LO SGUARDO DEGLI UOMINI

Sono lietissima di ospitare questo intervento dello scrittore Ivano Porpora (autore di un romanzo bello e importante come La conservazione metodica del dolore). Lietissima davvero, perché è di analisi così che si ha bisogno. Buona lettura.
A Viadana (MN), in una delle direttrici che conducono fuori dal paese – precisamente nel tratto che porta in direzione di Cicognara -, il viaggiatore che qualche mese fa avesse costeggiato la statale 358, buttando lo sguardo sui frutteti di costa, si sarebbe trovato di fronte a questo cartello.
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Lo slogan, in alto, dice “L’ho pagato… io”. Con nome delle vincitrici del concorso, consistente in un ritocco estetico pagato dall’azienda in cambio dell’invio, credo, di prove d’acquisto dei suoi prodotti.
Ma questo, del cartello intero, è – e non vuole essere una battuta – il lato B.
Per chi fosse arrivato nell’altro senso, il cartello sarebbe apparso in questo modo:
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Qui non si vince un sedere ma un seno.
Ora, lo diciamo subito, quel cartello non c’è più. Non che la popolazione abbia protestato, o che la giunta abbia levato la sua indignazione. Non c’è più perché l’azienda lo ha ritenuto datato e ha pensato di sostituirlo con questa immagine, presente sul sito e ora sullo stesso cartellone:
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Questa suddivisione del corpo – in una terra che il maiale lo alleva, lo lavora e lo stagiona, come ricordato nel cartello di benvenuto presente giusto qualche decina di metri prima – ricorda la ripartizione delle carni suine. Per gli appassionati di Lupo Alberto dotati di buona memoria, potrebbe rimandare alla striscia in cui Alcide dava dello spiritoso a un tatuatore che gli aveva ricoperto il corpo degli stessi tratteggi – evidentemente poco incoraggianti per chi sia sensibile all’argomento, essendo come Alcide maiale per natura.
È un corpo ghigliottinato, questo, privo degli organi di senso, privo di mani – la mano che regge la bretella del reggipetto è essenziale alla posa, l’altra inutile e fuori campo – e privo di piedi. È un corpo che non può percepire né muoversi, sudato come invito e non per fatica, nato per esser fatto e non per fare.
La mia non vuole però essere una digressione sul corpo femminile, quanto sullo sguardo degli uomini. Sullo sguardo mio, lo sguardo di una persona dispersa che chiede un aiuto su una riflessione che lo vede in stallo. Lo dico perché più volte, negli ultimi anni, a fronte del lavoro di riflessione sulle donne portato avanti per esempio da Lorella Zanardo, Michela Marzano, dal collettivo di Se non ora quando e da Loredana Lipperini che mi ospita, mi sono trovato in una posizione faticosa da sostenere: quella di essere nel contempo accusatore e accusato, vittima e reo di una pornografizzazione della cultura che necessitava di me e del mio sguardo come tramite per la sua perpetuazione.
Se da una parte celebravo ammirato il lavoro di Mannelli, che nelle sue illustrazioni depornografizza lo sguardo, restituendo dignità e materia a corpi sfatti, disgraziati, sguardi in tralice, pance rigonfie, peni rilassati, come potevo dall’altra parte godere di visioni che al corpo di donna davano invece un’impronta puramente utilitaristica? Come potevo, intendo, esser caduto nel gioco senza vincitori e solo vinti che depotenziando la femminilità depotenzia la mia virilità, sottrae il fascino individuale inserendo al suo posto una serie di stereotipi e dogmi collettivi?
Questo, devo dire, mi ha disorientato e ancora lo fa. Disorienta me e la mia sessualità, la mia capacità peculiare di discernere anche a livello di gusto mio personale una persona che mi piaccia da un corpo che mi viene fatto piacere.
Il corpo della modella è separato in tranci, in blocchi che – come nel tavolo di MasterChef, ricordate? – hanno un loro valore intrinseco, differente da quello degli altri. Un pezzo è buono, un pezzo lo è meno, un pezzo può esser burroso e un altro deve esser sodo, su uno – l’addome – ci sono poche trattative tra cliente e macellaio e poche differenze sostanziali tra i gusti dei clienti e su un altro – il seno – c’è chi invece lo preferisce alto e chi basso, chi tonico e chi più rilassato, chi da coppa di champagne e chi da boccale di birreria.
Il mio imbarazzo sta nel non potermi sancire come vittima finale, eppure nel vedermi come parte in causa, parte violata nella mia ingenuità, mi vien da dire nella mia integrità. Nell’integrità del mio sguardo: nel percepire come il mio sguardo sia diventato a sua volta, e suo malgrado, uno sguardo dissezionato e dissezionante, ferinamente attento a coscia e sottocoscia; uno sguardo che a furia di Drive In e veline, ma anche di prodi cowboy e belle locandiere che spazzano liete a terra mentre lui parte suonando la sua armonica, e di Iglesias che canta “Se un uomo tradisce vale solo a metà”, si è andato paradossalmente sgrezzando e consumando, riducendo nella sua capacità di cogliere una visione sintetica e insieme trascendente di chi aveva di fronte.
Questo è stato uno dei motivi per cui l’anno scorso sono sceso per strada sia in occasione della marcia organizzata da Se non ora quando sia, poco tempo dopo, in occasione del Gay Pride nazionale: sono sceso per protestarmi parte lesa, arruolato senza firma, vestito di una divisa senza colore che mi ha corrotto senza che ci fosse un materiale passaggio di soldi. Gay e donne subiscono questo continuo assalto, mascherato da credo d’altra natura, perché intaccano – nella loro richiesta di parità – il privilegio del John Wayne di turno. Che andandosene al tramonto e sollevando un filo di polvere annulla ogni problematizzazione dei ruoli.
E ancora. L’oppressione nei confronti di una parte della società o di un solo suo rappresentante, che parliamo di donne, omosessuali, bambini, stranieri, carcerati, poveri, di persone di altro credo religioso, di Federico Aldrovandi o di Stefano Cucchi, è un’angheria nei confronti di tutta la società – e credo fermamente che qui, ora, chi non si protesti parte lesa fattivamente diventi parte ledente, controfirmatario di un contratto univoco.
Resta che la divisione, la frammentazione, la caleidoscopizzazione dello sguardo lo hanno volontariamente – e questo sì che è stato un gesto politico – reso più settoriale e fragile: a Viadana, in merito a quel cartellone, non si è espressa mai nessuna giunta, nessuna parte politica, nessun privato. Nemmeno io, prima d’ora, ho mai levato in maniera convincente la voce. Solo l’azienda, ogni tanto, lo sfoglia, pagina dopo pagina, concorso dopo concorso.
Ivano Porpora

