Novantuno su cento. Questo il numero dei ginecologi obiettori del Lazio denunciato ieri nella conferenza stampa della Laiga. Un macigno, specie per le donne costrette a ricorrere all’aborto terapeutico. E in prospettiva, anche: perché i non obiettori stanno invecchiando e, al momento, non esiste ricambio.
In tutto questo, il discorso sull’aborto è stato, fortunatamente, riaperto e riportato all’opinione pubblica che intende difendere la legge 194. In tutto questo, ringrazio con tutto il cuore Lella Costa. Tramite la magnifica @pensieroetico, ci siamo scritte ieri pomeriggio. E questo è il suo commento e il suo appello.
Lella Costa
La legge 194 è una buona legge. Non perfetta,ma buona. Sancisce il diritto forse più doloroso che noi donne abbiamo conquistato nel nostro paese ( a volte mi chiedo se quello stesso referendum, oggi, avrebbe lo stesso esito, e siccome non sono precisamente ottimista preferisco non rispondermi).
E non lo sancisce affatto “senza se e senza ma”, come vorrebbero far credere tutti i patetici, livorosi crociati che ciclicamente scendono in campo per provare a limitarlo, questo sacrosanto dolorosissimo diritto.
Forse bisogna ribadire, per loro e per tutti,alcune cose fondamentali. A nessuna donna piace abortire, mai. Nessuna donna sceglierebbe mai l’aborto come metodo di controllo delle nascite: semmai sono gli uomini ( non tutti, certo) che non si fanno minimamente carico del problema della contraccezione perché “tanto male che vada la soluzione c’è”.
Interrompere una gravidanza è una scelta difficile, traumatica, spesso devastante. Un lutto che non è consentito elaborare, men che meno pubblicamente: ti dovresti vergognare, altroché. Anche se l’aborto era terapeutico e tu quel figlio l’avevi progettato e desiderato e mai, a nessun costo, avresti voluto separartene, e se l’hai fatto è stato solo per non creare altro dolore.
Ci sono passata due volte, so esattamente di che cosa parlo, e che nessuno si permetta anche solo di pensare che è stata una scelta egoistica, o superficiale, o peggio.
Noi chiediamo, noi esigiamo semplicemente questo: rispetto. Perché c’è un limite a tutto, e da troppe parti lo si sta superando.
Ora basta. Se non ora, quando?
Grazie. Queste cose non le si ribadiscono mai abbastanza, eppure sembra tutto inutile, e gli argomenti pretestuosi vanno sempre avanti. Che poi alla fine è sempre e solo una quesitone di potere e popolo bue e se la gente la influenzi sulla tavola (facendone dei morti di fame) e nel letto, la puoi controllare più facilmente.
Meravigliosa Lella Costa. Grazie
Ho le lacrime agli occhi. Meglio di così non si poteva dire. Meravigliosa come sempre sig.ra Costa. Grazie.
Ho avuto la fortuna di sentire Lella Costa un mese fa circa.Ero con alcune mie amiche e siamo uscite entusiaste.L’avevamo già apprezzata a teatro ma riuscire ad ascoltarla in questo modo è stato illuminante.
Una persona veramente umana,lo si vede dalla commozione che le sale spontanea quando parla di alcune sue esperienze e delle persone che stima e con cui condivide il viaggio.
Queste sue parole sulla 194 le avevo quindi già sentite ma fa bene vederle scritte.
Vi ringrazio per la condivisione.
Un abbraccio a tutti.
parole stupende!arrivano al cuore del problema, il dolore che si prova contro la leggerezza e la superficialità di cui viene tacciato chi abortisce.
E’ importante in questo momento che donne pubbliche e visibili facciano un intervento come questo davvero – perchè mette il dibattito in una certa prospettiva e un certo assetto. Speriamo qualcun altra segua l’esempio.
Mi auguro che anche le parole di Lella Costa ci aiutino a infrangere quel muro di giudizio, pregiudizio e ipocrisia che impedisce alle donne italiane di vedere rispettata una legge e la propria libertà di scelta.
Come Zauberei mi auguro che molte altre e molti altri seguano l’esempio della grandissima Lella!
Poi magari un giorno un personaggio pubblico altrettanto in vista (ma anche meno) avrà il coraggio di dire quanta fatica ci vuole per far nascere, allevare ed educare figli, dando un contributo inestimabile alla società, e quanto poco (anzi nulla) lo Stato riconosce questi meriti, trattando anche a livello pensionistico queste madri esattamente alla stregua di una donna che ha vissuto (legittimamente, certo), solo per sè stessa. Secondo me ha grandi meriti il femminismo radicaloide tutto italiano, che ha sostenuto in modo praticamente esclusivo la questione abortiva relegando la maternità a un problema di second’ordine.
Grazie Lella Costa, così si deve usare la propria popolarità.
Valter, come dice paola m, così si può usare la propria popolarità, quando è minacciata una legge dello stato, quando si sente il problema di tutte come il proprio. Siamo d’accordo che in realtà i problemi sono ancora tanti: dagli asili nido all’assistenza agli anziani, all’educazione sessuale, al congedo parentale, alla condivisione dei compiti domestici e di accudimento, le pensioni, ecc. E che non riguardano solo le madri…
E’ che si tratta ancora di far entrare il concetto di parità di genere nella testa degli italiani, uomini ma anche donne. Però vedi, quando usi una frase come ‘una donna che ha vissuto (legittimamente, certo) solo per sè stessa’, mi dispiace, non ci siamo proprio. Appunto.
Valter Binaghi assume una posizione che a istinto mi trova in completo disaccordo, ma a pensarci bene se rifletto sulla diversa attenzione che ricevono dai movimenti la questione della 194 e quella della legge 40 sulla PMA (di cui abbiamo discusso, di recente, proprio sul blog di Loredana) mi sa che un po’ di ragione mi tocca dargliela. Certo, il motivo per cui lo stato dovrebbe discriminare due cittadine sulla base delle proprie scelte di vita mi resta oscuro. Questo dell’elevazione del fare figli a merito sociale è un luogo comune assai duro a morire.
Paola e Maurizio, qui non si tratta di discriminare togliewndo qualcosa a qualcuno, ma semmai riconoscere qualcosa in più a chi si è prodigata diversamente, con diverso beneficio per la società. O mi verrete a dire che una lavoratrice madre ha goduto (in Italia) di attenzioni e cure durante la gravidanza e l’accudimento della prole? Ci sarebbero poi anche i padri, ma capisco che parlare di padri qui è come agitare un osso di prosciutto sotto il naso di un musulmano, quindi restiamo pure alle donne. La legge Fornero è stata una vigliaccata per tutti i lavoratori, ma per le donne di più, soprattutto in quanto madri, che hanno fatto la fatica che hanno fatto e si ritrovano a lavorare fino a 67 anni. In questo caso, le femministe non hanno visto minacciata nessuna dignità di scelta. Non hanno capito che in questo modo le gravidanze saranno sempre più indesiderate. Forse gli sta bene così.
@Maurizio
I luoghi comuni spesso sono la pura e semplice realtà, indimostrabile perchè assolutamente evidente.
Come la differenza di genere.
Scusa Valter, non è vero che il femminismo non si occupi di maternità e del sostegno alla medesima, non vediamo solo quel che ci va di vedere. Sulla legge 40, purtroppo, il malinteso “naturalismo” portò, anche, all’astensione. Ma quello della maternità è un problema centrale.
@Valter: non vorrei che la vis polemica ci portasse lontano, come spesso accade, dagli obiettivi comuni. Se intendi dire che le persone che hanno figli non vengono minimamente supportate dallo stato e dal pubblico in generale con servizi, ancorché minimi, hai ragione da vendere. E questo non significa privilegiare chi ha figli, ma solo dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno: strutture per l’infanzia a chi ha figli, opportunità di crearsi il proprio futuro a chi non ne ha. Penso che su questo possiamo essere tutti d’accordo, e non vedo perché accapigliarsi.
Invece mi preme sottolineare quello che ti ha fatto osservare Loredana in materia di maternità – tema a cui tu tieni molto, ma non sei il solo – e delle contraddizioni che scaturiscono da queste pretese leggi di natura che nessuno, finora, ha saputo definire in modo decente: “Sulla legge 40, purtroppo, il malinteso “naturalismo” portò, anche, all’astensione”.
Parlare di padri, poi, perché no? Qualcuno, proprio su questo blog, ha scritto pochi giorni fa in un commento che finché ci saranno donne che ritengono legittimi trattamenti asimmetrici in nome di un pregiudizio (per esempio nell’affidamento non condiviso dei figli in caso di divorzio) non faranno altro che rafforzarlo, quel pregiudizio. E allora parliamone, di paternità: abbiamo la stessa identica responsabilità che hanno le madri, e ne devono conseguire azioni e comportamenti coerenti. Poi parli della riforma Fornero, che io personalmente detesto. Dal punto di vista delle donne, però, non è così pacifico cosa andrebbe contestato, e quindi capisco anche che non ci sia stata una levata di scudi unanime da parte dei movimenti. Per esempio, innalzare l’età della pensione garantisce assegni meno miseri perché, non ce lo scordiamo, con il sistema contributivo ciascuno è tenuto a pagarsi la pensione da sé, e quanto accumulato durante il periodo lavorativo dovrà bastargli per il resto della vita. Né era pensabile mantenere in vita un sistema (quello retributivo) in cui i giovani dovevano (e devono ancora, purtroppo) pagare la pensione agli anziani, che di solito sono economicamente meno malmessi di loro. Non fosse così, non si spiegherebbe come mai una persona dalla storia coerente come Emma Bonino sia da tempo schierata sul fronte (impopolare) del prolungamento della vita lavorativa. Andrebbe invece contestata, la riforma, laddove introduce quel pallido simulacro di congedo parentale obbligatorio per i padri (tre giorni, ridicolo) e in tante altre sue parti, ma è anche una cosa di lettura complessa, che richiede tempo. In definitiva, mi pare che tu abbia messo troppa carne al fuoco. Andando oltre tutto OT, e portandoci pure me che ti ho seguito. La piantiamo qui?
Ma si, mica voglio farci una guerra. Mi piacerebbe che le cose venissero collocate in prospettiva sinottica, in un orizzonte il più ampio possibile. Se esiste una questione femminile (ed esiste, se no non saremmo qui a parlarne), la maternità come libera scelta e la maternità come valore sociale non adeguatamente supportato andrebbero messe sempre insieme. Tutto qui.
ma a me pareva che qui si parlasse d’altro. si parlava di una donna (di molte, di tutte) che vuole essere libera di scegliere con dignita’. di vedere il suo dolore rispettato, di essere trattata come persona se si trova davanti a una delle scelte piu’ terribili che si possano fare.
si citava una signora che ci ha messo la faccia, ora che non fa (non dovrebbe fare) piu’ scalpore dichiarare la propria omosessualita’, e’ ancora tabu’ immondo ammettere di aver vissuto un aborto.
e’ difficile parlare. scatta il processo. alle intenzioni, alla vita precedente e successiva, si diventa oggetto politico, oltre che di chiacchiera da bar. e io sono grata, e commossa, che questa signora abbia deciso di metterci la faccia.
Io credo che un po’ di letture farebbero bene. A tutti.
Ma quali?
Ci dica dottoressa, che siamo avidi di sapere.
Poi, magari, contraccambiamo.
Servizi, sostegno, bigenitorialità sono tutte azioni da implementare. Trovo molto offensivo dividere le donne tra chi ha scelto di diventare madre e chi no. Il giudizio morale – chi non ha procreato ha deciso di vivere per sé, esclude tutti coloro che per la società si spendono – da chi si occupa di ricerca scientifica a chi esercita mestieri artigianali. I genitori hanno bisogno di sostegno tuttavia le donne devono essere messe in grado di reggersi economicamente sulle proprie gambe, soprattutto se madri. Ci manca solo lo stipendio per la maternità.
“chi si occupa di ricerca scientifica a chi esercita mestieri artigianali”
Mi risulta che per tutti costoro siano previsti riconoscimenti economici, accademici, ecc.
E non c’è dottore o geometra che valga una madre, socialmente parlando.
Perchè una società di dottori e dottoresse, geometri e geometre, sterili per natura o per scelta, si estinguerebbe in trent’anni.
Valter. Rispetto. Capisco che tu non resista a diventare protagonista anche quando, come è stato giustamente detto, si posta la testimonianza di una donna che parla del proprio dolore. Ma tu no, tu devi per forza, e sempre, riportare il discorso altrove. Rispetto.
Tranne coloro che hanno scoperto la medicina salva vita per tuo figlio. O dobbiamo tornare a partorirne 12 nella speranza ne restino vivi 6? E poi perché solo alle madri, diamo un bel riconoscimento pensionistico anche agli uomini che scelgono di riprodursi.
Anche i padri, quelli che si son spesi bene nel ruolo deucativo (e non solo) dei propri figli/e e qui però dev’esserci un metro di misura in merito a sacrifici e dedizione giudicante quanto il ruolo materno, dovrebbero avere un riconoscimento per le loro fatiche rispetto agli scapoloni sciupafemmine che con tutto il diritto hanno preferito intraprendere quella via di vita, ma non mi pare che il mondo maschile, politico e non, sia interessato particolarmente a queste tematiche riguardo la genitorialità, preferendo nel frattempo occuparsi di ddl 957 e 194…
Grazie Lella Costa, bellissima lettera!
Rispetto per la verità, innanzitutto. C’è gente che è talmente foderata d’ideologia da non distinguere il moralismo da pure e oggettive considerazioni. Allevare un figlio e mandarlo all’università costa (non l’ho calcolato io) duecentomila euro, e per una famiglia di modeste condizioni il sacrificio di tutto il proprio tempo libero, almeno fino a quando i figli non hanno una certa età. E, come sapete bene, il sacrificio maggiore è delle donne. E’ moralismo chiedere che venga socialomente riconosciuto, o dobbiamo considerare anche questo “lavoro ombra”? La società industriale ha azzerato il valore della maternità, esattamente come molti altri valori femminili, ma le femministe hanno dato una bella mano.
Quanto al protagonismo, Lipperini, ormai s’è capito da un pezzo: è protagonismo indebito ogni voce che interrompe la giaculatoria delle lamentele a senso unico. Continuate pure e buonanotte.
Valter Binaghi, a parte che il fatto che della parola moralismo ne ho strapiene le tasche, perchè viene usata come una lama e de-semantizzata ad hoc. Non mi sembra, davvero non mi sembra che la scelta dei movimenti sia parlare di aborto INVECE che di maternità. Anzi, è un falso a tutti gli effetti, e come ben sai solo in questo blog ci sono centinaia di post sull’argomento. Ma ci sono momenti in cui UNA battaglia emerge sull’altra. Non è perché ci si occupa adesso, con una scadenza e una denuncia precisa, di aborto, che ci si dimentica di femminicidio, lavoro, maternità e welfare. E, gentilmente, piantatela col benaltrismo.
Okay, ammetto che la testimonianza di Lella Costa merita tutto il rispetto.
Volevo porre una questione che per me è importante e collaterale, ma non a spese altrui. Scusate se ho esagerato.
Valter, a mio parere, il valore della maternità non c’entra niente stavolta, ma proprio nulla, con la difesa della 194 (e di tutto ciò che permette una scelta). Le parole di Lella Costa qui sopra esprimono semplicemente e chiaramente un dolore, non hanno a che fare con l’azzeramento del valore della maternità. Accidenti, persino i parchi e le ferrovie hanno una ‘fascia di rispetto’ !
Valter, non avevo letto l’ultimo tuo commento. ok.
Grazie, Valter 🙂 Del resto, sulla maternità io sto lavorando da un anno e mezzo, per il libro (che ho quasi finito). Ci saranno modi e tempi per discuterne molto, e spero per intraprendere anche azioni insieme. Ora, abbiamo la priorità del 20 giugno, però.
Grande Lella Costa…aggiungere altro sarebbe solo ridondante.
Mi unisco ai tante “grazie Lella”come sempre capace di usare le parole con tanta efficacia e intensità. Unite per difendere la 194, una legge dello Stato Italiano, una legge di civiltà che parla di libertà femminile.
@Valter, può sembrarle strano ma lei è l’ultimo cui facevo riferimento.
Per cominciare direi che potrebbe essere utile distinguere gli aborti, almeno tra quelli tardivi che seguono una diagnosi fetale e gli altri. Perché altrimenti è davvero inutile parlare. Si parla di realtà diversissime come se fossero uguali. Poco sensato.
Se non ora quando, si chiede Lella Costa. Se non ora quando è un movimento che all’inizio mi pare avesse connotati piuttosto sfumati, ad esso si collegavano anche persone e movimenti di ispirazione cattolica, una suora fu una delle oratrici più acclamate il giorno della manifestazione, credo non si possa negare, che il movimento e le motivazioni della manifestazione di adattassero anche a spinte diciamo conservatrici o di ispirazione cattolica.
Adesso sembra invece che rientrate le motivazioni politico elettorali, si voglia sfruttare il movimento femminile che ne è nato, esclusivamente per rivendicazioni di ambito radicale, scrollandosi di dosso le varie possibili zavorre cattoliche . Mi chiedo se anche qui su lipperatura, non si sia agito con questa consapevole intenzione.
Certo è, ammesso che qualcuno non se ne sia ancora accorto, che le rivendicazioni di tipo radicale tendono sempre alla dissoluzione. Es. Un organismo, ancorchè semplice imperfetto , ammalato (e addirittura senz’anima) è sempre un sistema ordinato. Ora se durante la maternità sorge un problema di qualsiasi natura per il nascituro ( o per la madre), qual è la risposta dei radicali? Dissoluzione ( aborto) .
Se un individuo adulto si ammala più o meno gravemente, qual è la risposta dei radicali? Dissoluzione ( eutanasia).
Se sorgono criticità all’interno della famiglia, qual’ è la soluzione dei radicali?
Dissoluzione ( divorzio). Nel dubbio, possiamo legalizzare la droga.
Si ma non èun obbligo! Penseranno stufate , le menti più aperte, è una possibilità di scelta.
Una possibilità di scelta. Fino ad un po’ di tempo fa, potevo crederci anch’io che vispo non lo sono tanto, adesso, visti i risultati, ci credo un po’ meno.
( perdona)
Ciao,k.
@ k.
Intanto, non sono solo le posizioni dei radicali: al più, “anche” dei radicali. Mi permetto di ricordare che liceità di divorzio e di aborto sono posizioni della maggioranza degli italiani, che hanno votato sia per i deputati che a maggioranza votarolo le leggi, sia ai referendum abrogativi.
E sono, per l’appunto, possibilità, non obblighi di uno stato “etico” o “eugenetico”: e possibilità restano, anche se tu non ci credi.
È la differenza tra una legge che impone, e una che delimita un’area all’interno della quale vige la libertà di scelta.
