LE COSE CHE SI SONO LASCIATI INDIETRO, E LE PAROLE CHE AVREI VOLUTO

[kml_flashembed movie="https://www.youtube.com/v/CHvQRSEsk2I" width="425" height="350" wmode="transparent" /]
Scrivevo ieri su Facebook che sto decisamente invecchiando. Come tutti, ho seguito con angoscia  la vicenda dell’aereo condotto alla distruzione. Empatia? Non so, anche se sarebbe gratificante dirselo, giusto?  Probabilmente c’è qualcosa di molto più egoistico, come  l’antica paura comune del volo, e soprattutto dell’ineluttabilità di quello che c’è alla fine dei nostri voli personali. Probabilmente, anche, una reazione del mio cervello rettile, addestrato a temere il momento in cui l’ombra si stacca da terra.
Comunque sia, ho seguito con perplessità l’immediato mutamento delle reazioni nei social (italiani) dalla costernazione al dileggio (pur meritato) verso Daniela Santanché e il suo tweet dove la medesima chiedeva informazioni  sulla provenienza etnica e religiosa del pilota confondendo “airbus” con “autobus”, immagino per il solito scherzetto del T9 che tanti disastri fa, da ultimo.
Mi è venuto in mente, invece, uno dei migliori racconti di Stephen King, e sicuramente uno dei migliori racconti sull’11 settembre, Le cose che si sono lasciati indietro (si trova nella raccolta Al crepuscolo, traduzione di Tullio Dobner,  forse la più malinconica di King). Leggetelo, se potete. O guardatelo: qui sopra c’è il trailer della serie televisiva che ne verrà tratta.
C’è un sopravvissuto, l’assicuratore Scott, che quel giorno fatidico non è andato in ufficio, che naturalmente era in una delle torri gemelle. E ci sono gli oggetti appartenuti ai morti, che come sempre avviene parlano di loro, si tratti di una conchiglia o di un paio di occhiali o, come so e sapete, della ricetta della torta di carote ritrovata in un cassetto o di un vecchio borsellino di finta pelle. Gli oggetti ci sopravvivono e ci parlano di chi non può più farlo.  Ma, come scrive King nelle note all’antologia:
“Uno degli aspetti più belli della fantasia è che offre allo scrittore la possibilità di esplorare cosa potrebbe (o non potrebbe) accadere dopo che il nostro giro di giostra finisce. […] Sono stato cresciuto da metodista ortodosso e anche se ho rinnegato da molto tempo gli aspetti strutturati della religione e la maggior parte delle sue asserzioni dogmatiche, resto fedele all’idea fondamentale che, in un modo o nell’altro, sopravviviamo alla morte. Mi è difficile accettare che esseri così complicati e qualche volta meravigliosi vengano alla fine semplicemente scartati, gettati via come rifiuti sul ciglio di una strada. (Probabilmente è solo che non voglio crederlo.) Come potrebbe essere questa sopravvivenza, però… dovrò aspettare per scoprirlo. La mia ipotesi migliore è che potremmo sentirci confusi e non del tutto disposti ad accettare la nostra nuova condizione. La mia migliore speranza è che l’amore sopravviva anche alla morte (sono un romantico, fatemi pure causa, checcazzo).”
Sto invecchiando e mi piacerebbe che qualcuno, per quei morti infelici dell’airbus tedesco, usasse parole simili, tutto qui.

3 pensieri su “LE COSE CHE SI SONO LASCIATI INDIETRO, E LE PAROLE CHE AVREI VOLUTO

  1. A me è venuto spontaneo tirar fuori dalla libreria Brevi interviste a uomini schifosi di DFW, metter su i vecchi dischi dei Sound (che anche Adrian Borland è stato portato via se non da dal sole nero, da qualcosa di simile), riguardare certe pagine sulla malattia di George Canguilhem: insomma, rivolgermi a chi ha cercato le parole per dirlo, quest’uomo nero che non è lo straniero arrivato col barcone e neanche il vicino della porta accanto, ma l’inquilino che abita dentro di noi. Non bastano le 1500 pagine di Infinite Jest per dire l’orrore della condizione umana, altro che 140 stupidi caratteri. Notizie come quella di ieri ci fanno ricordare, almeno, che c’è chi su quell’orrore ha almeno aperto uno spiraglio, o tolto la chiave dalla serratura per poterlo sbirciare.

  2. Mi trovo in Germania ed ho seguito la discrezione dei telegiornali , il rifiuto di interviste ,”era una brava persona” ,immagini irriverenti . Ma, mi ha fatto piacere.

  3. Certe tragedie fanno pensare a Dio, alle relazioni tra le persone Anch’io ho avuto a che fare con la depressione con i depressi, forse in questo momento la categoria andrebbe un po’ difesa, . più che la categoria andrebbero difese proprio le persone. guardando i tg tanti forse adesso sentono come maggiore il fardello, essere malati, pazzi ,come quello lì, avere addosso il dolore e lacondanna sociale, un altro giro a l già senso di colpa. Si cerca un altro senso, invece, e a volte pensi all’afflizione come a un essere staccati, divisi dal ramo, come se Dio non ti pensasse.
    ciao,k.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto