LETTERARIETA'

Francesco Erbani firma l’apertura delle pagine di cultura. Si parla di società letteraria, di premi, e di “senza”. Partendo da un documentario.
«Credo di non aver mai letto un vincitore dello Strega degli ultimi dieci anni»: le labbra strette e l´occhio strizzato, Tiziano Scarpa avrà certo messo in conto che, dicendo questo, la stesse cose potrebbe ripeterle il vincitore dello Strega 2010, infilando anche il suo Stabat mater, Strega 2009, nel buco nero e indistinto dove giacciono i romanzi lasciati intonsi.
Sono i paradossi di quel che resta di una società letteraria. La battuta di Scarpa, raccolta nel catino fumigante del Ninfeo di Villa Giulia, è fra quelle che introducono Senza scrittori, un film documentario di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, critico letterario il primo, regista il secondo, una bella inchiesta prodotta da Rai Cinema e Digital Studio che stasera viene proiettata all´Azzurro Scipioni di Roma, in coincidenza non casuale con la trepidante vigilia del Premio Strega che, appunto, giovedì incorona il suo sessantaquattresimo vincitore.
Senza scrittori è un prolungamento del catalogo stilato da Alberto Arbasino nel suo Un paese senza, un elenco di tutte le cose di cui l´Italia è mancante. Racconta il predominio che la macchina editoriale, soprattutto quella dei grandi gruppi, ha assunto nel mercato della letteratura, dove non ci sono più opere o scrittori, critici o riviste, ma solo libri, solo produzione industriale, solo una filiera perfettamente assestata, e nella quale, però, quella che un tempo si chiamava la società letteraria ha pensato bene di accomodarsi, spintonando un po´ e anche dando di gomito, ma trovando un cantuccio nel quale sistemarsi.
Un cantuccio troppo stretto per Antonio Scurati, che ancor prima di essere battuto per un voto da Scarpa, confessa che, sì, è vero, «da qui uscirò triturato anche dal punto di vista del mio stato d´animo», ma che trova il coraggio di annunciare il suo disprezzo per una «società letteraria dalla quale stasera prendo congedo, vada come vada». Un cantuccio stretto anche per il giovane Giorgio Vasta, che lamenta come «la letteratura venga assunta solo se si incarica di essere manutenzione della realtà e che quando ha l´ambizione di essere qualcosa d´altro, le viene sottratta la fiducia». Un cantuccio che sia Scurati che Vasta guardano sempre dall´osservatorio del Ninfeo di Villa Giulia.
Cortellessa, camicia e pantaloni rossi, si aggira come un bonario diavoletto fra i tavoli imbanditi dello Strega, filma le calzature che stropicciano il brecciolino, sovrappone la camminata di un metaforico pavone e domanda a Francesco Piccolo se questa è una messinscena da commedia all´italiana, ottenendo come risposta che «qui c´è l´Italia, non la commedia, che in fondo era più dolorosa». Fra scalpiccii e risatine stiracchiate, ecco invece il corrucciato Valentino Zeichen: «Decadente? No, non è una società di grandi decadenti, questa è una società frolla, senza scheletro morale, priva di grandi progetti, di idealità. Una società stanca».
Lo Strega mostrerà pure lo spettacolo di una letteratura in cui, sentenzia il vincitore Scarpa, «tutto è vanità». Ma è un po´ come la nazionale di calcio, raccoglie quel che trova. E allora ecco che Cortellessa, sempre di rosso vestito, interroga giornalisti come Stefano Salis e critici come Marco Belpoliti, si sofferma spaurito fra i banchi di Fnac e deliziato fra quelli della Coop – accompagnato da Romano Montroni -, ascolta i due proprietari della storica libreria Tombolini di Roma e il responsabile della Demoskopea. Insomma insegue quella filiera produttiva che incasella lo scrittore e la sua opera, dal momento in cui questa prende forma a quando viene distribuita e recensita, meglio se esibita con il suo autore da Fabio Fazio o dalla Dandini o sul palco di un festival.
E allora il punto culminante non può che essere una visita a Segrate, dove c´è la Mondadori, cioè «la Xanadu dell´editoria italiana, la centrale dove si fanno i grandi giochi della nostra letteratura». Qui interroga Antonio Franchini, responsabile della narrativa Mondadori, che vive la grande scissione, annota Cortellessa, dell´essere scrittore e dell´essere editore. E qui si introduce anche un parola che non si sentiva da tempo: letterarietà. Che cos´è che rende letterario un testo? Può essere la letterarietà a distinguere fra scrittori di successo e scrittori che si concentrano sulla qualità e la sperimentazione, per esempio?
Letterarietà, risponde Franchini, «è un´idea discussa, allargata, non più condivisa». Ma il fatto che le discriminanti siano venute meno che effetto fa? (domanda Cortellessa) «Rende il tutto più divertente, più anticonformista». Il controcanto è affidato a Francesco Cataluccio, ex direttore alla Bruno Mondadori e poi da Bollati Boringhieri: «La società italiana è diventata più cinica, non poteva che diventare più cinica anche l´editoria».

