Ricevo da Vanni Santoni (personaggi precari, ricordate?) questa mail:
“Un grande romanzo collettivo a 200 mani, il più grande della storia della narrativa mondiale, scritto da autori reclutati su Internet. È questa la sfida lanciata da SIC – Scrittura Industriale Collettiva, sigla che nasconde un innovativo metodo di scrittura di gruppo e la community che lo utilizza. Un vero e proprio movimento, nato dalle menti di Vanni Santoni (romanziere anche “individuale”, recente la pubblicazione de “Gli interessi in comune” per Feltrinelli) e Gregorio Magini (scrittore e autore di uno studio accademico sul tema della scrittura collaborativa).
Presentato per la prima volta alla Fiera Internazionale del Libro di Torino, il movimento SIC ha già pubblicato vari racconti e un romanzo breve, ma oggi alza la posta, e lancia il progetto di un romanzo a 200 mani, che unirà il processo collettivo più antico che ci sia, quello della memoria, e quello, recentissimo, della scrittura collettiva via Internet. Il grande romanzo sarà infatti ambientato nell’Italia degli anni 1943-’45 e il soggetto di partenza verrà scritto basandosi sugli aneddoti raccolti e inviati dagli stessi partecipanti.
Iscrizioni, aperte a tutti e gratuite, dal 20 febbraio al 2 aprile 2009.
Per informazioni e iscrizioni è possibile consultare il sito www.scritturacollettiva.org o scrivere a sic@scritturacollettiva.org”
Ricevo anche questa mail, nella lista ludica a cui sono iscritta (e se il libro corrisponde all’articolo, medito)
Da Fantasy Magazine, 19 febbraio 2009
www.fantasymagazine.it/notizie/9898/nel-tunnel-del-fantasy
The Elfish Gene
Nel tunnel del fantasy
Mark Barrowcliffe racconta la sua adolescenza da giocatore di Dungeons & Dragons
Mark Barrowcliffe è il nome dell’autore di “The Elfish Gene” e allo stesso tempo ne è il protagonista: un dodicenne che, come altri venti milioni di ragazzi cresciuti a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, decise di passare l’intera adolescenza facendo finta di essere un mago, un guerriero o un nano.
Come un novello Mark Renton (il protagonista di “Trainspotting”, che sul grande schermo ha il volto di Ewan McGregor) l’autore, in questo libro uscito a fine 2008, ci guida alla scoperta della sua droga privata: Dungeons & Dragons, il gioco di ruolo ideato da Gary Gygax e Dave Arneson, e pubblicato per la prima volta nel 1974.
“Nell’estate del 1976” si legge sul sito ufficiale dell’autore “un ragazzo di dodici anni ebbe l’occasione di essere normale e l’ha sprecata. Mentre gli altri teenagers si ribellavano, Mark… scoprì D&D e la sua vita non sarebbe più stata la stessa. Non si accontentava più di essere Mark Barrowcliffe, un goffo e ordinario ragazzo della classe operaia di Coventry, Inghilterra; lui poteva essere Alf l’elfo, Foghat lo gnomo, o Effilc Worrab, un guerriero dalla testa d’asino.”
“Armata solo di penna, carta e dadi, questa generazione perduta si arrese alla mania dei giochi di ruolo fantastici e a tutto quello che andava di pari passo con loro: dalla musica heavy metal ai funghi magici, fino alla convinzione che la propria bicicletta fosse un cavallo di nome Shadowfax.”
“The Elfish Gene” non è un romanzo su Dungeons & Dragons, non è un’avventura fantastica come la “Storia infinita”. Del libro si può dire che offre uno sguardo su quei pochi e orribili anni dell’adolescenza: il senso di inadeguatezza, la ricerca dell’identità, il bisogno di appartenere a un gruppo e tutto quello che ogni ragazzo, chi più e chi meno, ha provato.
Il ritratto tratteggiato nel libro è impietoso: Mark ne esce fuori come un ragazzino invitato a giocare solo perché ha i libri gioco più belli, come un ragazzino talmente compreso nel suo ruolo da indossare un mantello e sviluppare un senso estetico legato a quello che avrebbe indossato il suo personaggio, come il creatore di una lingua tutta sua, l’incauto degustatore di funghi velenosi e come uno spericolato mago alle prese con palle infuocate realizzate con palloni e butano.
(Simona Ricci, 19 febbraio 2009)
Poi ricevo quest’altra mail da Kai Zen, e la mail non è a carattere letterario, ma serve lo stesso:
Oggi mi telefona mia madre. “Sono preoccupata…”
“Che succede?”