(poi, scusa l’orecchio da insegnante, ma non usare “criticità”, ci martellano i ministri, i burocrati e i dirigenti con questa parola, ma non significa affatto “situazione problematica”: è un neologismo creato da un ministro analfabeta e passato nel lessico giornalistico e nel burocratese, scusa di nuovo)
Non siamo una lobby, siamo molto di più. State sereni, non è lo slogan della nuova campagna di tesseramento del Venerabile, è il grido di battaglia con cui Marina Terragni ha annunciato sul suo blog il sostegno alla candidatura di Lorella Zanardo al cda Rai. La proposta è nata da un sondaggio tra i lettori di Articolo21 e di MoveOn Italia e rischia (non voglia il cielo) di trovare l’appoggio di Bersani, che ha scritto una lettera a quattro associazioni scelte secondo criteri imperscrutabili, tra le quali Se non ora quando, invitandole a suggerire candidature. Zanardo in Rai sarebbe, assicura Terragni, la donna giusta al posto giusto: sia culturalmente, per l’analisi svolta a partire dal documentario Il corpo delle donne, sia professionalmente, per i suoi trascorsi manageriali. Due parole sul merito: Zanardo è unfit. Culturalmente, Il corpo delle donne è un prodotto primitivo, un montaggio di vallette (come se in tv ci fossero solo quelle) con un commento che mescola un po’ di Lévinas letto male, un po’ di Pasolini letto tardi e un po’ di francofortismo rudimentale che nelle facoltà di Scienze della Comunicazione si insegna al capitolo: preistoria. Vi si sostiene, tra le altre cose, che è “dovere del cittadino rendere pubblica la propria faccia e non nasconderla come oggi consentono gli interventi chirurgici”, e varie altre tesi che stanno a metà tra il libello dell’abate Boileau contro l’abuso delle scollature (1677) e le disposizioni in materia di coito vigenti presso le Reducciónes gesuitiche del Paraguay. Come un pasticcio simile sia potuto diventare il manifesto di un nuovo femminismo è un mistero che si spiega solo con le tante reputazioni usurpate per meriti antiberlusconiani e con il buon cuore di Gad Lerner. Quanto alle competenze economico-manageriali, stiamo parlando di colei che sostenne al Palasharp che “è solo in Italia che l’economia liberista non ha trovato alcun ostacolo alla sua espansione” (sic).
L’investitura da parte di Terragni – rilanciata da Loredana Lipperini, Giovanna Cosenza e altri – è stata accettata per senso del dovere dalla schiva Zanardo, commossa dalla candidatura voluta “dalla rete e dai territori”, due note e apprezzate entità immaginarie. Ma più del merito è interessante il metodo, anzi (dice Terragni) la “logica inaudita” dell’iniziativa: “Donna sostiene donna”. “Potrebbe essere la prova generale di un ‘format’ che a me piace molto: tutte che ci muoviamo per sostenere una. Non come una lobby, ma come molto di più, in una logica di patto di genere”. Sarà. Peccato che la lobby-che-non-è-una-lobby (ma è molto di più) abbia sperimentato finora solo il format “tutte che ci muoviamo per affossarne una”, in una logica di cappottone di genere. È stato quando un piccolo editore di Genova, il Melangolo, ha pubblicato il libro della filosofa Valeria Ottonelli, La libertà delle donne. Contro il femminismo moralista. Un titolo da pamphlet ma un piglio tutt’altro che sovreccitato da filosofa analitica che sostiene idee di femminismo liberale.
Che il libro di Ottonelli non potesse piacere granché alle femministe accusate di moralismo – tra cui Zanardo e una parte di Se non ora quando – era nell’ordine delle cose. Ma come ci si comporta quando si ha davanti un libro che non piace? Temo che la mia risposta sia gender-biased: anche se non appartengo a nessun Männerbund e non ostento cicatrici da duello sulla guancia, il retaggio del codice cavalleresco mi dice che gli avversari si affrontano lealmente e a viso aperto. Oppure, signorilmente, li si ignora del tutto. La logica (inaudita) del “patto di genere”, immagino, implica quanto meno che se una donna cerca di far sentire la propria voce, cosa già così difficile in un pollaio di soli galli, la si debba incoraggiare in nome della sorellanza, salvo combatterne le tesi. Se non questo, cosa?
E ora, una breve cronaca di come le esponenti più in vista della lobby-che-non-è-una-lobby (ma è molto di più) hanno accolto La libertà delle donne: Zanardo ha telefonato alla redazione del Melangolo e ha preso a urlare: “A me della libertà delle donne non me ne frega un cazzo!” (riferito, forse, al titolo), allegando altre effusioni che portano a riscoprire l’autentico volto del femminile. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Terragni ha esortato l’ufficio stampa del Melangolo (una donna) ad andar via da quel covo di maschilisti e fascisti. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Lipperini, più gruppettara e multimediale, ha diramato i suoi ordini di scuderia in un affannoso passaparola: ignorate quella gente, isolate i provocatori, non pensate all’elefante e soprattutto all’elefantessa. Del libro e dell’autrice, pubblicamente, non ha detto una parola. Per la cronaca: la lobby-che-non-è-una-lobby (ma a quanto pare è molto di meno) ha agito con geometrica impotenza, del libro si è parlato un po’ ovunque e le scuderie hanno fatto di testa loro.