791 pensieri su “LETTERARIETA'

  1. Questo è il mio ultimo intervento in questa discussione durata una settimana e cercherò di farla breve.
    .
    E’ legittimo che qualcuno chieda di non vedere il proprio nome associato a Carmilla, Wu Ming, etc., e quindi è giusta la decisione di stralciare tutto il paratesto dal pdf del thread e lasciarlo nudo e crudo.
    .
    E’ assolutamente legittimo che Loredana Lipperini, che ha ospitato sul suo blog questa discussione, alla quale tutti abbiamo partecipato spontaneamente, decida in quale formato salvarla. Se ritiene che qui siano state dette cose importanti e vuole renderle più intellegibili e fruibili su un supporto cartaceo, senza aggiunte, stralci, cornici, cappelli, o alterazioni di sorta, non c’è un motivo valido al mondo per cui glielo si potrebbe impedire.
    .
    Al di là delle reciproche posizioni – e perfino degli insulti che sono volati (ognuno porta a casa i propri) – è deprimente che un’intellettuale fiera di esserlo voglia opporsi alla possibilità che le sue parole vengano rese più facilmente fruibili dagli altri. E’ un atteggiamento che, qualsiasi siano le posizioni espresse, tocca il coraggio delle proprie idee e perfino delle proprie “sparate”, cioè non già la qualità intellettuale, ma l’etica intellettuale. Per quanto possa essere difficile rispettare un avversario con il quale ci si scambia colpi bassi e magari pure bassissimi, sarà comunque più difficile rispettare chi attacca duramente e poi si tira indietro, chi ostenta sicurezza e poi teme le sue stesse (testuali) parole.
    Se invece non le teme, ma ne va fiera, allora vuole solo rompere il cazzo, e in questo caso, nonostante la puerilità, ci fa una figura migliore.
    Buona notte e buona fortuna a tutti.

  2. Fine. Mi sgancio anch’io. Auguro a tutti una notte d’amore. Però fa caldo, roba da pozzanghera sul lenzuolo, quindi attenti agli scivoloni! E’ come abbracciarsi tra saponette. Puzzolenti. Ma è sempre amore.

  3. Arriviamo al concordato: si metta in pdf il tutto, i WM si prendono l’onere, santissimi e pazienti, ma facciamo anche una tavola rotonda (i nomi e cognomi ai posti migliori, i nick sparsi alla meno peggio). Io chiederò una disamina su “Come si scrive un giallo. Teoria e pratica della suspense” di Patricia Highsmith.
    Luca: metafore calcistiche
    Simone Ghelli: rapporti tra mercato editoriale e cinema italiano (credo possa parlare tre ore e più)
    Gli altri ritornano sul concetto di letterarietà, ribadendo in sintesi le proprie diverse posizioni e poi tutti a vedere o rivedere il doc senza scrittori.

  4. «Quattro sono le cose che a conoscerle mi hanno resa più saggia: l’ozio, il dolore, un amico, e un nemico.» Dorothy Parker. Amen.

  5. Roba forte! Wow!
    Fattanza da rave, pure nineties, MDMA traslucido, critici in assetto di guerra, fosforo, bombe al fosforo, html dinamico, pdf chimico, pingback organico… I meglio pusher su piazza. Luperini balestrini palumbo svenhassell jonhassel calvino schiller novaswing palomar cassola scarpa bassani sanguineti presagi buoni presagi cristipolverizzati pistesniffate psichedeliassicurata.
    dal rotolone schermaceo (copyright signora gilda) io non mi muovo più, nemmeno per mangiare, o per andare al cesso. però non smettete adesso, andate avanti ad libitum, raccontate quella volta che avevo le mani sul pacco, o quell’altra che il critico si scopava il bidello, o la critica si titillava con moccia. Già cazzo, moccia, moccia, moccia! E’ letterario, è letteratura, è lettera dura?
    vi prego non smettete adesso, vi aspetto tutti al dall’ara, lo apro io.
    L.