“Mi mancano soldi sul conto postale. Dovevo avere X e invece ho X -350. Oggi è giorno di pensione. È davvero strano.”
“Uhm…”
“La cosa si complica perché devo pagare l’affitto…”
Un giro di telefonate tra ex colleghe. Poi richiama: “Strano davvero. Anche a … e a … mancano 350 euro”.
Sento G all’altro capo d’Italia per questioni Kai Zen e poi racconto la storia di mia madre e colleghe, tutte pensionate in Provincia di Bolzano. G da Messina mi dice: “Cazzo, anche delle colleghe di mia madre hanno preso 3-400 euro in meno di pensione…”
Io, da tempo faccio repubblica per conto mio. Ho avvisato per cortesia anche il presidente della repubblica italiana di questa mia secessione personale, una gentilezza tra capi di stato… In fin dei conti l’Italia non perde nulla: guadagno miserie come precario e le tasse che pago sono più alte di quello che guadagno ma comunque sono cifre che non spostano nulla.
In un paese in cui la scuola, la ricerca, la formazione e l’istruzione sono in bancarotta e in cui a nessuna di esse si può destinare l’8 permille, in un paese in cui il Vaticano, uno stato estero, come me, incassa tra contributi e bonus fiscali 4 miliardi di euro l’anno (si pensa al futuro, ma a quello dopo la morte) e in un paese in cui si tutela la vita di chi è in coma vegetativo da vent’anni (la politica, scriveva Camus, è un affare da massaie, serve a tenere in ordine la cucina, ad amministrare, quando parla di etica cessa di essere
politica…) ma non di chi lavora e in cui si produce la maggior quantità di mine antiuomo al mondo, ora si tagliano le pensioni.
Forse, chi come mia madre, dopo 45 anni di lavoro, ha preso i 40 euro di bonus governativo non sapeva che si trattava solo di un prestito a breve durata e che avrebbe dovuto pagarlo con gli interessi”.
“Un grande romanzo collettivo a 200 mani, il più grande della storia della narrativa mondiale, scritto da autori reclutati su Internet” È una sfida interessante e lodevole, soprattutto anche perchè su Internet in mezzo al ciarpame ci sono scrittori non pubblicati veramente a volte molto più “necessari” qualsiasi cosa significhi, di altri che pubblicano regolarmente. Tuttavia non la condivido questa scelta per il semplice fatto che trovo la scrittura un processo autonomo tremendamente individuale e personale, la scrittura a volte costa anche l’intera vita.
Ho letto mezzo The Elfish Gene, ed mi è sembrato un libro di “genere”, e il genere è l’ex tossico che racconta le sue miserie dei tempi “buchi”…
Ma il tipo di scrittura proposta da SIC non si contrappone alla scrittura come processo autonomo individuale e personale, tanto è vero che Santoni è anche un (bravo) scrittore individuale.
Trovo questo processo molto interessante, perché incorpora nell’idea di narrazione come processo collettivo un lavoro sulla memoria che mi pare notevole. In ogni caso, prima che scoppino polemiche, aspetterei di vedere il risultato.
– claudia b.: quello l’ho letto e lo so, c’è scritto anche sopra e conosco il lavoro individuale di Vanni Santoni. Non si contrappone no, chiaro. Non ho capito quale è il lavoro sulla memoria se qualcuno me lo spiega.
Anche mio padre (quasi 80 anni, vive in provincia di Taranto) ha avuto – 600 euro sul conto della pensione, con conseguenti deficit di gestione del budget mensile… una sottrazione giustificata da un improvviso «conguaglio fiscale»… che sta succedendo in questo paese?
@Claudia: grazie!
@Loredana: spero di essere ricordato anche per “Gli interessi in comune”… ^^
@William: grazie per i complimenti sei invitato a scoprire cosa c’entri la memoria qui: http://www.scritturacollettiva.org/blog/grande-romanzo-aperto-sic-considerazioni-preliminari
Per quanto riguarda la diatriba processo individuale vs processo collettivo, che ci accompagna fin dalla primissima uscita pubblica della SIC (e che non ci turba, dal momento che siamo prima di tutto scrittori “individuali”) il punto è che la scrittura collettiva – quando non è una staffetta, che è somma di processi individuali – è un tipo di processo diverso dalla scrittura individuale: se vogliamo, un’altra arte, che attinge altrove e altrove punta.
Ma la ‘narrazione come processo’ non è un’idea del postmoderno?
E quindi?
(a scanso di equivoci, processo non per questo o quel sottinteso, ma semplicemente nel senso di
pro|cès|so
s.m.
