L’ASPRA STAGIONE (DI IERI, DI OGGI)

Mi dico: “Ma tu che ti angosci per le spaccature e le divisioni, ne hai già vissuta una, molti anni fa. Non si parlava, allora, di guerra civile?”. Mi rispondo: “Era diverso, nessuna epoca è paragonabile a un’altra, e questa è l’ovvietà. Ma se il paragone fosse accettabile, sappiamo quanto ci è costata quella divisione”.
Per mettere le cose in chiaro, anche con me stessa: non rifuggo i conflitti. Penso che i conflitti siano utili, e che ci diano molte possibilità per capire e avanzare. Ma quello che stiamo vivendo non è esattamente un conflitto: è come quando si sta ai bordi (di un campo di calcio, di una piscina, di qualsiasi luogo dove si svolge una gara) e si perde lucidità e si urla “ammazzali tutti”, anche se a gareggiare è un bimbetto. O peggio. E’ come mi immagino siano i combattimenti di cani: non ne ho mai visto uno, né vorrei mai vederne uno, ma suppongo che quell'”ammazzalo” sia l’esortazione più frequente.
Siamo ai bordi, e nel centro ci si scanna: se qualcuno prova a porre almeno un dubbio, per dire, sull’allontanamento dal lavoro degli over-50 si grida “ammazzalo”. Si grida un po’ su tutto: sulla lingua italiana e sulla scuola e aggiungete voi il resto. In due anni, la modalità dell'”ammazzalo” è quella privilegiata.
Torno dunque alla domanda iniziale e all’epoca cui si riferisce. Ovvero, gli anni Settanta, ormai impastati nella definizione unica de “gli anni in cui ci si ammazzava sul serio”. E così non era, e non varrà ripeterlo perché le definizioni sono comode. Però questa mattina mi sono svegliata pensando a un giornalista, Carlo Rivolta, che era in piazza il 12 maggio 1977 e che di quel macello molto scrisse. E ho ripensato a un libro molto bello di Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale, L’aspra stagione.  Non so se si trovi ancora, ma spero di sì, perché restituisce cosa quegli anni furono. Come dissero all’epoca gli autori:

“Indicativamente l’“aspra stagione” potrebbe essere compresa tra la mattina del 16 marzo 1978, quando viene rapito Aldo Moro, e l’11 luglio del 1982, quando Dino Zoff alza la coppa d’oro col globo per celebrare la vittoria della nazionale italiana al mondiale di football in Spagna.
In quel lustro si compie – almeno a nostro avviso – la fine della prima Repubblica, della Repubblica uscita dalla Resistenza, con i suoi partiti di massa, la grande fabbrica, la centralità operaia, un preciso statuto del politico e via dicendo. Ed è anche il momento in cui si manifesta l’inversione di tendenza, il ribaltamento dei rapporti di forza, l’offensiva liberista che in Italia assume le forme del craxismo. Se la consideriamo in questi termini, quella stagione non è mai finita, coincidendo con la genesi dell’Italia contemporanea, quando le possibilità vengono scartate una dopo l’altra, gli eventi prendono una determinata piega e la Storia scandisce il suo corso. È l’eterno presente, il passato che ritorna, di cui abbiamo provato a scrivere. In altre parole: l’origine dell’oggi. Al di là dell’alternanza tra fasi ritenute espansive e congiunture recessive, al netto della Milano da bere, di Tangentopoli, della discesa in campo dell’imprenditore milanese e delle bolle speculative, per trent’anni abbiamo sperimentato le medesime politiche di attacco al lavoro, disintegrazione dei diritti, devastazione del pubblico e dannazione di un’idea di società. Anzi: queste politiche sono cambiate nella misura in cui sono mostruosamente cresciute d’intensità. Per non parlare degli uomini che hanno praticato o legittimato ideologicamente le ricette in questione. E non a caso sono alcuni dei comprimari – o delle comparse – del libro”.

La stagione che attraversiamo è più che aspra: è accidentata, storta e crudele. Il prezzo da pagare per uscirne potrebbe essere più alto. Mi dico che non ho soluzioni, come sempre, ma che converrebbe tenerne conto prima di contribuire, in buona o in mala fede, a renderla ancora più impercorribile.

Un pensiero su “L’ASPRA STAGIONE (DI IERI, DI OGGI)

  1. Mi permetto un’osservazione, che potrà sembrare poco collegata al post, ma è quello che mi è venuto in mente leggendolo. Da qualche tempo sento la necessità di informarmi sugli anni che ho vissuto da adolescente (sono del ’56), perché mi sembra oggi di avere uno sguardo più nitido, libero da ideologie, e perché oggi forse si comincia a leggere quegli anni davvero. Secondo me a scuola(sono in pensione da settembre) si dovrebbe parlare di più di questo periodo della nostra storia. Forse abbiamo, noi che l’abbiamo vissuta, paura di giudicarci, di renderci conto di quanto poco consapevolmente l’abbiamo attraversato, facendo poi come gli struzzi, come se non fosse successo niente. Può darsi, comunque, che parli solo di me stessa. Buon lavoro.

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