LE PAROLE PER DIRE IL TROLLING FEMMINILE: PER UN'APERTURA DI DISCUSSIONE

Come molte, o addirittura come tutte, ho vissuto le mie prime amicizie femminili (la preadolescenza e poi l’adolescenza e la giovinezza) in un miscuglio di amore e competitività. Chi delle due avrebbe avuto per prima le mestruazioni, chi avrebbe baciato per prima un ragazzo, chi avrebbe perso la verginità, e via così.
Non credo, come sapete, alla natura ma alla cultura: e resto convinta che alla competizione siamo state allenate da secoli, in modo diverso dai maschi (che pure attraversavano, e forse attraversano, un cimento molto simile: chi bacerà la prima ragazza, chi perderà la verginità, e via così, in una battaglia espressa in modo diverso ma che riguardava, e forse riguarda, soprattutto i corpi e il sesso).
E’ inevitabile? Forse e forse no. Di certo, sarebbe credo evitabile la competizione femminile della maturità, se solo se ne parlasse di più e con maggiore franchezza e soprattutto cercando di renderla pubblica, di non limitarla alle parole fra poche come spesso avviene.
Del resto, i social rendono pubblici gli stati d’animo: si potrebbe pensarci su e chiedersi se sia giusto o meno, e cosa spinge qualcuno a esprimersi senza mediazioni, specie quando si tratta di stati d’animo tossici. La libertà, sarebbe la risposta quasi comune. E, al solito, la controrisposta è identica: quale libertà comporta quell'”adesso gliele canto”, spesso basato sul nulla e non sull’appartenenza del bersaglio alle liste della P2? Bersaglia, bisognerebbe dire: perché nella gran parte dei casi con lo scrittore maschio, il conduttore maschio, il fine dicitore maschio si è enormemente più indulgenti. E so che a questo punto scatterà il corale “non è vero”, e il “volete le quote rosa anche nell’insulto” e “femministe paranoiche”. E’ così, mi dispiace e non vorrei per nessun motivo al mondo che fosse così: ma le donne sono più esposte all’odio. Per lo più, delle altre donne.
L’accusa maschile è più diretta. Si va dall’immortale “è una zoccola” (giusto ieri sera un sedicente poeta, di quelli che ti perseguitano ovunque affinché tu legga la sua opera, mi ha gratificato dell’epiteto, aggiungendo naturalmente che la qui presente zoccola intrattiene rapporti sessuali con il proprio superiore: ovvio, no?) all’altrettanto indimenticato “isterica”. Quella femminile, in moltissimi casi, punta su altro: l’arroganza, la supponenza, la presunta superiorità ostentata.
Ne avevo avuto un assaggio un paio di anni fa, durante la campagna elettorale di Michela Murgia: le sue odiatrici erano donne, in molti casi scrivevano o insegnavano, e dunque lavoravano in ambito intellettuale. Ne ho prova quotidiana anche io, naturalmente: giusto venerdì ho raccontato della scrittrice per ragazzi – che non conosco personalmente – che via messaggio privato mi ha rovesciato addosso una quantità di veleno che desta stupore perché le ho/avrei dato una risposta, dopo un incontro pubblico, con espressione di “odiosa supponenza”.
E in questi due giorni ci ho meditato su. Perché quello che una meravigliosa scrittrice molto più giovane di me chiama, giustamente, “trolling femminile” è in aumento. E’ l’antica questione dell’invidia fra donne, analizzata fino allo sfinimento? Non so. E, secondo me, è troppo semplice. Da una parte, nel caso della giovane conduttrice di cui parlavo qui venerdì scorso, non avrebbe senso, come non lo è nel caso della giovane scrittrice: sono persone all’inizio di un percorso, peraltro ben lontane dalle astuzie alla Eva contro Eva. Dall’altra, c’è qualcosa che la comunicazione via web amplifica drammaticamente.
Per esempio, l’essere diversa da come ti si immagina.
Mi capita di ricevere moltissime mail. Alcune sono molto lunghe. Per la dannata costrizione temporale in cui mi trovo, mi faccio sempre un punto d’onore di rispondere sempre, ma le mie risposte sono brevi. A volte un ringraziamento – non formale, questo posso giurarlo – ma non molto di più. E allora, come dice la mia amica scrittrice, scatta uno dei tradimenti possibili: come formale vieni percepita, e la sensazione dell’altra è che il tesoro – reale – che ha depositato nelle tue mani non sia stato accolto come si doveva.
Ma può essere percepita come un tradimento la stessa risposta: perché in un certo senso tradisce l’immagine che l’altra si è fatta di te, e non corrispondere a quella percezione è grave, così come attività banali, come pubblicare una fotografia (qualche mese fa mi è successo anche questo, un’insegnante ora blogger letteraria che si indignava perché c’erano troppe foto sulla mia bacheca, e probabilmente altre si indignerebbero per il motivo contrario, dove fuggi, dove scappi, vorrai mica essere Elena Ferrante?).
E poi, ancora, c’è l’illusione che fatalmente si prova, come se incontrarsi in un libro, o via radio, o su un social fosse necessariamente reciprocità, mentre non lo è: o meglio, può costituire un presupposto perché lo sia in futuro, ma non è detto. Se io non ti conosco, non ti ascolto parlare, non posso essere reciproca. Anzi, come diceva Luigi Manconi in altro contesto, l’abuso della parola “identificazione” è un atto di arroganza: io conosco le risate, il modo di bere da un calice di vino, il profumo, i passi  delle mie amiche. Non posso sapere le stesse cose di altre: né le altre sanno di me che quel che pensano di sapere: non sanno – se non sono io a renderlo pubblico – delle mie malinconie mattutine, non conoscono la mia voce mentre parlo ai miei figli, non ascoltano i miei dialoghi surreali con i gatti, o con i fantasmi delle persone che ho perduto. Dunque, non sanno.
E allora, mi chiedo, perché tante mie coetanee, che sono già nel cammino dalla maturità da un pezzo e dunque hanno vite compiute, sentono il bisogno di attaccare l’altra? Sì, certo, da una parte c’è l’attacco alla persona Visibile, perché ormai è questione radicata quella per cui la persona Visibile non ha faticato e lottato e studiato per diventarlo, ammesso che conti, ma sicuramente viene da famiglie benestanti, e ha agganci fascinosi ed elitari, e chissà i compromessi, e chissà perché è là. La maggior parte delle persone Visibili che conosco viene da famiglie tutt’altro che benestanti e ha sudato tutte le camicie del mondo per essere dove è. Peraltro, nel caso delle donne, di quella visibilità tiene poco conto, ed è la prima a chiedersi, oddio, e perché? E questo è un altro problema, un’insicurezza che persiste e che ci porta ad accettare quasi con naturalezza il fatto che queste benedette donne visibili lo siano in percentuali minime rispetto ai colleghi visibili, e molto meno peraltro contestati, anzi. Perché se contesti, ragazza mia, sei femminista, e che cosa brutta il femminismo.
Non volevo arrivare da nessuna parte: perché non c’è un punto di arrivo ma, semmai, il tentativo di un punto di partenza per riaprire la discussione. Non voglio affatto mirare ad una sorellanza purché sia: ci sono donne con cui non avrei nulla da dire e che non difenderei “in quanto donne”, e uomini che stimo, con cui lavoro e a cui voglio un mondo di bene. Non è questo il centro della discussione: perché c’è una differenza fra critica e veleno, fra distanza e trolling. E forse sarebbe bene parlarne, per una volta: anche tenendo presente che lo stereotipo Eva contro Eva o femmine che lottano nel fango piace un sacco. Agli uomini, eh.

