L'ONESTA' E' LA CONDOTTA MIGLIORE: SULLE SCRITTRICI E SU QUANTO DETTO IN QUESTI GIORNI

Questo è un post con funzioni di memorandum: è possibile utilizzarlo, da parte mia o di altri, in determinate circostanze e quando le discussioni si fanno calde. L’idea è quella di dire, in quelle circostanze e discussioni, “guarda, queste cose io le ho scritte il 16 dicembre 2015, faceva freddino, c’era umidità e avevo dormito male, però le ho scritte, leggi”.
Questo, però,  non sarà un post che metterà la parola fine alle riflessioni di questi giorni sulla visibilità e sulla percezione delle scrittrici, iniziate con la classifica de “La Lettura” (dieci libri di qualità, tutti di scrittori), proseguite con la riemersione delle dichiarazioni del direttore della Feltrinelli di Bologna (che diversi giorni fa, non ieri, aveva candidamente confessato di non leggere scrittrici, e che oggi, ahilui, peggiora la situazione sostenendo di leggere saggi di filosofia, come se in quell’ambito fossimo al grado zero, ma pazienza), e poi  moltiplicate sui social e approdate, stamattina, sulla carta stampata.
Mi piacerebbe, anzi, che quelle riflessioni fossero l’inizio di un ragionamento che coinvolge donne e uomini, scrittrici e scrittori, giornaliste e giornalisti, critiche e critici, lettrici e lettori, e che riguarda non la necessità di inserire a forza libri scritti da donne nelle proprie liste di qualità pubbliche e private, ma il motivo per cui da alcune di quelle liste non appaiono titoli importanti di scrittrici, in grado di raccontare il mondo al pari di quanto avviene nei titoli importanti degli scrittori. Non avviene ancora, e in Italia se ne parla poco. Altrove sì: e negli Stati Uniti  nessuno si stupisce se  Katha Politt, poetessa e critica letteraria, rilascia dichiarazioni come questa: «Sono convinta che ci sarà sempre posto per una Toni Morrison o una Mary McCarthy, ma solo una alla volta. Per ogni donna, c’è spazio per tre uomini.» (qui, per inciso, trovate il bell’articolo di Meg Wolitzer per il New York Times, dove si faceva il punto sulla questione: apparve tre anni fa e resto convinta che è anche in seguito alla discussione che ne scaturì che oggi il New York Times inserisce sette autrici nella classifica dei dieci libri di qualità del 2015. Non per politicamente corretto, non per tener buone le femministe: semplicemente, perché quei libri sono stati, infine, letti dai critici e dagli scrittori votanti).
Dunque, quello che vorrei precisare qui è molto semplice. Non ho mai sostenuto né mai sosterrò che le donne scrivano meglio degli uomini. Ho letto pessimi libri scritti da donne e pessimi libri scritti da uomini, grosso modo in pari quantità: se proprio devo rilevare una differenza, è nel modo di porsi delle scrittrici, che sono – in genere, e dunque semplificando al massimo – meno propense ad autodefinirsi geniali e incomprese, anche se da questo punto di vista le cose stanno cambiando, e non sono certa che sia un bene (per le scrittrici).
Uno dei criteri più importanti che adotto quando leggo un libro è quello della sua onestà. E, se permettete, cito quanto scrive Stephen King in On writing:
“D’accordo, i bugiardi prosperano, ma soltanto in linea di massima, non nella giungla dell’autentica scrittura, dove sarete costretti a raggiungere il vostro obiettivo una fottuta parola alla volta. Se, mentre siete laggiù, comincerete a mentire su ciò che conoscete e provate, sarà un disastro”. E, ancora: “sarebbe un guaio pretendere di diventare scrittori senza mirare all’onestà”.
Anche le donne scrivono libri disonesti, certo. Lo fanno quando si inseriscono in un filone, incluso il femminismo, immaginando di avere maggior attenzione perché quel filone è emergente. Lo fanno quando non scrivono perché quel libro va scritto, come abitualmente avviene per i libri onesti, ma per mantenere una posizione. E, certo, lo fanno anche gli uomini.
Non è il genere di appartenenza a fare la qualità, che sia chiaro, in questa umida mattina del 16 dicembre 2015, dove, si suppone, gli aspiranti Jonathan Franzen di casa nostra useranno social e altri mezzi per stigmatizzare le femministe paranoiche, quelle che protestano sempre e a sproposito e che rovinano il paese. Ma esiste, e non va negato, il problema della qualità delle scrittrici che è in secondo piano,  anche se non viene ammesso. Forse, quanto scritto in questi giorni servirà a innescare un ragionamento, finalmente.
Infine, certo, occorrerebbe “anche” riprendere una discussione sui femminismi, in altri termini, quelli che non suscitano schieramenti nevrotici dall’una o l’altra parte. Ci sarà, spero, modo. Auspicandolo, concludo con le parole di una grande scrittrice, Ursula K. Le Guin. Interpellata sugli errori del femminismo, rispose così:
“Posso dire che non credo che il femminismo abbia fatto grandi errori. Credo che molti uomini facciano un grande errore nel considerarlo ostile a se stessi e che molte giovani donne facciano un grande errore a pensare di non averne bisogno e che esso non abbia niente a che fare con loro”. Amen, sorelle e fratelli.