  6. @Wu Ming e Cortellessa
    Non so quale onore per le lettere possa rappresentare questo thread ai vostri occhi. io rileggendo lo trovo imbarazzante. Idee in circolo? Si ma non quelle dell’iperuranio platonico, che slanciano l’anima ad alti traguardi. Usate in questo modo (per autolegittimazione o delegittimazione reciproca con citazioni di Bachtin o di Altai usate come manganellate) somigliano piuttosto ai segnaposti del monopoli o del gioco dell’oca. La letteratura non ne trae alcun giovamento.
    Se poi vi va bene così (mi dicono che su facebook è pure peggio, io facebook l’ho scartato dopo un’ora, ho avuto paura di quello che potrebbe farmi fare), allora sicuramente andrà bene anche ai lettori del pdf. Pare che lo spettacolo della rissa provochi autentiche erezioni spirituali nelle tifoserie, rimaste orfane della squadra parrocchiale.

  7. l’umoralità e fisiologica ridondanza di 741 e passa commenti è qualcosa di fronte a cui è difficile non soccombere, e Letterarietà (nozione apparentemente tautologica) è una serpe che sfugge da ogni lato; un pdf è poco meno di un batterio destinato a starsene riposto in un angolo remoto dell’hard-disk, più invisibile di qualsiasi thread, e assai più difficilmente interrogabile (e in ogni caso, è la posa di una pietra tombale – rispetto all’organismaticità caotica di quel che è reso pubblico unicamente per ricevere risposta). con WM1, che nella sua identità diffusa tutti amammo nel tempo cultuale e decisivo del neosituazionismo Luther B., si condivisero istanti d’intensità nell’ascolto di un poeta ferrarese pur insopportabile ma capace di strappare l’anima per forza d’una letterarietà assurdamente scorticata (Vasco, Brondi), e altri ancora di momenti nell’ora topica dell’ultimo poetry-festival di Monfalcone, come in quel pullulare di giardino elfico, alla cena, nel cigolìo di vortici strabici; la domanda da porre, a un pensiero critico capace di consapevolezze come è nella loro storia wu/blissett, è — pur considerata la ristrettezza dei parametri e paramenti che l’industria editante sembrerebbe imporre — perché abdicare alle insidie della scrittura e alla sua ir/responsabilità, come se lo scrivere, il fatto di doversi esprimere primariamente per via alfabetica e dunque attraverso una atto di appropriazione e torsione del linguaggio, dovesse essere solo un’impurità, da assoggettare a rimozione?
    vi è un’urgenza ultima nei contenuti da trasmettere, certo, e magari un’intelligenza animale nelle storie, e lo capisco; ma tutto questo ha da compiersi su pentagrammi alfabetici, lungo una molteplicità di tratti e di tracce. soffocare la vita della scrittura, nel suo concreto (prima ancora che la letteratura, che l’istituzione-Letteratura insomma e la sua letterarietà certificabile: delle quali poco c’interessa infatti), come se fosse un lusso, rischia di consegnare lo scrivere al riverbero dell’inerzia, di trasformarlo in lettera morta. o tutt’al più di renderlo puro soggetto, scheletro di sceneggiatura potenzialmente protesa a realizzarsi in uno spazio fuori della pagina (quando lì è la scommessa, ed è quello il campo in cui un pensiero critico e dialettico può ancora affermarsi; come per altri versi può dimostrare qualsiasi blog non-degenerante); proprio nel modo che, in Empirismo eretico, intendeva Pasolini (…e se riconosciamo questo, allora, dovremo riconoscere che la letteratura oggi, nella stragrande maggioranza dei suoi casi, è proprio quel genere/nongenere che intendeva lui: “struttura che vuol essere struttura”; e nulla più).
    dal mio punto di vista, non posso fare a meno di credere che libri come Crema Acida (o Le strade che) o anche come M., il primo Pincio, siano prove necessarie; ma non necessariamente esempi da seguire, non in quel modo almeno (proprio perché ciascuno di quei lavori spinge fino in fondo, e oltre la letteratura stessa, e quasi fino a un punto di nonritorno, la propria idea di letteratura, la propria idea di scrittura, de-forma fin che può e nei modi più conseguenti le forme di coerenza della propria letterarietà): ed è anzi sotto gli occhi di tutti il rovesciamento radicale di rotta (non felice, per me) nella scrittura appunto del Pincio dal secondo libro in poi. non sono nemico della trasparenza, tutt’altro: solo, considero la trasparenza una parola impegnativa e importante, e quasi insostenibile insomma; bisogna farsi un’ossatura, per poterla reggere. — ma, agli amici WM e soprattutto WM1 in nome (anche) di quel sintonizzarsi sotto gli scrosci di quella centrale elettrica, vorrei dire: adesso è il tempo, forse, di fare ancora quel piccolo sforzo, che potrebbe riportare l’industria editoriale e la sua censoria pletora redazionale a divenire editoria e basta. pensare al potere riposto nell’atto dello scrivere, alla qualità prensile e persino eversiva che può appartenere ancora e soltanto a una letterarietà aperta e senza schemi; e di cui del resto la narrativa che non facciamo che importare (quella americana) continua ad essere felicemente satura.
    non si tratta, qui, di elitarismo o meno. si tratta di tenere la letteratura (qualunque cosa essa significhi) all’altezza delle possibilità che gli altri media espressivi (analogici o elettronici o digitali) non smettono di offrire nella metamorfosi continua e circuitante delle loro microgrammatiche; e che la scrittura, nel suo pensiero grammatologico, può offrire ancora di più. e ostinarsi a tenerla al di qua di questa evoluzione, sarebbe perdente e basta (anche se al momento può servire a vendere qualche migliaio di copie in più).
    ciao a tutti e perdonate l’incursione, che non verrà replicata [e i refusi immancabili — ché non rileggo, per finirla qui]. mettete i papaveri nei vostri cannoni, e sparateli sugli amici della domenica. e alla fine di tutto, faremo germogliare anche a loro un pdf nell’angolo dell’hard-disk