7 pensieri su “LE PAROLE PER DIRE IL TROLLING FEMMINILE: PER UN'APERTURA DI DISCUSSIONE

  1. Forse i social sono troppo giovani, forse ci vorrà del tempo prima che impariamo tutti una modalità sana di interazione con gli altri utenti, soprattutto con quelli e quelle che hanno una fama piccola o grande. Da una parte la piattaforma virtuale, dove mi sento autorizzata a dire cose che un buon senso anche minimo mi scoraggerebbe dall’esprimere in qualunque altra sede, dall’altra il perdurare di idee antichissime per cui una donna che non è tutta un “prego, si accomodi” accompagnato da sorrisi mi indispettisce, in fondo chi si crede di essere, cosa sarà mai più di me, e visto che la rete me lo consente perché non dirgliene quattro, e via alla casella di partenza. Forse dobbiamo tutte fare meglio i conti con il passato, elaborare anni in cui abbiamo sentito discorsi “quella è una falsa/ stronza/ invidiosa” che se le cose le vanno male è perché è un’incapace e che se ne stesse a fare la calza, ma se le vanno bene è perché è una strega o una mignotta, invece di indirizzare la critica su quello che fa o dice e non su quello che lei è o pensiamo che sia. Personalmente cerco di razionalizzare; millenni di sottomissione e irrilevanza, di cui la guerra fra povere è una conseguenza diretta, non si cancellano mica in un misero secolo scarso in cui si è tentato, con alterne fortune, di affermare principi diversi. Eppure fa male, perché basterebbero piccoli sforzi quotidiani, aggiustare il tiro ogni giorno, chiedersi perché quel livore non lo proviamo, o comunque non in quel modo, quando siamo di fronte a un uomo. Bisogna lavorarci.