Ma ecco, sulla “logica inaudita” si può compiere qualche logica deduzione: il patto di genere non è un patto di genere, “per la contradizion che nol consente”, non foss’altro perché taglia fuori le donne con idee sgradite, preferendo tappar loro la bocca come farebbe un fallocrate qualunque. E il patto di genere non è un patto di genere perché il corpo (elettorale) delle donne non è stato scrutinato, e quel “tutte per una” è un’annessione abusiva, una finzione retorica perfino più marchiana della “rete” e dei “territori”. Ergo, il patto è degenere, e ha a che fare semmai con fazioni, cordate ideologico-editoriali, rendite di posizione, posticini al sole da difendere, private ambizioni politiche. No, loro non sono una lobby, e questa non è una pipa.
Articolo uscito sul Foglio il 15 giugno 2012 con il titolo Zanardo alla Rai, idea “de genere”
@Girolamo
Dici cose giuste e vere, io principalmente volevo sottolineare come le istanze radicali stridano con il concetto di maternità e paternità. maternità e paternità rappresentano un legame indissolubile tra le persone, mentre le spinte radicali mi sembra tendano ad abolire ogni legame. Non è forse solo un analogia far notare come queste spinte tendano sistematicamente alla dissoluzione, quindi alla morte, fine di ogni legame. Le uniche relazioni ammesse sono quelle mercenarie, quindi in certi ambiti sarà più probabile sottolineare le “criticità” della condizione materna, tipo; la madre pellicano, il fardello della mamma idealizzata, oppure il parto senza epidurale, etc., piuttosto che i problemi delle prostitute ricattate dai magnaccia.
Sulla “criticità” hai poco da chiedere scusa, è effettivamente una brutta parola, che io ho usato solo per darmi importanza. (in effetti c’ho la terza media)
grazie per la risposta
ciao,k.
ma caro mr Binaghi! ma DOPO il 20 giugno, quando avremo messo in salvo quel poco di 194 che non viene sistematicamente boicottato ogni giorno, potrà dirglielo la stessa Lella Costa [cito?] “quanta fatica ci vuole per far nascere, allevare ed educare figli, dando un contributo inestimabile alla società, e quanto poco (anzi nulla) lo Stato riconosca questi meriti”. La sorprenderà sapere che questa ‘donna che ha vissuto solo per sè [poi son gli altri i moralisti..] di figli, tra un aborto terapeutico e l’altro, è riuscita ad averne ben tre. Quando è nata la sua prima, abitava in una casa popolare e faceva fatica ad arrivare alla fine del mese. E, oltre a essere SEMPRE stata in prima fila nelle battaglie x i diritti umani e delle donne, nei suoi testi, come tante altre scrittrici ‘femministe radicaloidi’, ha SEMPRE parlato dell’importanza, delle difficoltà e della bellezza di essere madre. Lei invece, Binaghi, parla a vanvera. Prossima volta, prima di sparare sarcasmo su una rivelazione dolorosa e una legittima richiesta di rispetto di una donna, rifletta. Vista l’altra sua elegante risposta a Chiara Lalli, però, ne dubito.
Patrizia Balzanelli
Ma cara Patrizia che si firma pensiero ETICO e non sa che l’etica considera l’universalità dell’umano e non si definisce attaccando o difendendo vissuti personali, se rilegge i miei commenti non troverà denigrazioni nè insulto alcuno alla signora Lella Costa, ma solo una difesa del valore sociale della maternità, secondo me messo spesso in ombra, come dimostra la recente riforma pensionistica. Se poi si sente punta sul vivo per motivi suoi si faccia una doccia fredda, poi riprenda il thread e i commenti li legga tutti, che quanto a parlare a vanvera lei mi pare professora.
Non bisogna dire le bugie, perché fanno crescere il naso.
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1- Cit. “Semmai sono gli uomini che non si fanno minimamente carico del problema della contraccezione perché “tanto male che vada la soluzione c’è”.
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Bugia: la contraccezione è sempre stata a carico dei maschi italiani e solo da pochissimi anni i metodi femminili hanno raggiunto quelli maschili. La realtà è l’opposto di quello che dite.
Voi rappresentate i maschi come egoisti e irresponsabili, mentre è vero il contrario. Ricevete del bene e lo rovesciate in male oltraggiando la generosità degli uomini.
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Da un rapporto del CENSIS del 2000 emerge che il 31,6% delle coppie italiane utilizza come metodo contraccettivo il coito interrotto, il 28,4% il condom e solo il 20,9% la pillola, mentre il 4,2% sceglie di ricorrere a metodi naturali e il 3,2% alla spirale.
I sondaggi condotti da Sanihelp.it confermano questa distribuzione: su 1133 lettori, il 39.89% dichiara di usare il preservativo, il 28,51% la pillola, l’11,21% il coito interrotto, il 5,21% il cerotto e il 5,74% altri metodi, ma ben il 9,44% ammette di non usare alcun metodo.