  8. per Valter.
    Io non la vedo così. Sono d’accordo che da un punto di vista del risultato in sé, una discussione simile – diciamo elefantiaca – non possa che avere senso se non in una prospettiva futura.
    Ovvero si parte da qui per.
    Se invece non vogliamo fare utopie, ed ancorarci all’amara realtà, questa discussione resta ai miei occhi una sorta di unicum, di rappresentazione di varie opinioni provenienti da cento differenti posizioni concertanti assieme in maniera più o meno bella.
    Non è che capiti così spesso. Si dirà che talvolta (se non spesso) ci sono stati degli scivoloni, ma come direbbero in televisione: è il bello della diretta.
    Per quanto mi riguarda faccio mie tutte le osservazioni e le conclusioni di WM4. Dal mio punto di vista – trai 3 o 4 temi interessanti qui emersi – il discorso sulla terra di mezzo della letteratura, la fenomenologia della palude e le sue varie rappresentazioni, il rapporto tra critica e la letteratura di serie B, resta quello che mi piacerebbe veder sviluppato, visto che ancora mi pare lungi da aver raggiunto un cuore convincente (mi riferisco soprattutto alla posizione della critica).
    Sta finalmente venendo giù un temporale e magari sopravviverò per vedere il secondo tempo.
    Aggiungo in postilla, come qualcuno ha già fatto prima di me, che quella cui abbiamo assistito per 800 messaggi è una delle manifestazioni peculiari della capacità\forza\potenza della Ragnatela.
    Volenti o nolenti. Nel bene e nel male.
    *
    per WM1: figurati, avevo già espresso la richiesta di avere tempo, ma volevo spargere la notizia e mi interessava sapere (visto che non ho letto parecchie adesioni) se il progetto fosse ancora in ballo.

  9. Tifoserie.
    2009, Premier League. Il Newcastle F.C. gioca, in casa, la partita decisiva per rimanere nella massima serie inglese, contro una diretta avversaria.
    Serve la vittoria. Il match finisce 1a1. Draw. Il Newcastle retrocede.
    Al termine dell’incontro, comincia l’applauso del pubblico che gremisce all’inverosimile lo stadio. Quasi mezza città.
    Dura un minuto, due, poi tre, e va avanti. Occhi umidi e sciarpe. Ragazzini e operai sdentati. Signore non troppo in forma e impiegati middle-class. Neri rap coi dread e bianchi rasati skin. I giocatori sono riuniti al centro del campo, piangono a dirotto. Hanno dato tutto quello che avevano. Il pubblico non smette. Ci sono anche gli avversari. E sugli spalti i non tanti tifosi al seguito. Niente scontri. Sciarpe e occhi umidi per tutti.
    Poi al pub. Tristi, ma insieme. A preparare la riscossa.
    Siamo capaci?
    L.