40 pensieri su “L'ONESTA' E' LA CONDOTTA MIGLIORE: SULLE SCRITTRICI E SU QUANTO DETTO IN QUESTI GIORNI

  1. Peccato che per scrivere un post assennato sia prima stato necessario fare a brani la reputazione professionale di un poveraccio “Direttore della Feltrinelli, anni 52.”, colpevole di aver detto che legge poche autrici.
    Ben gli sta, tiè.

    1. Nessuno, signor Cellophane, fa a brani proprio nulla. Ma se permette, alla reputazione professionale qualsiasi direttore di libreria dovrebbe pensare prima di dichiarare che legge poche autrici. A prescindere da quello che le autrici scrivono.

  2. “Hemingway mi portò a pescare i tonni ed io ne presi quattro scatolette, ne ridemmo insieme ed Alice Toklas mi chiese se mi fossi innamorato di
    Gertrude Stein perché le avevo dedicato un libro di poesie, anche se queste erano di T.S. Eliot ed io risposi di si, che l’amavo, ma la cosa non avrebbe potuto funzionare perché Gertrude era di gran lunga più intelligente di me. Alice Toklas fu d’accordo, quindi ci infilammo i guantoni da boxe e Gertrude Stein mi ruppe il naso”. Allen, Woody, Memorie degli anni venti.
    Amen, sorella Lipperina.

  3. Non so se riuscirei a fidarmi di un libraio che dice: “non leggo scrittrici” o peggio: “non le leggo perché leggo saggi di filosofia.” Anzi, lo so: non mi fido. Non si parla di un amministratore delegato, o di un medico, o di un qualsiasi altro professionista di qualsiasi altro campo, è uno che con i libri ci lavora.
    quando si smetterà di considerare la cultura e in modo particolare l’editoria e i libri come qualcosa di cui può occuparsi il primo che passa, sarà sempre troppo tardi.

  4. Nessuno fa a brani proprio nulla? Il direttore della libreria è stato messo alla gogna per aver espresso i propri gusti letterari (perché di questo si trattava: una proposta di libri basata sui gusti personali di una data persona). Dire poi che “qualsiasi direttore di libreria dovrebbe pensare prima di dichiarare che legge poche autrici” non fa altro che confermare che, per lei, quel direttore si è meritato la gogna.
    (Senza contare le generalizzazioni infamanti: non ha detto che non legge autrici, ma che ne legge poche; non ha detto che in filosofia si sia al grado zero, ma quel che ogni manuale di filosofia può confermare, cioè che prima di arrivare alle pagine dedicate a filosofe se ne debbano sfogliare parecchie altre)
    A quel punto, diventa inutile dire che ciò che conta non è la necessità di inserire a forza determinati libri in una lista, bensì i motivi che rendono tali libri meno letti di altri: quel che sembra importare, in realtà, è che si esprimano i propri gusti per quote, così da accontentare tutti. A quel punto, tanto vale fare come quegli omofobi che dicono che per carità, alcuni tra i loro migliori amici sono gay: l’importante è la reputazione, non che il pensare comune si evolva. Bel contributo alla causa, complimenti vivissimi.