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2- Cit. “A nessuna donna piace abortire, mai. Nessuna donna sceglierebbe mai l’aborto come metodo di controllo delle nascite: …()… Interrompere una gravidanza è una scelta difficile, traumatica, spesso devastante.”
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Non può essere che così. Nessuna donna abortirebbe se non vi fosse costretta, se venissero rimosse le cause che ve la costringono. E’ così e solo un pazzo può pensare il contrario.
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Resta allora da spiegare perché mai, quando il padre in fieri (o il non padre) vuole tenersi e allevare il figlio da solo, la donna abortisce lo stesso. Perché mai quando vi è chi rimuove le cause che ve la costringono, abortisce egualmente preferendo il trauma dell’aborto alla naturalità del parto. Potere assoluto complementare a quello di imporre paternità non volute.
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Gli uomini italiani sono quelli che per primi si fanno carico della contraccezione (da sempre), quando però le cose vanno storte subiscono sia l’imposizione che la sottrazione della paternità, ad arbitrio e senza diritto di parola. E con tutto ciò voi ancora mettere gli uomini sul banco degli imputati.
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Non la si può certo chiamare benevolenza.
Cos’è dunque?
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Rino DV
@ Rino DV: il tuo commento è un florilegio di risentimenti e non dà alcun contributo positivo. Oltre tutto stravolgi ad arte, nel citarla, la frase di Lella Costa in cui, opportunamente, lei puntualizza che non tutti gli uomini si comportano in un certo modo. Ma tu questa parte non la riporti: preferischi ritagliarti un’offesa su misura poter poi dare libero sfogo ad una reazione altrimenti ingiustificata. Hai perso un’occasione, perché se avessi semplicemente voluto denunciare un certo linguaggio e certi pregiudizi anzichè vaneggiare della “generosità degli uomini” (un concetto che fa il paio con la “dolcezza femminile” e ha lo stesso grado di realtà dei topini di Cenerentola), forse avresti potuto trovare orecchie disposte ad ascoltare. Quanto poi al pretendere che una gravidanza venga portata avanti da una donna contro la sua volontà, sul suo fisico e con rischi propri nell’esclusivo nome del padre, beh, penso non ci sia bisogno di commento alcuno.
Nel nome del figlio, invece, magari qualche considerazione in più la merita, ma è storia troppo vecchia ormai.
@Valter Binaghi: e perché mai sarebbe storia troppo vecchia? Non penso che qualcuno possa davvero ignorare quale buco nero rappresenti un aborto. Se ne può e se ne deve parlare. Quello che dovrebbe essere del tutto fuori discussione, secondo me, è la pretesa di rendere obbligatoria una gravidanza. Perché, alla fine, cos’altro comporterebbe una revisione della 194 se non questo?
Grazie di cuore Lella Costa.
Quando leggo certi deliri clericofascisti mi viene sempre una gran voglia di convertirmi all’Islam. La loro posizione sull’aborto è meno disumanizzante per la madre, della nostra.
@Maurizio
Infatti non è di questo che si parla (almeno non io). Semmai di promuovere la cultura della maternità e della paternità, in modo da rendere gli aborti un fenomeno eccezionale piuttosto che una consuetudine. La mancanza di questa promozione (anzi il fastidio che essa provoca quando si tenta in sede pubblicistica o educativa) è un’omissione colpevole, per chiunque sostenga in buona fede che l’aborto è un dramma.
@Lo zuavo
Molto OT.
Come la capisco, Zuavo. Neanch’io sono mai riuscito a veder recensito un mio libro dalla Lipperini. Però con Avvenire mi è andata meglio.
D’altro canto vedo che lei ha trovato sponda sul Foglio.
A ciascuno il suo, insomma.
Così va il mondo: non tutto piace a tutti, bisogna farsene una ragione.
A- E’ una verità proclamata da decenni dal femminismo quella secondo cui gli uomini non si curano della contraccezione lasciandone alle donne il relativo onere. Ovviamente le femministe che proclamano questa verità sanno bene che è falsa (tutte lo sanno). Ma continuano, perché è una bugia utile (come tutte le bugie, del resto). E infatti la mia affermazione non è stata smentita. Non può essere smentita: in Italia – sino a 4/5 anni fa – la contraccezione è stata onere assunto maggioritariamente dai maschi.
Solo adesso siamo – circa – alla pari.
Né il cortese Sig. Maurizio ha potuto smentire. Ha cercato di mettere in cattiva luce la mia persona. Sul fatto non ha potuto dire nulla.
1- I maschi italiani si sono da sempre presi in carico più delle femmine la questione contraccezione.
2- Ad onta di questo fatto il femminismo ha presentato – e continua a proclamare – la verità opposta.
Si tratta dunque di una bugia. Le bugie nascono per una utilità: in qs, caso di quale utilità si tratta?