  10. @Wu Ming, Loredana, Dimitri
    vedo, finalmente sbloccati, i miei interventi di ieri sera, spero li possiate leggere.
    @Binaghi Se ho procurato un nuovo lettore a Ottonieri (Elvezio), uno a Manganelli (Paolo S) e indotto anche, credo, in qualche modo, a prendere posizione (e che posizione: che equilibrio, che pacatezza, che sapienza, che stile) a ”Thoma De Hohtt”, questa discussione non è stata affatto inutile, ribadisco che la esporterei fuori da qui e, mutatis mutandis, anche in una pubblicazione destinata a chi abbia ancora (ma c’è?) scarsa dimestichezza col web. Una pubblicazione che resti, non un pdf che …l’abbiamo già detto, no?
    Un saluto a tutti, e alla prossima.

  11. @ Th.DeHoTT
    torno a lasciare un commento in questo thread in onore a te, per il tono che hai usato, per le cose che scrivi.
    Grazie per la rievocazione monfalconese. Io credo che la forza di quei due giorni stia in questo: in due stanze contigue del medesimo edificio pullulante di persone, io e WM2 tenevamo un workshop sulle narrazioni basato sulle riflessioni fatte ne “La salvezza di Euridice” e lavoravamo sull’immaginaria lingua “allegoretica” della civiltà tamariana in “Star Trek”, e tu – imprevista torsione degli eventi – tenevi il workshop sulla scrittura poetica al posto di non so più quale impossibilitato. Ogni tanto si assegnavano dei compiti e si usciva nell’atrio e si facevano due ciacole, e in quel momento l’uno non pensava affatto che quel che faceva fosse incompatibile con quel che faceva l’altro, perché noi stavamo lavorando sulla poesia della narrazione/mito nella comunità, e tu stavi gestendo una piccola comunità versificante. Quel festival organizzato da Lello Voce sa essere, quando non gli si mettono argini, un dispositivo positivo (bel bisticcio).
    Non si tratta di vendere qualche migliaio di copie in più (benché ciò possa esser cosa buona e giusta), ma di *incontrare le persone*. Non si tratta di rinunciare alle insidie della lingua, ma di dire che la lingua è anche le storie e ci sono molte più insidie tra cielo e terra di quante ne veda la grammatologia. Si tratta di camminare insieme alle persone incontrate e quelle insidie valorizzarle insieme, non da soli. Non si tratta di soffocare prerogative, ma di *socializzarle*. Non si tratta né di rinunciare alle storie né di rinunciare alla lingua. “Tutto ha una storia. La filosofia racconta storie.”, dice Deleuze, che al contempo parla di “lingua minore”, di “scavare una lingua straniera nella lingua” (corsivo mio). Dentro la lingua, dal di dentro, contrastare il suo volersi “maggiore”. Per Deleuze & Guattari questo avviene in Kafka, quindi non ne fanno una questione di (semplifichiamo) sperimentalismo appariscente. Kafka racconta storie, ha una lingua comprensibilissima che non “detona” in superficie ma opera un sovvertimento sottile, un effetto perturbante nel “cadersi addosso” di lingua e storie. La lingua e le storie. La lingua delle storie. Le storie della lingua. La lingua, le storie, la moltitudine, le comunità. Questa è la nostra matassa, e ogni filo è potenzialmente una linea di discrimine, ma io non ho mai pensato che il tuo lavoro si collocasse univocamente al di là di una di esse e non accetto che il tuo scrivere venga brandito come arma o scagliato siccome pietra di paragone addosso a noi. Tra il tuo lavoro e il nostro non c’è un canyon come vorrebbe qualcuno: c’è un atrio, e ogni tanto lì ci si incontra. Come adesso.

  12. Perché non è tempo sprecato. Fa parte del nostro lavoro e dei nostri compiti di narratori. Fin dall’inizio abbiamo scelto la linea di *spiegare*, chiarire, precisare, e a nostra volta capire. Confrontarci. Anche duramente. Lo dobbiamo a chi ci legge e ci segue. Certo, non tutti i terreni vanno accettati, ma questo dibattito abbiamo valutato fosse importante.

  13. @Tutti
    Una fenomenologia dell’immaginario (non solo letterario). Questo è quello che mi aspetterei che uscisse dai frequentatori di questo thread. Una discussione socratica dove l’obiettivo è includere e comprendere, piuttosto che contrapporre e invitare allo schieramento. E me lo aspetto, proprio perchè, anche se a volte si vedono girare a vuoto, qui ci sono gli interlocutori che avrei voluto avere una ventina d’anni fa.