  5. Guardi, signora Lipperini, io credo di aver capito il senso del suo post e, come credo MrCellophane, in astratto sarei perfettamente d’accordo. Solo che credo che ogni testo vada rapportato al contesto in cui appare, ed il contesto, così come alcune sue dichiarazioni in questa sede, mi sembrano contraddire quello che mi pare essere il senso desiderato del suo post.
    Poi, per carità, se preferisce sentirsi dire “brava, bene, bis” e liquidare tacciando di mala fede (“non voler capire”) chi, mi pare in maniera educata, le palesa dei dubbi emersi dalla propria personale lettura del suo post, be’, non mi rimane che ricambiare il saluto e rammaricarmi per aver visto che la proposta di ragionamento lanciata dal suo post non si prende neanche la briga di entrare nel merito delle posizioni differenti dalla sua.

    1. E’ interessante, Funes, e vale anche per il signor Cellophane che consulta l’urban dictionary, che si tenda a isolare un solo frammento dalla discussione, e che le uniche reazioni siano quelle, vetuste “oddio vuole solo il consenso”. Naturalmente no, e chi usa questa argomentazione è perché non ne ha altre. Ripeto quanto ha detto Adrianaaaa: si sta discutendo di un problema che, evidentemente, non si vuole vedere, e le reazioni sdegnate si concentrano su un direttore di libreria che forse, ripeto forse, dovrebbe pesare le parole, perché dichiarare di leggere poche scrittrici, includendo una gamma vastissima che va da Hannah Arendt alla chick lit, è un sintomo. Cosa dovrei dirle di più di quanto ho già detto?

  6. Credo che nella discussione sui femminismi a cui accenni varrebbe la pena di soffermarsi su quello che chiamo il “femminismo rosa”, che riparte dalle emozioni, dalla paura che suscitano le donne che sognano il lieto fine, perché una donna che si emoziona e che crede nel lieto fine poi lo pretenderà anche nella propria vita. E forse proprio per questo la letteratura al femminile viene guardata con un sorrisetto paternalista, spesso senza preoccuparsi di fare distinzioni: perché la felicità delle donne va sempre bollata in qualche modo, sulla carta e fuori. Grazie per questo post, bellissimo e importante. E non c’è bisogno di scrivere “assennato” come se per una donna fosse un gran traguardo (proprio come non abbiamo bisogno di essere “tranquillizzate” dal direttore della Feltrinelli nel suo commento alla questione).

  7. Ci si lamenta del danno professionale che il direttore della Feltrinelli avrebbe patito – e che come giustamente diceva Loredana, si è auto-inflitto dichiarando placidamente di non leggere donne, come se fosse una cosa normale, come se andasse bene.
    Ma il danno professionale che invece hanno subito le autrici che nella sua libreria – la più grande e importante di Bologna – non sono state promosse e consigliate come meritavano, solo per un pregiudizio di genere? Loro non contano?