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B- Nessuna donna abortirebbe se non vi fosse costretta, se venissero eliminate le cause che ve la costringono. Tuttavia, quando il padre (o il non padre) si dichiara pronto a prendersi il figlio per sempre e senza oneri per la madre, quella abortisce lo stesso, preferendo il trauma dell’aborto alla naturalità del parto. Se è vero – come si giura – che l’aborto è un trauma.
Anche qui nessuna obiezione: sto smascherando una bugia, ci si trova in imbarazzo e perciò si accusa lo scrivente di volontà prevaricatrice, invece di ammettere che si è smascherata una contraddizione mistificatrice.
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C- Sul fatto che le femmine possano decidere della loro maternità mentre i maschi non possono decidere della loro paternità, non ci sono obiezioni.
Le donne possono scegliere dopo un errore, un momento di abbandono, gli uomini invece no: devono subire la scelta altrui.
Questa realtà, vera in tutto l’Occidente, è considerata buona e giusta.
L’assenza totale di diritti riproduttivi maschili è posta a fondamento dei diritti riproduttivi femminili. La totalità degli uomini accetta questo dominio sulla propria vita come la cosa più ovvia del mondo.
(La quasi totalità lo accetta. In effetti io appartengo a quella microscopica minoranza che lo considera una criminale prevaricazione).
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Faccio notate che in questo mio commento non ci sono insinuazioni o canzonature rivolte a chicchessia.
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Rino DV
Utile a cosa?
Scusi signor Rino, a me pare che
A. mi risulta che nella mentalità comune se la donna rimane “fregata” durante un rapporto si dà sempre la colpa a lei che doveva stare attenta, se non altro a fare il conto dei giorni, di certo non all’uomo che si sa ha la carne debole ed è pure cacciatore, e comunque la pancia la porta lei quindi lui è esonerato;
B. Esattamente dove ha letto la frase che cita? Credo che sia difficile per lei immaginare che cosa significa per una donna portare avanti una gravidanza indesiderata. Ma è difficile anche per alcune donne non si preoccupi. Leggo alcune che sono rimaste folgorate dalla gravidanza e sono diventate delle pro-life. Per me la gravidanza ha reso più comprensibile la scelta dell’aborto: ero piena di gioia della presenza di questo piccolo alieno che invadeva ogni mio spazio fisico e mentale, ma proprio la forza di questa presenza mi ha fatto capire perché chi non desidera un figlio opterà per l’aborto nonostante tutto. Per assurdo, signor Rino, le direi di chiedere alla madre di Saddam Houssein, la quale ha tentato -senza successo- di abortire suo figlio.
C. Posso capire lo sconforto dell’uomo che non può decidere, ma per cortesia: 9 mesi di gestazione con annessi e connessi se li fa la donna, i dolori del travaglio se li fa la donna, la vita in sala parto la rischia la donna, non il marito. La bilancia è abbastanza sbilanciata in partenza e trovo arrogante equilibrata così a prescindere.
Guardi signor Rino, io non ho voluto mettere in cattiva luce nessuno, a questo lei ha provveduto da sé, alterando un virgolettato come l’ultimo dei prosivendoli. Mi sembra di capire, da quanto afferma poi, che lo avrebbe fatto per ricreare un’argomentazione paradigmatica del femminismo la cui estrema diffusione renderebbe del tutto trascurabile il fatto che lei, per proporla, ha avuto bisogno di una mistificazione. Dando così implicitamente dell’imbecille a tutti quei lettori che, poverini, secondo lei hanno bisogno di una finzione per capire certe problematiche, non essendo evidentemente in grado di seguire un suo ragionamento a carte scoperte. Per il resto, potrebbe cortesemente indicarmi non dico tanto il fondamento etico della sua pretesa di imporre a delle donne di portare avanti a proprio rischio e sul proprio corpo una gravidanza indesiderata, ma piuttosto lo strumento attraverso cui lei ritiene possibile una tale operazione: gravidanza in cella? Braccialetto elettronico antiIVG che si mette a suonare se si avvicina un ginecologo non obiettore? Accompagnamento coatto della gestante da parte dei carabinieri? Ci illumini,su, pendiamo dalle sue labbra!
@ binaghi, un po’ ot.
Leggendo i suoi commenti rimango amareggiata. Sono una donna e mi rendo conto che, se decidessi di non fare figli, la gente potrebbe pensare, indipendentemente dalla mia storia, che “ho deciso di vivere per me”. Ma questo giudizio, che forse viene fatto con delicatezza, ma è pesante, non viene mai attribuito a uomini che decidono di non avere figli, o uomini che decidono di avere figli ma se ne occupano marginalmente, oppure non a tempo pieno.
Che tristezza. Forse i ruoli di genere saranno importanti nei primi (due? tre?) anni di vita del bambino (forse), ma poi non vedo perché sia la madre a doversi fare carico di tutto. Valore sociale della maternità? e perché non della genitorialità?
Io credo che siano questi punti di vista quelli che rendono la maternità sempre meno desiderabile.