  14. L’importante è che l’inclusione e la comprensione non siano forzate, il potere della scelta e non costrizione coatta, ad uso e consumo di persone riottose a qualunque forma di dialettica che preveda lo Scontro. Verbale s’intende.

  15. @Vincent
    Occupandomi dell’immaginario (prima come filosofastro che come scrittorucolo) ho scoperto che la verità è antinomica, cioè deve passare attraverso il superamento delle antinomie, per esempio quella tra lingua e parola, comunicazione ed espressione peculiare. Quello che cerco è un’estetica che mi permetta di rendere grazie alle straordinarie invenzioni linguistiche di un Gadda e insieme all’universo archetipale dei fratelli Grimm, ipotizzando che la letteratura stia nel continuo rilancio di una sintesi inesauribile. La pratica degli scrittori (Wu Ming per esempio) mi sembra più vicina a questo della pur legittima tendenza discriminante degli accademici, se non altro perchè la teoria è, come diceva Hegel, la nottola di minerva, che giunge a constatare l’accaduto, cioè finisce inevitabilmente per combattere la guerra precedente. L’ambito teorico esigerebbe comunque la ricerca dell’oggettività e dell’universalmente condivisibile, che passa attraverso il sacrificio delle proprie posizioni pregiudiziali.

  16. Gilda,
    tu hai pubblicato contenuti e stralci di una discussione avvenuta sulla mia pagina PRIVATA di F.B (non chiunque, infatti, puòaccedervi). E lo hai fatto nonostante ti avessi detto di no. Non sono neppure convinto che sia del tutto legale.
    Ciò detto, non me ne frega niente. Lo hai fatto? Buon per te.
    Quello che davvero fa incazzare (e sospettare una tua non completa onestà intellettuale) è che adesso reclami il diritto di sottrarti a questa discussione avvenuta su uno spazio PUBBLICAMENTE accessibile.
    Non regge. Ti sei sparata in un piede.
    C’è però un’altra cosa che mi riempe gli occhi di stupore (ed aumenta i miei sospetti verso la tua onestà intellettuale), ed è il fatto che ti fai vanto di aver messo solo le iniziali a posto del mio nome.
    Ma cosa sono un pregiudicato?
    Mi ero offerto di scrivere e firmare, tu non hai voluto. Hai preferito riassumere l’altrui pensiero.
    Wu Ming con te non lo ha fatto. Ringrazialo.
    Adesso ti fai leggere, e taci.

  17. (o DeHohTT – m’era sfuggita l’H2)
    penso che un lavoro ci sia da fare per tutti, in un verso come nell’altro: e le porte che si aprono in quell’atrio portano correnti e pollini e oggetti da scambiarsi e inflessioni e lingue. il lavoro editoriale tende oggi a disperdere tutto questo, a chiudere le porte per tenere spalancati i settori delle sue fiere ridondanti; ma chi scrive sa che la scrittura è l’aperto, è l’iperspazio elettronizzato di contatti che si accendono incessanti, nell’abisso di comete e supernove e lochness immaginarie e altri urobori e polipi indovini, teso in un deflagrare di anniluce dal fondo del cielo al nucleo della terra. oltre la fiera priva di féeries (e plastificante ogni sospetto di ferita), non resta allora, amici tutti, che ritrovare la nostra saga: e le metriche per inarcarla, e farla scoccare.

  18. (…m’era sfuggita l’H2)
    penso che un lavoro ci sia da fare per tutti, in un verso come nell’altro: e le porte che si aprono in quell’atrio portano correnti e pollini e oggetti da scambiarsi e inflessioni e lingue. il lavoro editoriale tende oggi a disperdere tutto questo, a chiudere le porte per tenere spalancati i settori delle sue fiere ridondanti; ma chi scrive sa che la scrittura è l’aperto, è l’iperspazio elettronizzato di contatti che si accendono incessanti, nell’abisso di comete e supernove e lochness immaginarie e altri urobori e polipi indovini, teso in un deflagrare di anniluce dal fondo del cielo al nucleo della terra. oltre la fiera priva di féeries (e plastificante ogni sospetto di ferita), non resta allora, amici tutti, che ritrovare la nostra saga: e le metriche per inarcarla, e farla scoccare.