  2. Sento di poter concordare con quello che scrivi, e mi rattrista molto dover riconoscere che spesso è proprio così che accade. Ne ho scritto anch’io in un libro, ma non è questa la sede, solo pensavo che il problema è paradossalmente proprio la visibilità. Il desiderio di una visibilità che non è data solo dall’essere presenti o “noti”. Il desiderio di riuscire a essere visibili a se stesse, percepirsi visibili non perché viste da altre, ma perché si ha la forza e/o il coraggio si potersi riconoscere per quello che si è, di essere coerenti con scelte spesso difficili che talvolta isolano. Perché scagliarsi “contro”? Perché spesso non si riesce a guardare a se stesse. Forse, almeno questa è la mia esperienza, il punto non è Eva contro Eva, ma Eva contro se stessa perché non pienamente libera di cavalcare la propria onda, il proprio senso, la propria direzione. Questo sì che avvalora certi gusti, di certi uomini!

  3. Essere diversa da come ti si immagina…
    Sì, questo sembra essere il nucleo su cui lavora l’invidia, spesso insieme alla delusione per non essere capaci di fare altrettanto e un sacco di altre sensazioni che la maturità dovrebbe insegnare a controllare.
    La competizione?
    Posso raccontarmi vittima di stalking da parte della mia sottoposta, i casi della vita ci hanno portato così, con meno titoli io ma più voglia di fare di lei.
    Racconterò che mi sono arresa, non poteva più fare per me un ambiente, dove avevo instaurato massima disponibilità e nessuna gerarchia, ma dove l’anello debole, la sfortunata nella vita, si rapportava al grande capo come all’asilo i bambini con la madre superiora.
    I brillanti risultati che ottenevo venivano da lei presentati come invasivi per il potere del capo ( anche gli allocchi devono stare al mondo ), nulla di più falso.
    Mi sono arresa, ho cercato altro… e li ho lasciati col cerino in mano.
    La maturità mi ha portato a sentire pena per lei ( e per lui ) e a non farmi travolgere dal rancore… ma non si sta bene.
    La vita per fortuna mi ha dato altro…

  4. Che bella questa lettera e vera. Ecco gentile Loredana per il niente che vale confermo la sua gentilezza, lei una volta ha risposto ad una mia mail con un “Grazie di cuore, davvero” e a voi sembra niente? Veramente tutte le parole non vogliono dire più nulla? Un grazie è un grazie perlamiseria e un grazie di cuore ti fa felice. Ecco poi ci sono uomini che ogni giorno cercano di non cadere in certe trappole e anche un grazie di Loredana Lipperini può servire.
    Ecco grazie di cuore Loredana, davvero grazie di cuore a lei, anche se non ho la pretesa arrogante di conoscerla. Grazie. Andrea

  5. Ecco , anch’io devo dirti grazie Loredana , per le parole che sai scrivere e che sanno andare nella giusta sensibilità per capire questa complessità che è avere rapporti “civili” tra donne , sopratutto .
    Io sono ormai una nonna , ma ancora vivo nel mondo del lavoro e osservo più distaccata le tante “fatiche” e “sgomitature” che in molte sono costrette ad attuare.
    Una riflessione su tutto questo aiuta e grazie a te per farlo !

  6. credo che gli uomini siano invidiosi tra loro, competitivi o solidali tra loro nè più nè meno delle donne. In ogni caso la competizione (persino una leggera invidia) può essere sana, il livore no. Personalmente davanti a un uomo più bello o più di successo di me ho sempre provato ammirazione mista anche a una leggera invidia ma mai ho pensato “perchè lui sì e io no”, questo è tipico di vittimisti frustrati, uomini o donne che siano

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