FORTUNATO IL TEMPO DOVE GLI EROI SONO SPEZZATI: DUE LIBRI

Di questi tempi, la parola eroe torna a diffondersi: quasi sempre in modo inappropriato. Volenti o meno, l’eroe continua a essere soprattutto colui che affronta una crisi, o una catastrofe, con il coraggio che altri non hanno, magari da solo, magari prendendo una decisione che viene definita gloriosa, ma che nei fatti, per esempio,  portò alla rovina non solo il conte Byrthnoth nella battaglia di Maldon, ma tutti i suoi uomini. Spinto da quello che nell’antico poema viene definito ofermod ed è sempre stato tradotto con “audacia”. Finché Tolkien, nel 1953, non mutò la traduzione in “orgoglio”.
Torna in libreria in questi giorni il saggio di Wu Ming 4 che di questo parla: di eroi già diversi dallo stereotipo: si chiama L’eroe imperfetto, lo pubblica Bompiani e, come si legge su Giap, contiene un nuovo racconto, La parte di Loki, laddove il dio norreno, “grazie alla relazione con il femminile, accetta la crisi del modello eroico patriarcale e riguadagna così una funzione mitica, ancorché sui generis”.
Non solo. Esce anche per Mondadori la trilogia Cosa Resta degli Eroi di R. K. Morgan. L’ha tradotta con la finezza e l’intelligenza che gli sono proprie Edoardo Rialti. In un articolo uscito su Minima&Moralia mette a fuoco cosa è già cambiato nel concetto di eroe, perché questi sono “eroi obliqui, spezzati, che come i detective di Chandler o i pistoleri e rivoluzionari di Leone erano gravati tanto da un grande e lurido passato collettivo e i suoi sogni infranti che dai narcotici individuali con cui cercavano di smussare le ferite della mente e dell’anima”.
Non solo:

“La tradizione “anti-tolkieniana” dell’epic fantasy fosco e anarchico a la Michael Moorcock – coi suoi Erlic e Corum ispirati a Brecht – si sovrapponeva a My Own Private Idaho di Van Sant, i saggi sulla genetica di Dawkins a Neuromante di Gibson. Tutto ciò finalmente si univa e mi faceva vedere cosa comporterebbe davvero, in una vita come la nostra, incontrare la bellezza struggente e amorale di Elfi duri e splendenti come la Galadriel o il Gil-Galad dello stesso Tolkien, imprevedibili come il Bercilak de Il Cavaliere Verde, magnifici e inflessibili come Mishima, i migliori nazisti di sempre, per i quali evocare città delicate come ragnatele e rapire e abusare bambini o fare sacrifici umani fa tutto parte del medesimo orizzonte radioso. Cosa comporterebbe davvero per amicizie, amori, conoscenza di se stessi, essere immortali. Cosa vorrebbe dire diventare davvero un Re Stregone di Angmar della cui ascesa si percorrano tutti i passi, i dolori e gli inscindibili scampoli di bene, come il Walter White che urla e ride insieme in Breaking Bad.”

Qualcuno potrebbe dire che tutto questo non ha a che fare con la nostra vita. Che sarebbe giusto e opportuno occuparsi di quanto l’agenda dell’informazione detta, che a prevalere debbano essere le notizie grandi e piccole, drammatiche o di costume, che riteniamo siano la nostra realtà. Non è così. Non è così per me, naturalmente, che fallace sono e rimango: ma di immaginario siamo fatti, e quando l’immaginario sta cambiando, significa che rispecchia il nostro cambiamento. E che gli eroi, se esistono ancora, sono fatti di ombre, oltre che di luce. Quindi, dovremmo almeno grattar via il nostro ofermod, l’orgoglio che ci spinge a considerare puerili fesserie quello che non conosciamo, e provare a capire.

 

 

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