LA STREGA E IL CONTADINO: ANCORA SULLA DICOTOMIA

Però prima o poi dovremo fare i conti con gli effetti della pandemia e, prima ancora, di un certo uso dei social che ha scavato la divisione profondissima fra “voi e noi”. Non è la prima volta che scrivo di questo, ma ci torno perché in questi due giorni ho constatato la prova provata di quanto sia diventato difficilissimo dialogare.
Sono accadute due cose.
Primo: il commissario governativo per la presenza italiana alla Fiera di Francoforte 2024, Ricardo Franco Levi, anche presidente dell’Associazione Italiana Editori, si è reso protagonista di una vicenda surreale (ma grave proprio perché surreale): ha inviato una mail al fisico Carlo Rovelli per dirgli che la sua prevista presenza e relativo intervento alla Buchmesse erano annullati. Il motivo: il timore che dopo il suo discorso dal palco del 1 maggio (sulla pace) si sarebbero scatenate polemiche. Rovelli ha reso pubblica la lettera, le polemiche così temute sono divenute tempesta, alla fine della giornata Levi ha ritirato il ritiro dell’invito annunciando contemporaneamente che non si sarebbe dimesso.
Come scrive giustamente Nicola Lagioia su La Stampa di oggi:

“Carlo Rovelli è stato invitato alla Fiera di Francoforte perché è uno degli scienziati e intellettuali italiani più noti e apprezzati a livello internazionale. Poi è stato disinvitato perché il suo intervento al concerto del Primo Maggio ha destato polemiche e scalpore, e non sta bene che un intellettuale risulti divisivo e crei scompiglio in un contesto ufficiale. Niente polemiche. E Pasolini? E Malaparte? E Marinetti? E Morante? Quindi si ritiene, uno: che un intellettuale, quando è invitato a parlare in pubblico dalle istituzioni del proprio Paese, debba parlare in nome del governo e non di se stesso. Due: che intellettuali e scrittori in questo Paese debbano avere un ruolo decorativo, e soprattutto che debbano dire solo cose giuste. Ma un intellettuale privato anche della sua libertà di spararle grosse non è più un intellettuale, ma un funzionario.”

E qui secondo me sta il punto. Dopo la vicenda, ci sono stati non pochi commentatori che sparavano a loro volta proprio sull’intellettuale. Ce ne sono stati molti di più che hanno contestato non solo le posizioni di Rovelli sulla guerra, ma quelle di coloro che gli esprimevano solidarietà con tutto l’armamentario sprezzante che si usa da oltre un anno: pacifinti, figli dei fiori, imbecilli, complici di Putin (!). E a nulla vale controargomentare: la dicotomia di cui siamo prigionieri non tollera dialogo, ma solo scherno. Addolora, certo, specie quando nella schiera di chi piomba a urlare “complice di Putin” ci sono persone che conosco da anni e che ho stimato, e che a forza di dirti che il mondo è bianco e nero rappresentano ai miei occhi l’avverarsi di un incubo. La fine di un pensiero complesso, in poche parole. Questo, comunque la si pensi, perché ogni posizione ha la sua legittimità, purché venga argomentata.

Veniamo al secondo fatto.
Notissimo.
Fabio Fazio lascia, dopo quarant’anni, la Rai. Porta il suo programma, Luciana Litizzetto, il suo team su Discovery, come è giusto che sia per qualsiasi professionista che comprende che i suoi spazi di libertà si stanno comprimendo, o annullando.
Bene, nella mia famigerata bolla social ho visto pochissime riflessioni su quanto sia grave un segnale di questo tipo (grave, ripeto, grave). Invece, molta esultanza, molte parole sui compensi milionari (ma scusate, non sarà anche giusto che chi porta ascolti venga pagato bene? Detto da una che non è affatto pagata bene, peraltro, anzi), molti “era ora”.
E qui si apre la seconda dicotomia, o la seconda problematica. Siamo pieni di risentimento e ci vorrebbe un consesso internazionale di psicanalisti e sociologi per capire come siamo arrivati fin qui (sì, certo, la spinta degli anni Ottanta e Novanta e Zero a dirci che il successo individuale è indispensabile, la disillusione, la speculazione sull’uno vale uno, e via così). Ma è disarmante.
Meglio di me, lo dice un’altra breve e fulminante parabola, che si deve al filosofo  Slavoj Žižek. Una strega dice a un contadino: «Ti farò quello che vorrai, ma ricorda, farò due volte la stessa cosa al tuo vicino». E il contadino con un sorriso furbo: «Prendimi un occhio!».
Direi che sarebbe il momento di pensarci su.

 

 

2 pensieri su “LA STREGA E IL CONTADINO: ANCORA SULLA DICOTOMIA

  1. La guerra tra poveri è sempre la più cruenta di tutte. O, se preferisci, la guerra dei penultimi contro gli ultimi. C’è chi ha soffiato sopra questo fuoco e ci soffia ancora. Funziona, purtroppo. Ora è un incendio.

  2. Cosa ci spaventa di più: l’oscurantismo dall’alto o il risentimento dal basso (o il fatto che il primo s’alimenti del secondo)? Il secondo (per sconfiggere il primo) va ascoltato, compreso ed eventualmente “riorganizzato”. Se gli intellettuali condannano rinunciando al tentativo di capire, di farsi interpreti del disagio, quest’ultimo trova forme scomposte di reazione (è sempre accaduto così nella storia). Ma (come diceva Vittorini, o vedi i giusti della città di Berenice di Calvino) di tanto in tanto bisogna che anche gli intellettuali si facciano un serio esame di coscienza. Qualcosa abbiamo sbagliato.

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