15 pensieri su “LO SGUARDO DEGLI UOMINI

  1. Complimenti a Ivan Porpora, non è facile nemmeno parlarne dello sguardo maschile. Essere vittima e reo allo stesso tempo ti confonde, si passa dallo sguardo stereotipizzato a quello torbido. Non vi saranno molti commenti a questo post, di solito ci si sottrae al dibattito tutt’al più si manifesta un estraneità personale al problema, autoassolvendosi

  2. Io non saprei dire niente di più e ringrazio semplicemente Ivano Porpora per quello che ha scritto, che condivido in toto.

  3. Io vorrei segnalare un banner molto simile, che ho visto in questi giorni sul sito della Gazzetta, in cui c’è una ragazza in bikini con la scritta “Taglia il bikini”; passandoci sopra col mouse compaiono delle forbici. Non ci ho cliccato perché non mi fido (virus o malware), ma sarei stato curioso di vedere il “prodotto pubblicizzato”.
    Purtroppo non riesco a ritrovarlo e inoltre non so se si possano linkare banner.
    Ma mi pare una cosa molto simile a quella trattata da Ivan Porpora.

  4. La mia impressione è che di fronte a certe forme stupidamente “violente” di pubblicità si ottenga l’effetto opposto. Lo stesso dicasi di quei libri dove il sesso è spiattellato come su un bancone da macellaio.

