Per esempio, il libro comincia con lei, la sposa, Pippa Bacca, che sale sull’automobile. Non ci sono parole, perché chi la prende a bordo in quel giorno di marzo del 2008 e che infine la ucciderà, tace e stringe il cellulare, e dunque sono i pensieri di Pippa, la sua fiducia nell’arte e negli esseri umani, a essere noti al lettore. Finché ci si avvicina a quella che sarà la fine, e allora c’è questo momento, poche righe appena, dove Mauro Covacich immagina che tutto sia un set, e che l’occhio di Dio si allontani, e che infine Pippa torni, con la gioia indifferente dei vivi, alla roulotte dell’attrice. Zoom indietro, avrebbe detto Jodorowsky, questa non è la vita reale, è un film.
Ecco, il motivo per cui mi è piaciuto un libro come La sposa, che comincia raccontando un fatto vero ma lo trasforma in altro e applica lo stesso principio agli altri racconti, è che si muove su due piani di realtà, o per meglio dire insinua il piano nel suo opposto, e in un momento in cui fingiamo di essere interessati al reale e a forza di retwittare e condividere e commentare, uno due dieci fatti ogni mezza giornata, il reale ci sfugge fra la dita. Nel momento, ovvero, in cui la possibilità di conoscere i fatti e incidere su di essi è massima, la nostra influenza sui fatti è minima, e finiamo col venirne schiacciati. Dunque, ci vogliono gli scrittori per restituirceli.
Come ha fatto Covacich e come, ma ne parlerò più avanti, ha fatto Nicola Lagioia con La ferocia. Sarà anche poco opportuno il momento, ma mai come ora c’è bisogno di letteratura.
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente.
Ricordare una persona che non c’è più, regala la preziosa illusione di farla tornare, almeno per un istante.