  8. Be’, signora Lipperini, se nel rispondere alle critiche si limita a tacciare di stupidità (“temo che lei non abbia capito”) o, appunto, di malafede (“o non voglia capire”) chi tali critiche le rivolge, converrà che è difficile trovare nelle sue risposte un’apertura verso chi ha interpretato la vicenda in modo diverso dal suo.
    Visto che non credo di essere così stupido o in malafede, non le ho chiesto di dire di più di quanto ha già detto. Quel che mi limitavo a constatare era che il ragionamento avviato da lei mi pareva più che condivisibile, ma partiva da una situazione in cui non era il problema affiorante nelle scelte di Bonassi ad essere al centro della discussione, quanto la persona stessa, deprecata per aver esternato delle preferenze letterarie. Secondo me, impostare una discussione del genere su queste basi nuoce all’obiettivo della discussione stessa – se l’obiettivo è mettere in chiaro che esistono scrittrici innumeri più che degne di esser lette – perché dà l’idea che leggere tali autrici sia un dovere dettato da terzi prima che da sé stessi. Credo anzi che alle stesse autrici giovi meno che la mancata citazione in una lista temporanea come quella di un direttore di libreria (per rispondere ad Adrianaaaa). Permette che anch’io abbia a cuore la questione pur dicendo che il discorso relativo potrebbe essere impostato diversamente?
    Questa, ovviamente, è la semplice opinione di un lettore che (forse la sorprenderà, a quanto intuisco dalla sua risposta piccata e un tantinello arrogante) come primo libro in inglese lesse la Shelley, al liceo amava la Yourcenar e la Woolf ma non reggeva la Duras, nel tempo libero si rilassa con la Vargas e nelle sue attuali ricerche cita frequentemente Arendt, Skocpol e Spivak – questo, forse, anche perché nessuno me le ha mai imposte.
    D’altronde, mi permetto di dirlo en passant, se una lista di dieci titoli bastasse per erigere delle preferenze a sistema, la sua lista apparsa su Repubblica sarebbe sufficiente per accusarla di marcato eurocentrismo, visto che l’unica autrice non europea è la Dickinson, mentre mancano autrici africane, asiatiche o latinoamericane, se non di razzismo, visto che le autrici sono tutte bianche. Le sembrerebbe normale se qualcuno, senza conoscerla, dicesse che lei è una razzista e che tale lista nasconde un problema che non si vuol vedere e che lei, come scrittrice e voce influente nella critica letteraria, dovrebbe pesare le parole perché proporre solo autrici bianche ed europee/statunitensi è un sintomo di un problema più vasto?

  9. Vede, Funes, quando scrivo “non vuole capire”, lo faccio solo perché insiste su quello che per me è un aspetto della vicenda, un sintomo – se vuole – ma non il caso di partenza. Ovvero, il direttore di libreria. Che non ho insultato. Non l’ho definito in alcun modo, non ne ho auspicato la rimozione, e così via. Per me, come ho provato a spiegare, la questione parte dalla lista di qualità della Lettura, e si incrocia non con le preferenze del direttore della Feltrinelli, ma con quello che ha detto “a priori”. Ne leggo poche. La critica che lei opportunamente mi rivolge è vera, ma non le risponderei mai “leggo poche asiatiche e latinoamericane”. La differenza, se permette, c’è.

  10. Ancora indecisa se appassionarmi o meno all’episodio e alle reazioni che ha suscitato, tento comunque di dire la mia.
    A me sembra che si sia creato un caso dove caso non c’è, leggendo intenzioni dove io (miope, forse) non ne vedo e interpretando il più opinabile degli esercizi – una classifica – come una valutazione di genere.
    Che sia una valutazione è naturale, che contenga un (pre)giudizio di genere a me non sembra. È una constatazione: perché attribuirle valore di privazione? Certo, espressa dal direttore di una grande della libreria è certamente incauta. Non colpevole.
    E, Loredana: perché non direbbe mai che legge poche asiatiche e latinoamericane (se fosse vero, naturalmente)?

    1. Gentile Angeliña, forse io sono stupida (anzi, lo sono), ma mi sembra che sia evidente la differenza tra “non leggo a prescindere” e “non ho citato nell’elenco”. Quanto al direttore della libreria, e coinvolgo anche Funes, non so più come ripetere che per me il caso è una semplice deriva, o segnale, di una questione più ampia. Non ho sottoposto il malcapitato a nessun rogo, come penso si possa facilmente constatare.

  11. Capisco, ma ripeto: non nego il problema della scarsa considerazione riservata generalmente alla letteratura a firma femminile e condivido la necessità di capire le dinamiche che portano a liste come quelle de La lettura o di Bonassi. Ciò che mi premeva sottolineare era che la reazione quasi da maccartismo (ad esempio da parte di Verasani o De Giovanni) nel caso di Bonassi mi è parsa andare in direzione opposta, richiedendo un auto da fé al malcapitato di turno senza porsi alcun interrogativo del tipo di quello che pone lei in questo post. Insomma, se mi concentravo su quel “sintomo” era per dire che la cura riservatagli mi pareva concorrere al problema più generale, e su vari piani sui quali non so se sia il caso dilungarsi.

  12. Certo che è evidente, figuriamoci poi se mai mi verrebbe in mente di darle della stupida! Ma tra le due ipotesi che cita io vedo almeno una terza possibilità (per questo chiedevo, sinceramente): non mi capita di leggere (questo o quella), perché scelgo altro. E scelgo altro perché preferisco altro. Può una scelta dettata da un gusto personale essere considerata un torto agli esclusi, a prescindere? A me non sembra.
    Ho capito il suo punto sulla tendenza (o deriva, se preferisce), ma in questo caso forse sono io che non riesco a considerare il peso della questione più ampia. Personalmente leggo (stavolta sì, a prescindere), quello che mi appare interessante, senza curarmi del sesso dell’autore. Se leggo la Ginzburg è perché mi piace la Ginzburg, se leggo Zweig è perché mi piace Zweig. Se leggo un romanzo di un autore o di un’autrice che non conosco lo leggo perché penso che potrebbe piacermi.
    Tra l’altro, se leggo qualcosa che non conosco, meno cose so di chi scrive e meglio è (per me e per le mie attitudini, naturalmente). Così come invece (al contrario!) mi può capitare di leggere perché la mia attenzione viene catturata da qualcosa che so su chi l’ha scritta. Ma mai il sesso dell’autore è determinante in una scelta. Può certamente esserlo nella valutazione: alcune opere (in linea di massima mi riferisco ai romanzi, perché leggo principalmente questi) portano a considerare che il genere dell’autore possa aver dato più o meno efficacia alla narrazione; così come può essere interessante l’esercizio di un autore maschile che scrive di una protagonista donna, o il contrario. Ma la valutazione è successiva, non un criterio nella scelta.
    Davvero i dati statistici sul genere degli autori che vengono letti rappresentano qualcosa? Mi sfugge qualcosa?

  13. Angeliña, penso che ti sfugga un particolare, mentre in generale sono d’accordo con te. In una società più o meno maschilista, l’ambiente letterario non è difforme, e per certi uomini di cultura quello che scrivono le donne è meno interessante (non che sia sempre una scelta consapevole, fatta di proposito, anzi). Questo a catena ha determinato minore attenzione e minore possibilità di intercettare i lettori e le lettrici. Nonostante ciò, questo oggi non ha più importanza, poiché le donne hanno le stesse opportunità culturali degli uomini e le opinioni di tali uomini non sono più importanti. La strada al talento femminile è stata aperta. Non mi metterei dunque ad inseguire i pregiudizi altrui quando non sono più rilevanti. Se non altro perché si rischia l’effetto quota rosa. E poi perché non vedo il senso di chiedere riconoscimento a figure che noi per primi non consideriamo rilevanti. Infine si rischia l’effetto Lisa Simpson

  14. Io penso che si abbia il diritto di essere ingiusti quanto si vuole nella scelta di ciò che si legge. Se un danno c’è sarà probabilmente a carico quasi esclusivamente di chi decide di fare così.
    Voglio fare un esempio estremo, se un libraio amasse puranche leggere soprattutto libri scritti da dittatori non vedo da quale pulpito gli si dovrebbe far la predica, a patto che non abbia aspirazioni autoritarie lui stesso.
    L’unica critica che capisco è che chi sta svolgendo una funzione nell’orientare ciò che viene letto deve mettere un po’ da parte le preferenze personali ed avere anche un certo galateo.
    A me pare ovvio che la qualità di un libro non abbia nessuna relazione con il sesso di chi l’ha scritto e non credo che il libraio volesse dire il contrario.
    Mi sembra che quel che gli venisse chiesto fosse proprio una sua personalissima classifica, se questi ha constatato che in genere preferisce scrittori a scrittrici, qual’è il problema?
    Dire che la qualità di un libro non dipende dal sesso di chi lo scrive non significa dire che lo scrittore è un essere asessuato la cui opera presenti come unica testimonianza del suo genere la firma. (con tutte le infinite combinazioni di maschile e femminile presenti in ogni singolo individuo)
    Io personalmente cerco di non evitare il disordine nel leggere e non mi precluderei la possibilità di seguire una bussola in cui l’ago non si sappia esattamente cosa indichi per seguire un criterio. Ma che si legga pure chi ci va in base a qualsiasi pur strampalato e ingiusto criterio possa venire in mente

  15. Certo che “non è il genere di appartenenza a fare la qualità”, però – riguardo al direttore che legge filosofi uomini – devi riconoscere che prima di arrivare ad Hannah Arendt ci sono almeno un centinaio di pensatori (maschi, che vuoi farci) più importanti, tra l’altro senza i quali la Arendt manco si capisce.

  16. Mi ero allontanato dalla conversazione perché mi rendevo conto che sul punto di Bonassi non c’era accordo a priori: per lei è un aspetto relativamente trascurabile, per me rivela un versante del dibattito più generale che andrebbe preso in considerazione.
    Torno a farmi vivo proprio perché Fred, secondo me, ha indicato un punto rilevante, che d’altronde avevo già segnalato riferendomi ai manuali di filosofia, ossia: è vero che non si legge necessariamente in ordine cronologico, ma rimane che in molte discipline lo sviluppo sia avvenuto per secoli attraverso le opere di pensatori uomini. Ciò implica che chi si occupa di tali discipline sia costretto comunque a fronteggiare una sproporzione “numerica” di genere dettata non tanto dai propri gusti, quanto dalla storia della disciplina in sé. D’altronde, basta scorrere appunto la bibliografia di un qualsiasi volume della Arendt per vedere che la percentuale di autrici donne citate è risibile. E non credo si possa accusare la Arendt di misoginia perché attraverso le sue citazioni dice in qualche modo di “leggere poche autrici”.
    Insomma, una delle ragioni per cui mi concentravo sul caso di Bonassi era perché, attraverso certe reazioni, rivela una sorta di idealizzazione dell’offerta letteraria che talvolta non risponde al concreto sviluppo storico della letteratura in materia. In questo senso, secondo me, chiedere a qualcuno che studia filosofia (soprattutto filosofia precedente il Novecento) di dire che legge molte donne lascia trasparire quanto le concrete cause storiche della faticosa affermazione della letteratura al femminile vengano talvolta trascurate in favore di facili quanto superficiali accuse di “non leggere a prescindere”.
    Quel che mi chiedo, e le chiedo, quindi, è quanto la promozione della letteratura al femminile possa trarre beneficio da un simile atteggiamento verso la realtà che si sostiene di voler cambiare.

    1. Oh signore, Funes. Non riusciamo a capirci. NESSUNO AL MONDO chiede al signor benedettissimo libraio di leggere molte donne. Ma di non escludere l’idea di leggerle. E ancora, per favore, il punto non è il libraio, che il cielo lo conservi.

  17. Ma infatti continuo a ripetere che sto usando quel caso solo come punto di appoggio per un aspetto più ampio, in modo induttivo diciamo, per arrivare al fatto che talvolta la promozione della letteratura al femminile sembra considerare lo sviluppo della letteratura (e della sua ricezione) in modo astratto ed idealizzato, e che ciò mi pare controproducente se si vuole ottenere un cambio nella mentalità generale.
    Capisco di essere logorroico, ma la prego di premiare una volta tanto il mio sforzo di premettere costantemente che quel caso mi serve solo per dare un esempio concreto del mio intendere il problema più generale che lei ha posto.

    1. Ma se lei si ferma a quell’esempio non ne usciamo. Ribaltiamo la cosa e vediamo se riusciamo a capirci. a) la classifica della Lettura comprende solo autrici donne. Reazioni? b) una libraia dichiara “leggo pochi scrittori maschi”. Reazioni?

  18. Mi rendo conto di far fatica a risponderle, perché sono ipotesi la cui storicità mi pare implausibile, almeno nel contesto italiano. Ed io sto proprio indicando la rilevanza dei fattori storici che concorrono alle scelte effettive a cui si riferisce la discussione. Fattori storici sui quali, secondo me, una parte di chi vuole promuovere la letteratura al femminile non si sofferma, finendo col rendere dei mulini dei giganti contro cui partire lancia in resta, e rompercisi inutilmente testa e baciyelmo. E, soprattutto, trascurando magari i fattori che potrebbero davvero portare ad un cambiamento.
    In ogni caso, poiché mi parrebbe scortese trascurare la sua domanda, io risponderei coerentemente con quanto appena detto: data l’apparente anomalia, mi chiederei appunto le ragioni della stessa, e le chiederei in primo luogo ai diretti interessati – senza generalizzare le loro risposte (ad es. “leggo pochi lettori maschi” non implica necessariamente che non li si legga a prescindere, né tantomeno si può riassumere con “non leggo lettori maschi”), ma anzi approfondendole. In questo modo, almeno, avrei qualche elemento concreto per capire come produrre un cambiamento qualora sia necessario.

  19. E difatti ho detto a più riprese di condividere la proposta lanciata da questo post. Solo, dissento sul fatto che il punto sia quello per tutti: a me pare piuttosto che per alcuni sia solo un pretesto per lanciare anatemi sul Malaussène di turno. E ciò non solo distoglie dal punto, ma lo danneggia.

  20. “Da raffinato intellettuale trovo abbastanza incomprensibile questa polemica che inevitabilmente spinge verso la genderizzazione delle opere letterarie. Proprio nel momento in cui si vorrebbe negare ogni relazione tra identità biologica e orientamento di genere delle persone, in cui finalmente bambine e bambini dell’asilo possono scambiarsi ruoli e rossetto. proprio ora, ancora oggi si vorrebbe significare un opera letteraria basandosi sulla supposta identità sessuale di chi la scrive?. Perché. Quale identità poi. biologica? Di genere? Di Fitness? Se non possiamo permetterci di definire un essere umano in base ai suoi cromosomi, dovremmo addirittura farlo con le sue opere? Chi potrà mai dirci se un libro è maschile o femminile, che senso ha saperlo. Dacia maraini invece di una donna potrebbe essere un baffuto tradizionalista scrittore ungherese contrario all’utero in affitto, Augias corrado indossare per certo giarrettiere e calze a rete. In quale elenco metteremmo i loro libri, dobbiamo per forza scandalizzarci? Esistono libri donna ei libri uomo? Siccome la teoria del gender non esiste vogliamo allora inventarci la libreria antigender, con tanto di fiocchetti rosa e azzurri appiccicati ai volumi e le sentinelle in piedi a controllare? che sesso ha. ”
    ciao,k.

  21. Se una libraia pubblicasse la classifica dei libri importanti della sua vita e vi fossero solo donne o dichiarasse che non legge molti scrittori, a me personalmente la cosa non darebbe darebbe davvero il minimo fastidio.
    E mai mi verrebbe in mente di definirla mentecatta o ottusa com’è stato detto del libraio.
    Nel caso una classifica che si pretenda “imparziale” segua criteri che esulano dal merito certo qualcosa non va.

  22. Loredana, non è l’ordine cronologico: pure Ipazia viene prima di Spinoza e Ildegarda di Bingen prima di Wittgenstein… è che non c’è una pensatrice così fondamentale da poter precedere anche il più recente dei filosofi che contano.
    Dai che ci siamo capiti.

  23. Torno a commentare solo per specificare che non parlavo di lei, bensì di alcune voci che avevano preso parte al dibattito più ampio di quei giorni. Peraltro, proprio perché risponde, non avrei commesso l’indelicatezza di parlare di lei riferendomi a non meglio specificati “alcuni”. Benché sia forse superfluo, e di sicuro tardivo, mi premeva chiarire questi due punti. Ne approfitto per augurarle un buon 2016.

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