  5. Confesso che alcuni passaggi del post di Ivano Porpora mi appaiono oscuri, e se commento senza saper bene cosa dire è soprattutto perché mi sento chiamato in causa, in quanto uomo. Parto quindi da quello che capisco, nella speranza che scrivere mi aiuti anche a comprendere ciò che mi è rimasto estraneo. Siamo parte lesa, noi uomini? Molti di noi sì, sicuramente. E’ parte lesa l’adolescente che sono stato, così come il giovane che è poi diventato, perché il recupero di quello sguardo integro che molto opportunamente cita Porpora è costato fatica e ha richiesto all’adulto anni di lavoro su quella corruzione iniziale che si è innestata su un individuo ancora carente di coscienza di sé. Se ci focalizziamo sulle forme di comunicazione pubblica, oggi certamente ci sono pubblicità più esplicite di allora, ma lo sguardo della società sulle donne e sui gay era genuinamente pornografico già alla fine dei ’70 – inizio ’80. Di una pornografia ancora non del tutto cosciente, che ha però rappresentato la materia indifferenziata ideale con cui strutturare – consapevolmente – un immaginario funzionale allo sfruttamento prima commerciale e poi politico di quel modo di essere degli italiani. Non solo maschi. Gli uomini che, come me, sono cresciuti in quel contesto, hanno iniziato a dissentire – quelli che lo hanno fatto – all’inizio per istinto, per una sorta di avversione antropologica nei confronti di quello spaccio di corpi femminili senza la persona dentro; poi, in modo più convinto, abbiamo saputo trovare punti di riferimento e modelli diversi che, per ortuna, non sono mai stati ridotti alla completa assenza. Nessuno di noi che oggi siamo uomini adulti, credo, può dirsi immune dalla contaminazione di quello sguardo torbido che, in vario modo, ha sporcato i nostri primi approcci tra coetanei e, più in generale, l’idea stessa di un rapporto d’amore. Che ne è risultato scisso tra un’idea performativa e una sacrale, due antipodi che è stato difficilissimo ricondurre all’unità. Sì, siamo vittime. Però viene anche il momento della responsabilità, e chi non ha saputo o voluto cogliere le opportunità critiche che gli sono state fornite non ha scusanti alla persistenza del proprio sguardo sul vuoto. Oggi il riduzionismo dei corpi all’immagine commerciale non riguarda più solo le donne. Tempo fa vedevo spesso, andando al lavoro, la pubblicità di una palestra che ostentava un torace maschile brunito, muscoloso e imperlato di sudore con la dicitura “body sculpture: ecco i nostri capolavori”. Mi pare un valido esempio di una sorta di par condicio al ribasso, che si concretizza nella tendenza a mercificare anche il corpo maschile. Penso non sfugga a nessuno che non si tratta di una conquista, ma tutto sommato è bene ribadirlo, data la tendenza di molti a leggere le disuguaglianze di genere in chiave di tifo calcistico: di che vi lamentate, se la stessa sorte tocca anche a noi? E questa può essere una delle chiavi di lettura, tra le tante, del persistere di questo sguardo malato: voi da una parte e noi da un’altra, le donne e gli uomini, i maschi e le femmine. Che non è sbagliato in assoluto: per rimanere su un livello molto terra terra, le chiacchiere tra donne dal parrucchiere o la partita con gli amici uomini sono piaceri che tutti/e ci concediamo; ma se prima di dividere il mondo in maschi e femmine imparassimo a guardarci innanzitutto come persone, credo sarebbe un ottimo viatico al superamento di questi obsoleti impedimenti emotivi.

  6. Oh, meno male, si sveglia qualcun altro. Cominciavo davvero a pensare che fosse un problema mio.
    Dàje Ivà, ben arrivato.

  7. Devo dire che più passano gli anni più vado convincendomi che il dibattito dai corpi delle donne vada spostato o quantomeno ampliato alla questione dello sguardo maschile (e infatti il post cita anche l’omosessualità).
    Mi piacerebbe, e lo trovo immensamente difficile, tentare di aggirare e superare la perniciosa dicotomia corpo/anima; non è solo l’umanità delle donne che viene censurata, ma i loro stessi bisogni e desideri fisici (sempre restando nella dicotomia).
    Vorrei aggiungere che le donne (noi donne, e non è mai facile per me includermi in un genere che è lì sulla carta d’identità ma che sento lontano quasi quanto quello maschile) sono le prime vittime di questo sguardo, io per prima l’ho introiettato in tenera età, e ormai penso ci vorrebbe la chirurgia per estrarmelo dalla rètina. Ma di questo si è discusso già a lungo.

  8. Cip, concordo assolutamente. Le donne sono le prime vittime di quello sguardo. Quello che faccio qui sopra è cercare di problematizzare quello sguardo: una prospettiva da Ezechiele Lupo vs. Tre porcellini è sempre pulita ma troppo spesso falsa. In questo caso percepivo un pezzo mancante a questo scenario: è di quel pezzo mancante che ho parlato.
    Da Viadana ancora nessun commento.

  9. Mi è piaciuta l’espressione “spaccio di corpi femminili senza la persona dentro” usata da Maurizio. Corpi simili tra loro, sguardi maliardi tutti uguali, labbra socchiuse e capo reclinato, ogni traccia di personalità rimossa a favore di una seduzione standardizzata, triste. Complimenti a Ivano per il bellissimo articolo, spero che molti uomini lo leggeranno e si ritroveranno nelle sue considerazioni. E invito donne e uomini a unirsi al gruppo contro la pubblicità sessista che ho fondato e che porta avanti mail bombing, campagne di Lode e Vergogna e pressione sullo Iap. Solo la crescente protesta metterà fine al fenomeno, così come è già avvenuto in diversi Paesi europei come Inghilterra e Svezia, senza bisogno di ricorrere a leggi speciali. Vi aspetto!
    http://www.facebook.com/groups/139046259478883/

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