Odio le catene. Le odio su whatsapp e le odio su Facebook. Le odiavo pure da ragazzina, quando arrivava la famigerata letterina: di due tipi, quella propriamente detta di Sant’Antonio, che invitava a recitare tre Ave Maria al medesimo, e se non lo facevi guai a te, e quella che si era diffusa un po’ più avanti, con gli indirizzi a cui mandare cartoline (dal momento che all’epoca, grosso modo gli anni Settanta, si faceva collezione di cartoline, pensa tu).
Dunque, odio le catene. Alcuni gruppi whatsapp a cui sono iscritta ogni tanto ne ripropongono una, quasi sempre al femminile. In alcuni casi l’invito a donare sangue, o alla prevenzione del tumore del seno, in altri, quelli che mi mandano in bestia di prima mattina, la celebrazione della meraviglia della donnitudine (quanto sei brava, quanto fatichi, quanto sei santa).
Figurarsi su messenger. Ancora ricevo in numero abbondante, fra una richiesta di promozione di libri e una richiesta di promozione di libri, gli inviti a temere l’hacker Fabrizio. Negli ultimi giorni continuo a ricevere questa:
“Domani, blackout femminile dalle 8:00 alle 21:00. È un movimento per mostrare come potrebbe essere il mondo senza donne. La tua foto del profilo dovrebbe essere solo un quadrato nero in modo che gli uomini si chiedano dove siano le donne. Passalo solo alle donne … È per un progetto contro gli abusi domestici. Non è uno scherzo. Condividilo”.
A parte che l’iniziativa, come ricorda bufale.net, è dello scorso anno, e per quei misteriosi motivi secondo i quali Doris Lessing muore ogni 17 novembre da quattro anni a questa parte, viene riesumata. Ma poi, se posso, che senso ha? Far capire agli uomini che un mondo senza donne è un mondo triste? Oscurarsi per fare luce, mi si perdoni il gioco di parole, sugli abusi domestici? Non è, semmai, prendendo parola, che si discute di violenza invece che, puff, sparire?
Odio le catene. Le odio tutte. Continuerò a ricevere messaggi perché non ci si interroga mai su cosa si fa quando si preme invia, e se ha un senso spedire quel messaggio all’universo mondo e soprattutto se ha un senso il messaggio stesso. Perché sarebbe bello che si spezzassero, le benedette catene. Tutte. Non solo quelle dei messaggini.
Ps. A proposito. Nadia Anjuman è stata una poetessa afgana. E’ stata ammazzata a botte dal marito per aver osato declamare i propri versi in pubblico. Questa poesia si chiama Catene d’acciaio. Magari fate circolare questa, la prossima volta.
Quante volte è stata tolta dalle labbra
la mia canzone e quante volte è stato
azzittito il sussurro del mio spirito poetico!
Il significato della gioia è stato
sepolto dalla febbre della tristezza.
Se con i miei versi tu notassi una luce:
questa sarebbe il frutto delle mie profonde immaginazioni.
Le mie lacrime non sono servite a niente
e non mi rimane altro che la speranza.
Nonostante io sia figlia della città della poesia,
i miei versi furono mediocri.
La mia opera è come una pianta priva di cure,
da cui non si può pretendere molto.
Nell’archivio della storia,
questo è tutto ciò che mi rappresenta.