L'OTTO MARZO, PER ESEMPIO

Come ogni anno, ma stavolta – forse – più degli altri  anni, ci saranno le mimose sulle bacheche dei social, e quelle e quelli che diranno che lemimosepercarità, e ci saranno i numeri, più o meno identici, che riguardano le impari opportunità nel lavoro-politica-retribuzione,  e quelle e quelli che hanno cominciato già da giorni a dire oddiocomincianoadareinumerichestrazio, e ci saranno, ci sono già, gli how to, i come sopravvivere in un mondo che ancora è disarmonico dal punto di vista dei pari diritti, e quelle  che mettono le mani avanti e dicono che quella disparità non le riguarda affatto, ma scherziamo, non siamo mica una specie protetta e che noia queste femministe che vogliono attentare alla mia persona, alla mia libertà, al  merito che certo mi consentirà, a me sola, a me unica, a me baciata dal talento, dalla bellezza, da una famiglia ricca, di percorrere strade che ad altre sono negate per inettitudine.
Questo, care e cari, sarà l’otto marzo delle attiviste e di quelli che le contrastano, delle pensatrici e di quelli che le sbeffeggiano, della ragazza che si interroga e del bibliofilo misogino, delle utopiste e delle furbe, di chi si rimbocca le maniche perché ci crede e di chi se le rimbocca per ambizione personale. Sarà l’otto marzo dei commentatori dei quotidiani e dei milioni di commentatori sul web, del comico depresso che prende a bersaglio le femministe e delle femministe che non riescono a trovare una direzione comune, di chi contesta Laura Boldrini perché ministranonsipuòsentirescherziamo e di chi ministra lo dice da anni, serenamente, perché la lingua cambia con le donne e gli uomini. Sarà l’otto marzo dei convegni e delle assessore e assessori che oddiocivuoleunadonnachichiamiamo, sarà l’otto marzo dell’allegria e del rito, della vignettista che magari si rassegnerà a disegnare qualcosina per l’otto marzo e poi tornerà a scrivere commenti schifatissimi sulle vecchie rompiscatole che al femminismo credono. Sarà l’otto marzo dei centri antiviolenza che chiudono, come Soccorso Rosa, che si trova presso l’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, e che chiama a raccolta tutte e tutti domenica dalle 10,30 alle 12,30, per iniziare una raccolta firme contro l’annunciata sparizione. Sarà l’otto marzo di quelle e quelli che dicono femminicidiononsipuòsentire e  l’omicidio è uguale per tutti. Sarà l’otto marzo di chi ricorda che il diritto all’interruzione di gravidanza in Italia è negato e di chi grida ancora assassine alle donne che abortiscono.
Quel che vorrei è che fosse l’otto marzo di chi è consapevole che nessuna libertà individuale è garantita quando le libertà comuni sono messe in dubbio. Vale per le donne, per le persone LGBTI. Vale, anche, per gli alberi caduti che piangiamo perché li hanno cantati Carducci e D’Annunzio: salvo applaudire alla distruzione del territorio solo perché la  superstrada non passa sotto il nostro balcone.
L’otto marzo sarò nelle Marche. Non a parlare di femminismi, ma di comunità: sarò domani pomeriggio a Fabriano, presso la Dimora Engles Profili, via Gentile 13, e la mattina di domenica ripercorrerò le strade che conosco e che hanno cambiato aspetto, irreversibilmente. Perché il senso del noi passa attraverso le battaglie che riguardano genere e ambiente, insieme. E pazienza per chi fa spallucce. O che le spalle le volta, per guardarsi in uno specchio che non riflette altro che il suo viso.

19 pensieri su “L'OTTO MARZO, PER ESEMPIO

  1. un abbraccio fortissimo, la condizione femminile in Italia merita un pensiero costante, ancora più necessario quando in casa si hanno delle giovani donne in cerca di risposte… goditi le tue Marche, Loredana e a presto spero
    Nicoletta

  2. Lipperini, non le pare di aver un po’ troppo esagerato con il pedale? A sentire il suo elenco non ne viene fuori un quadro di complessità ma dicotomie da fissa manichea. Si rilassi, tanto la invitano lo stesso anche se adotta uno stile più sobrio, almeno da suffragetta 2.0.
    PS
    La Boldrini ha la fissa del termine “ministra” ma poi casca male sul’altro termine, quella de “la presidente” al posto del corretto “presidentessa” (forse perché il suo ruolo è quello e allora è bene che suoni altisonante, quindi tradizionalmente maschile). I nominalisti al confronto della Boldrini erano dei dilettanti. La Boldrini è davvero convinta che una rosa è “una rosa” solo per artificio linguistico. Beata ovinità. Chissà se del “mare” i francesi intravedono la cosina e noi il pipi.
    PPS
    Tutte le statistiche a disposizioni ci dicono che la situazione occupazionale femminile italiana è ben lungi dall’essere “più o meno identica”. Le donne stanno cavalcando impetuosamente non verso la parità (già raggiunta) ma oltre, verso il superamento dell’altro sesso, in tutti i settori e numeri. Che poi sembra che la cosa le dia fastidio. A me che sono maschietto piace molto questa situazione. Finalmente potrò aspirare a fare plausibilmente il mantenuto e il casalingo, mio sogno femminista in nuce.

  3. Caro Tibulliano, il Suo stile somiglia tanto a quello di k. … sbaglio!?
    Quanto alla realtà femminile nel mondo del lavoro si informi un po’ meglio o verifichi le statistiche da cui ricava le sue considerazioni perché temo che abbia confuso l’Italia con l’Islanda!!

  4. Ohibò: abbiamo anche noi la nostra Elena Ferrante de ‘noartri (per l’appunto!)?? Quel honneur!! 😀 😀 😀 😀 😀
    Naturalmente con tutto il rispetto per la Ferrante vera (o vero, visto che non sappiamo chi sia).

  5. E comunque “presidente”, participio presente del verbo presiedere, è tanto maschile quanto femminile. Studi, Tibulliano, studi! Che in queste condizioni ha davvero poco da ridere, glielo assicuro!

  6. @Maurizio
    Peccato per la sua caprina ignoranza che il participio presente di “presiedere” sia “presiedente”. Studi , Maurizio, studi.
    @A proposito del verbo “studiare”, simile a “presiedere”. Il participio è ovviamente “studiante” e non “studente”. Tuttavia nessuno dice “la studente” ma “la studentessa”. Povera Boldrini, che IQ sciagurato.

  7. dal latino praesidens, che deriva da prae sidis: “chi siede in avanti”. La facevo meno bestia, signor Tibulliano :-).

  8. O anche, che magari le è più chiaro: http://www.etimo.it/?term=presidente.
    Ma non mi dica, Uomo Ridente, ma davvero non sa il latino? Ohibò, e pensare che dopo tanto sfoggio di cultura la facevo quanto meno di formazione liceale. E invece che ti scopro? Che le leggi della logica che tanto spesso ci ammannisce non dagli antichi ha iniziato ad apprenderle, ma osservando come gira la corrente sui circuiti in qualche patrio istituto tecnico :-).

  9. Certo, certo, raschi pure il fondo del barile appellandosi all’etimo latino. Lei è patetico. Il dramma è che è davvero persuaso di quel che dice quindi nessuna ulteriore argomentazione servirà.

  10. Ne sutor ultra crepidam, accetti questo consiglio, caro amico dal protefoirme nick. Ma ora maiora premunt, sono costretto a lasciarla. Usi pure Google, troverà le traduzioni :-).

  11. Oddìo Maurizio, anch’io vengo da un istituto tecnico eppure qualche frasetta in italiano la so scrivere… Pensi un po’ che nel mio corso biennale di italiano siamo arrivati al Gruppo 63 e a Pasolini!! E che la mia passione per letteratura, filosofia e saggistica è nata studiando matematica, fisica e… elettrotecnica!! Ma forse erano altri tempi, chissà… 🙂

  12. Luca (possiamo darci del tu, vero?), non è che io stia messo meglio: dopo lo scientifico ho preso una laurea in statistica… Solo che quando uno legge commenti tanto spocchiosi poi diventa spocchioso a sua volta, anche dall’alto (si fa per dire) di un liceo scientifico che, in quanto a cultura, equivale più o meno a salire su uno sgabello, più che sulle famose spalle dei giganti…

  13. Caro Maurizio, certo che possiamo darci del tu! Vedo che hai fatto il cammino inverso al mio: dall’umanistico-matematico al matematico puro… io invece ho scoperto l’umanistico grazie alla matematica e alle materie scientifiche: i miei prof di fisica e di misure, in particolare, ci fecero riflettere subito sul metodo scientifico e sul significato delle convenzioni nella matematica (con particolare riferimento ai numeri reali e a quelli c.d. “immaginari” nonché sul ruolo determinante dell’introduzione della numerazione araba rispetto a quella romana per lo sviluppo delle equazioni, e poi sulle incognite delle stesse equazioni, sul significato fisico di integrali e derivate, sulla necessità e modalità di rappresentarle su uno o più piani orientati…), è stata una folgorazione: da lì capii che a fondamento di tutto c’era la visione, l’angolazione dalla quale osservare un fenomeno qualsiasi; da cui il mio avvicinamento alla filosofia prima, alla saggistica e alla linguistica poi. Più “episodico” e irregolare, invece, il mio interesse alla letteratura vera e propria, così come alla poesia che ho (quasi) sempre vissuto come un cappotto linguistico formale insopportabilmente stretto… salvo eccezioni. La necessità di contestualizzare le letture, infine, m’ha avvicinato alla storiografia. Scusa se mi sono dilungato a parlarti di me, era solo per farti capire. Ovviamente pure io posso aspirare al massimo a un traballante predellino (ma da qualche tempo in qua c’è chi ci ha costruito intere fortune politiche ed economiche, sui predellini!!!), le persone di cultura sono ben altre rispetto a me! Mi riconosco solo di riuscire a comprendere un buon 80% di quel che leggo, e non è poco!!
    Quanto al nostro “Pessoa-Ferrante de noaltri”, direi che bastano poche righe per stroncarlo: i suoi ragionamenti non mi sembrano (finora) sufficientemente supportati da dati poco controvertibili, anzi… forse non si accorge che nella foga “partigiana” dei suoi interventi-contro-a-prescindere sfiora spesso il ridicolo. Lui (o lei?) con le donne, k. con gay-bisex e transgender: le loro ossessioni. Il tragico è che persone così piene di fobìe in questo Paese riescono ad avere un sacco di potere: hai sentito dell’esclusione dei singles dall’affidamento, per esempio (non ho capito se anche dall’adozione)? Ormai siamo in pieno Medioevo futuribile, una roba distopica un bel po’!…

  14. Sarà. Leggevo del tale in Inghilterra, gay e single, che per l’utero in affitto in cui far nascere il figlio, inseminato artificialmente, ha voluto quello di sua madre.
    http://www.telegraph.co.uk/news/11456654/How-a-father-became-the-brother-of-his-own-son.html
    Personalmente sono cose che risvegliano il conservatore che è in me.
    Immagino che dovremo vedere la cosa come una, ehm, ‘opportunità’. Del resto, la libertà di chi ha soldi di disporne come meglio crede è l’unica libertà che conta e va difesa contro tutto e tutti, no?

  15. Caro Sascha, personalmente sono contrario alla gravidanza surrogata a prescindere dal tipo di coppia che vi ricorre per ragioni di tipo psicologico: temo che il partner “tagliato fuori” senta meno il figlio, e viceversa l’altro lo ritenga “suo”. Personalmente sono per l’adozione, che è un atto richiedente un atteggiamento psicologico di accoglimento più paritario. Senza contare poi eventuali problemi di identità del figlio/a, che sarebbero più difficilmente affrontabili nel caso della maternità surrogata invece che in quello dell’adozione.
    Detto questo, però, MAI mi sognerei di proibirlo per legge, sia perché vi sono voci autorevolmente contrarie al mio parere e sia, soprattutto, perché sono decisioni che -come direbbe l’avvocato Amato e chi lo segue quando fa comodo loro- attengono alla sfera privata e quindi alla libertà di ciascuna, di ciascuno e della famiglia di riferimento. Però sappiamo bene che quando c’è di mezzo la religione ci sono sempre due pesi e due misure, no? E poi il recente divieto di adozione ai single affidatari ci dice che siamo definitivamente prigionieri dei talebani nostrani, quindi il problema non si pone neppure! Stiamo pure sereni…

  16. P.S.: Ti faccio notare che laddove ci sono divieti o silenzi giuridici solo chi ha i soldi fa comunque come gli pare; compito del diritto dovrebbe essere quello di dare a tutt* la possibilità di agire o di difendersi e non di lasciarlo a pochi “forti” privilegiati. Dovrebbe, appunto.

  17. Quindi l’obbiettivo è quello di permettere a tutti, anche a chi ricco non è ma al massimo benestante, di agire come vuole senza doversi preoccupare delle conseguenze, perchè doversi preoccupare delle conseguenze è un limite alla nostra libertà, cioè un valore non negoziabile.
    Sarà, ma su questo io la penso come Houllebecq.

  18. No, Sascha: penso che alle conseguenze debba anzitutto pensare chi prende certe decisioni. Si chiama responsabilità. Il caso che tu citi, però, mi sembra che abbia a che fare con l’incesto, cosa che nella totalità delle gravidanze surrogate NON accade. Se un limite alla libertà di procreazione deve esserci, è quello che ci sia un danno sicuro e oggettivo al bambino e alla società, cosa che nel caso di incesto ha altissime probabilità di accadere: va bene dunque vietare l’incesto, non vedo perché invece debbano essere vietate le gravidanze surrogate portate avanti da donne geneticamente estranee al donatore di sperma (anche se io non vi ricorrerei mai per i motivi che ti ho scritto).
    Quanto a Houellebecq, mi pare che il protagonista del suo ultimo romanzo pensi a una sola conseguenza: trarre il miglior profitto col minor sforzo dal mutare delle situazioni e degli eventi… l’esatto contrario dell’assumersi responsabilità. Infatti è un campione della mediocrità che si adegua e l’autore francese si diverte a ironizzarci (pesantemente e amaramente) sopra.

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