  19. Ciao a tutti, scusate se mi inserisco ora a ragionamento concluso, ma navigando carmilla ho trovato un link ad un intervista fatta a DFW da Laura Miller. In questa intervista del 1996(che potete trovare qui http://www.salon.com/09/features/wallace1.html) la miller fa una domanda molto inerente al centro del dibattito in corso. la incollo qui sotto, sperando che possa essere utile alla discusisone. se già conoscevate il documento mi scuso per aver inutilmente incrementato l’entropia nell’universo.
    What’s it like to be a young fiction writer today, in terms of getting started, building a career and so on?
    “Personally, I think it’s a really neat time. I’ve got friends who disagree. Literary fiction and poetry are real marginalized right now. There’s a fallacy that some of my friends sometimes fall into, the ol’ “The audience is stupid. The audience only wants to go this deep. Poor us, we’re marginalized because of TV, the great hypnotic blah, blah.” You can sit around and have these pity parties for yourself. Of course this is bullshit. If an art form is marginalized it’s because it’s not speaking to people. One possible reason is that the people it’s speaking to have become too stupid to appreciate it. That seems a little easy to me.
    If you, the writer, succumb to the idea that the audience is too stupid, then there are two pitfalls. Number one is the avant-garde pitfall, where you have the idea that you’re writing for other writers, so you don’t worry about making yourself accessible or relevant. You worry about making it structurally and technically cutting edge: involuted in the right ways, making the appropriate intertextual references, making it look smart. Not really caring about whether you’re communicating with a reader who cares something about that feeling in the stomach which is why we read. Then, the other end of it is very crass, cynical, commercial pieces of fiction that are done in a formulaic way — essentially television on the page — that manipulate the reader, that set out grotesquely simplified stuff in a childishly riveting way.
    What’s weird is that I see these two sides fight with each other and really they both come out of the same thing, which is a contempt for the reader, an idea that literature’s current marginalization is the reader’s fault. The project that’s worth trying is to do stuff that has some of the richness and challenge and emotional and intellectual difficulty of avant-garde literary stuff, stuff that makes the reader confront things rather than ignore them, but to do that in such a way that it’s also pleasurable to read. The reader feels like someone is talking to him rather than striking a number of poses.
    Part of it has to do with living in an era when there’s so much entertainment available, genuine entertainment, and figuring out how fiction is going to stake out its territory in that sort of era. You can try to confront what it is that makes fiction magical in a way that other kinds of art and entertainment aren’t. And to figure out how fiction can engage a reader, much of whose sensibility has been formed by pop culture, without simply becoming more shit in the pop culture machine. It’s unbelievably difficult and confusing and scary, but it’s neat. There’s so much mass commercial entertainment that’s so good and so slick, this is something that I don’t think any other generation has confronted. That’s what it’s like to be a writer now. I think it’s the best time to be alive ever and it’s probably the best time to be a writer. I’m not sure it’s the easiest time.”

  20. interessantissima intervista. dice molte cose. quelle più pettegole sono nella lista degli autori che DFW, stavolta, riferisce parlando di autori che sono riusciti a creare quella magia tale da farlo sentire meno solo. Crashaw, Keats e Donne compaiono fra i primi quattro nome citati. gli ultimi tre sono Larkin, Auden e una sconosciuta, per me, Luise Gluck, riportata nell’intrevista a nome “Louise Gl&uumlck”. Tutti poeti e quasi tutti inglesi, a parte quest’ultima.