1 BU lett., svolgimento, proseguimento di un’azione, di un fatto e sim. | il trascorrere, il passare del tempo
2 FO successione e sviluppo di fenomeni concatenati fra loro che producono un passaggio graduale da uno stato all’altro
3 FO serie di operazioni che si compiono per conseguire un determinato fine)
Beh qui e altrove sono in molti a dire che una letteratura che si concentra sul procedimento, sulle operazioni da fare per, magari dà dei frutti un po’ superati.
Ma era solo una domanda, il romanzo può anche essere buonissimo.
Capisco. A livello di scrittura individuale, sono pienamente d’accordo.
Per quanto riguarda la scrittura collettiva però, a meno di non voler fare staffette (ovvero: somma di processi individuali, consapevoli o meno), che a meno di editare violentemente saranno sempre disomogenee, le ‘operazioni da fare per’ sono cruciali.
Sta succedendo questo nell’indifferenza di tutti i media, tranne che di “mi manda raitre” in concorrenza con Sanremo:
Le cose sono andate più o meno così. L’anno scorso l’Inpdap avvisa i pensionati della funzione pubblica che in caso debbano modificare la loro posizione, o in caso i loro figli non siano più a carico hanno l’obbligo di comunicarlo. Molti sono in pensione da anni, la dichiarazione dei redditi non la fanno perché viene fatta automaticamente, un po’ come accade per i dipendenti pubblici con i loro stipendi, i figli sono maggiorenni, fanno la loro dichiarazione o quel che è, vivono per conto loro, con un’altra residenza, in un’altra città. Sta di fatto che in molti non pensano ci sia nulla da modificare o da segnalare. Invece i figli, per disguidi e ritardi burocratici, risultano ancora a loro carico. In ragione di tale circostanza in realtà non hanno mai preso nulla di più con la pensione, semmai hanno pagato un po’ meno tasse: siamo nell’ordine delle decine di euro l’anno.
Il ministero delle finanze inizia a fare dei controlli incrociati, capillari e approfonditi, e senza avvertire nessuno decide che i pensionati devono pagare un forfait. D’improvviso, senza convenevoli e senza vaselina, 300 mila pensionati si sono trovati, questo mese, con decurtazioni di centinaia di euro. C’è chi si è visto sparire oltre 1200 euro. A metà mese, con le bollette, gli affitti, la spesa e tutto il resto, e senza essere stati avvisati in precedenza, molti dovranno indebitarsi con le banche, con la posta, o peggio per pagare i conti e poi dovranno pagare gli interessi. La domanda è perché non sono stati avvisati in tempo? E soprattutto perché le decurtazioni non sono state rateizzate per evitare situazioni limite?
D’accordo, i pensionati dovevano forse informarsi meglio e sono in qualche modo evasori fiscali. Devono pagare, eppure in questo paese gli evasori fiscali sono una categoria protetta, condonata e anche ammirata. Capita anzi che vengano elevati al rango di eroi, come i dottori centauri o i cantanti lirici passati a miglior vita. Qui si muore a sprangate perché qualcuno crede di averci visto rubare un biscotto, ma si viene portati in palmo di mano se si vince un moto gp con una mano e con l’altra si sottraggono milioni al fisco con raffinati giochi di prestigio.
Non ci sembra che nessuno abbia riportato la notizia, eppure riguarda una popolazione pari a quella di una città media. Certo c’era il derby Milan Inter, c’erano le elezioni in Sardegna, c’era l’ondata di stupri, c’era la ragazza in coma, il grande fratello, x-factor, gli operai e gli impiegati in piazza, un segretario di partito che si toglie dalle palle, qualcuno che si mette tra le palle, un primo ministro che fa le battute sui desaparecidos argentini e tutto il resto. Evidentemente 300 mila pensionati nella merda non fanno notizia anche perché sono legati alla crisi. Fate i conti. Quanto fa 300.000 per (in media) 500 euro?
Tutto questo nel silenzio delle istituzioni, nel silenzio dell’opposizione, nel silenzio dei media.
La vostra crisi non la pagheremo noi si leggeva un po’ di tempo fa in giro per l’Italia. Quel noi dovrebbe rappresentare non solo i giovani precari ma anche i vecchi pensionati. Evidentemente era solo uno slogan, perché stiamo pagando eccome. Ecco perché abbiamo deciso di pubblicare questo post così “demagogico” su : kaizenology :, che non è un blog dedicato all’informazione ma alla letteratura, nello specifico alle nostre produzioni letterarie. Evidentemente la fiction non poteva inventarsi una realtà peggiore e la realtà crede sia solo fiction.
http://kaizenology.wordpress.com/2009/02/19/bancarotta-2/