto lettere a psicoanaliste e dirigenti scolastiche senza ottenere risposta. Ha, infine, fondato Missing Children Switzerland che prima non c’era. Non leggete questo libro con lo spirito del voyeur, ma con quello della tenerezza, e della speranza. Che fanno meglio al cuore, e molto.

6 pensieri su “LA STORIA DI IRINA

  1. Rubo e mi permetto di cambiare le tue ultime righe.
    “Non vivete la vostra vita e non leggete questo libro con lo spirito del voyeur, ma con quello della tenerezza e della speranza. Che fanno meglio al cuore e molto.”
    Le tue parole sono sempre cura e linfa. Grazie Loredana.

  2. Di fronte a storie del genere provo solo un infinito senso di impotenza: ebbene sì, noi, genere umano, siamo capaci anche di questo; ebbene sì, noi, maschi perennemente irrisolti dell’era post-moderna e tecnologica, siamo capaci anche di questo. Come si può vivere con un macigno così pesante che ti hanno buttato addosso “perché l’amavo”!?? Per quanto possa tentare un’empatia, non riesco (o forse non voglio) affrontare un dolore così grande. Anche per questo tutta la mia ammirazione per Irina Lucidi, non so davvero come avrei reagito al suo posto.

  3. Avevo letto anni fa la storia familiare del padre delle due bambine. Si diceva che aveva molto sofferto per la separazione dei suoi genitori. Avevo anche letto che le due bambine erano molto attaccate al loro padre. Credo che quell’uomo fosse innamorato della moglie, che le avesse dato tanto e che cercasse con lei di costruire una famiglia unita, senza più profonde sofferenze. Non ha retto alla separazione. E’ chiaro che non intendo giustificarlo. Come dice una canzone di De Gregori siamo un pò tutti “vittime e carnefici”.

  4. Come vivere giorno dopo giorno con un macigno nel cuore? come non odiare chi ti ha fatto tanto male? eppure nel libro non c’e’ rancore, colpa, desiderio di vendetta ma speranza, leggera speranza quotidiana che ti fa dormire con la porta aperta anche di notte perché’ forse le bambine possono tornare e allora debbono trovare la loro casa e le loro cose!. brava Irina, brava Concita.

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