  21. ecco un commento veramente inutile, non foss’altro per il ritardo.
    I temi mi sembrano due, erroneamente intrecciati. Uno è l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’industria culturale; è un tema non esattamente inedito, e presentarlo seguendo una divisione tra apocalittici e integrati lo rende ancora più polveroso (che atteggiamento dobbiamo tenere verso il telegrafo? Mah, non so, fate voi). Corretta mi pare la distinzione preventiva tra analisi critiche e tassonomiche e giudizi di gusto e di valore (che, ricordo, “sono per il critico come la carota per l’asino”, Frye). Una cosa popolare non è necessariamente “brutta” e una d’élite non è necessariamente “bella”. Entrambi gli estremi, nonché le infinite sfumature in mezzo, condividono “l’elemento musale” (quindi sono letteratura) e l’essere indirizzati a un pubblico (quindi sono prodotti per un target, fosse anche, come la lirica che continua a essere stampata anche da grandi editori che puntano al soldo, un target di pochissime e irrilevanti persone). Diversi sono invece i processi compositivi e le intenzioni. Distinguere questi lati è precondizione per non fare discorsi ideologici e inutilmente oppositivi. Nel merito, se posso permettermi una nota: vedere nel mercato solo la Grande Macchina e non anche le spinte desideranti, cioè fare del monismo invece che del – perlomeno – dualismo, è imho sempre tatticamente perdente.
    L’altro tema è quello dello stile, tra chi lo vede come un’emanazione dell’autore (in una linea che risale al romanticismo e che è stata formalizzata da flaubert e da proust) e chi lo vede come una funzione dell’opera (ciò che voglio dire di volta in volta infuenza il mio modo di dirlo, in una linea che mette assieme le ricerche strutturaliste novecentesche e l’antica arte retorica). Anche in questo caso, trattandosi di poetiche consapevoli – almeno nei casi migliori – non ha molto senso sovrapporre a questa opposizione quella tra bello e brutto o tra letteratura e non. Semmai occorrerebbe una critica dell’ideologia implicita, ma temo ne manchino i presupposti. Infine una buona lettura, peraltro stranota, che aiuta a vedere questi temi da un’ottica eccentrica, è il bel “Sulla poesia moderna”, di Guido Mazzoni. Salut.

  22. @Valter Binaghi: ti leggo con un poco di ritardo.Sono d’accordo anche se le posizioni oregiudiziali a volte hanno più sugo delle condivisioni di comodo e “la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.
    Saluti.

  23. […] In una recente polemica su Lipperatura, a cui hanno partecipato parecchi scrittori e critici, Cortellessa ha sostenuto che i libri dello Strega non erano belli. E questo è più che legittimo. De gustibus non disputandum. Bastava però continuare a leggere il suo intervento per trovare, qualche parola dopo, l’ammissione che non li aveva letti (giusto qualche pagina) […]

  24. […] nel prosieguo del ragionamento di C.B. (se così vogliamo qualificarlo), vengono a me nella sostanza attribuite sostenendo che «quando [Cortellessa] loda qualcuno degli scrittori odierni, si affretta a precisare che “nessuno di loro è Dostoevskij”» (frase prelevata da un mio commento sul blog Lipperatura, dall’articolista evidentemente compulsato con attenzione) per concludere: «Cos’è questa volontà di lavorare al ribasso, di tagliare via gli alberi più grandi per poi regnare nel sottobosco?» […]

  25. […] Questa, però, è anche la ragione per cui i Wu Ming si sono attirati gli strali della Critica patentata. Quella accademica, impersonata da Andrea Cortellessa (si veda la recente polemica sulla “Letterarietà”, svoltasi originariamente sul blog di Loredana Lipperini e ora scaricabile su “Carmilla”), perchè colpevoli di usurpare il “canone” che essa difende strenuamente […]

  26. […] Un paio di settimane fa leggevo su Lipperatura un interessante dibattito – poi convertito in ebook PDF scaricabile qui – che in realtà verteva su New Italian Epic, letterarietà, critica letteraria e rapporto tra mondo dell’editoria e rete più in generale. Mi ha colpito un commento di Wu Ming 1, in cui si auspicava la messa in rete di testi fuori catalogo in modalità print on demand […]

  27. La mia domanda è semplice: quali erano un tempo i requisiti per concorrere allo Strega, a differenza di quelli che contano oggi? Al di là di una desolante PIATTEZZA e SCIATTERIA di STILE che accomuna i vari concorrenti con il blasone delle maggiori editrici (Feltrinelli, Rizzoli, Mondadori…), le trame paiono fabbricate per uno sceneggiato televisivo o un film di Virzì; o per avviare qualche talk show condotto dalle varie “frittole” televisive del pomeriggio… Luoghi comuni, stereotipi…il “mondo giovanile” quale protagonista indiscusso…magari con pretesa di denunce e ambientazioni sociali che lasciano il tempo che trovano…
    Anch’io mi sono cimentato anni fa’ in due romanzi: il primo di essi due volte finalista a concorsi ed anche apprezzato da un critico ed un noto regista del cinema italiano. Ma (a parte gli EDITORI A PAGAMENTO) di proposte editoriali non ne ho davvero mai ricevute! A dispetto dei tentativi: nell’ordine delle decine…E immagino di essere in numerosa compagnia.
    Morale: quali “santi in paradiso” bisogna conoscere e praticare per affacciarsi oltre il “muro di gomma” che divide i comuni mortali da qualunque visibilità, non dico nemmeno successo? O come al solito bisogna farsi reggicoda di “quelli che contano”??

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto