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E’ il 9 gennaio 1979, le 10.20 del mattino. A Radio Città Futura ci sono cinque donne: Anna Attura, 38 anni, Rosetta Padula,35 anni, Carmela Incafù, 58 anni, Gabriella Pignone, 47 anni, Annunziata Miolli, 55 anni. Gestiscono uno spazio che si chiama  Le donne escono dalle cucine. Facevano parte del Collettivo delle casalinghe, che si formò ascoltando Radio Donna, all’interno di Radio Città Futura.
Tre uomini col passamontagna fanno irruzione nella sede della radio. Lanciano bombe incendiarie. Sparano raffiche di mitra contro le donne.
I tre fascisti dei Nar erano Valerio Fioravanti, Alessandro Pucci, Dario Pedretti. Lo scrivo perché i nomi bisogna pur ricordarli.
Pubblico questa storia perché ieri, scrivendo l’articolo (oggi su La Stampa) su Covando un mondo nuovo di Paola Agosti e Benedetta Tobagi, ho riflettuto a lungo sulle parole di Benedetta, e sui miei ricordi:

“Questa – racconta Tobagi, – è una delle cose che mi ha colpito di più dei femminismi di allora: la costante preoccupazione di raggiungere tutte le donne, anche se diverse per area geografica, classe sociale e cultura. Raggiungerle e portare loro il Self Help o i consultori, o appunto aprire i microfoni delle radio. Dov’è finito quel patrimonio? Allora si cercava di avvicinare le donne che non avevano gli strumenti. A un certo punto si è smesso di farlo, e le casalinghe guardavano e guardano le televisioni di Berlusconi. “

La lettura dei giornali di stamattina mi ha fatto soffermare su questo articolo di Dionne Searcey per il New York Times. Dove si prova a rispondere alla domanda che tutte e tutti ci siamo fatti: perché le donne hanno votato Trump? Non tutte, ovviamente, ma neanche poche. I sondaggi all’uscita dalle urne mostrano che il 45 % delle elettrici ha votato per  Trump, e molte più donne bianche hanno votato per Trump rispetto alle donne nere.
E veniamo alle votanti. E soprattutto a chi le incitate al voto.
Intanto, il gruppo di Moms for Liberty, organizzazione che fa di ProVita&Famiglia un covo di anarco-insurrezionalisti, al confronto (si scherza, buoni): nascono per contrastare la sessualità, i diritti LGBTI, ovviamente il fantomatico gender e quant’altro. Le mamme per la libertà sono associate ai Proud Boys, organizzazione neofascista di estremissima destra. Ma il loro mantra è “proteggiamo i bambini”. Funziona. Al New York Times, la cofondatrice Tiffany Justice dice che l’elezione di Trump rappresenta “la liberazione delle donne dai giorni bui del cosiddetto femminismo”.
Pensavamo che fosse cosa di ieri, e che Schlafly fosse ormai un nome da museo, o da bar delle Zie in Testamenti di Margaret Atwood. Invece no. 
Quello che è accaduto, dice Searcey, è che la popolarità del femminismo, e il femminismo pop del film Barbie, di Beyoncé e di Taylor Swift non si sono tradotti in cultura politica. E questo è un gigantesco problema.
E soprattutto, “molti storici dei movimenti per l’uguaglianza delle donne nel corso dei decenni affermano che i risultati ottenuti spesso non hanno beneficiato tutte le donne; piuttosto, hanno aiutato le donne privilegiate ad assicurarsi maggiori opportunità nella società. La lotta per l’uguaglianza legale ha permesso alle donne con i mezzi necessari di pagarsi l’università e trovare lavori con buoni stipendi, per esempio. Questo è uno dei motivi per cui le donne non sono state unite”.

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