LUKE, I'M YOUR FATHER

C’è un libro che mi hanno consigliato e che voglio procurarmi. E credo che, anche alla luce della discussione al post di ieri, sia importante leggerlo. Si chiama Il gesto di Ettore, e lo ha scritto lo psicanalista Luigi Zoja per Bollati Boringhieri.
Una recensione in rete di Elena Petrassi comincia con tre immagini. Ve le riporto, perchè in effetti colpiscono. Molto.
Sono almeno tre le scene significative che mi accompagnano da quando ha chiuso il libro di Luigi Zoja: una banda di cacciatori neolitici, carichi delle prede catturate che tornano verso il loro insediamento; Ettore vestito di elmo e corazza che, per non spaventare il figlio Astianatte, leva l’Elmo, si china a prendere in braccio il bambino ed elevandolo verso il cielo, rivolge agli dei la preghiera: “Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica “E’ molto più forte del padre”.; e infine l’immagine sconsolata e sconsolante di un padre silenzioso e distratto immerso nelle immagini propinate dalla televisione e dimentico della moglie e dei figli, che una delle pazienti di Zoja lapidariamente definirà come “un cretino”.

12 pensieri su “LUKE, I'M YOUR FATHER

  1. Dovrei leggere il libro ma la recensione da delle indicazioni.
    Molte delle cose di cui parla Zoja, sono state dette da tanto tempo: Cominciò L’Istituto per la Ricerca Sociale, di Horkheimer e compagni – ma forse il testo che meglio ne riporta – che sto studiando ora – è la “funzione materna” di Nancy Chodorow che ha una ventina d’anni e che nel mettere in relazione contestualizzazione antropologica e insegnamenti psicoanalitici dice davvero delle cose interessanti.
    Vorrei dire delle cose, su cui sto ragionando in questo periodo, e che riguardano questi temi.
    – Non si va culturalmente molto avanti se si continua a reificare il femminile come oggetto di organizzazione culturale, come vittima della divisione sociale, e non come soggetto che contribuisce in modo altrettanto saliente alle costruzioni di senso. No la violenza e la maggiore forza fisica e l’impegno della cura della prole non bastano a giustificare la subordinazione di milllenni. Fintanto che si ragiona in questi termini avremo sempre troppe battaglie perse davanti al naso.
    Le favole ai bambini le hanno raccontate le madri.
    – Bisogna stare molto attenti a questo cortocircuito che dal senso comune filtra – ogni tanto in maniera singolarmente acritica – nella psicoanalisi, per cui le mutazioni socioculturali determinerebbero delle mutazioni nella struttura della personalità. E’ una cosa questa che piace molto ai vecchi orsi della psicologia, quando si annoiano di stare nel contesto clinico e vogliono spaziare culturalmente. Ma è pericoloso e se non attentamente circostaziato fuorviante. Il rischio è che tra Zoja sopra e Fini sotto corrano poche differenze: perchè parrebbe che siccome: a. c’è stata la guerra prima, b. la lavatrice dopo c. la minigonna alla fine ecco qui che nasce la virago e all’omo ni ci cascano subitaneamente i coglioni! Donne forti e uomini fragili ci sono sempre stati, i caratteri non si inventano con rapidità.
    – Senza dubbio esiste una crisi del maschile in Italia per quasi mediaticamente riproposta e reinventata. Mi stupisce che Zoja non riesca a scorgere delle soluzioni, perchè invece a me pare che possano delinearsi all’orizzonte molto chiaramente. Si può ragionare in molte direzioni – ragionando sulla divisione del lavoro e dei compiti, sotto un profilo sociologico, e ragionando sul concetto di cura parentale sotto un profilo psicologico. A questo scopo vorrei riportare una interessante osservazione che fa Chodorow – cresciuta nella scuola delle relazioni oggettuali – e che fa notare come spesso in psicoanalisi si compiano questi passaggi:
    1. Per il bambino le cure sono fondamentali e devono essere calibrate con competenza. Pena una serie di problemi nella strutturazione psichica della sua vita da adulto.
    2. Le madri hanno queste competenze. Esse in gere attualizzano la loro esperienza interiorizzata da piccole quando erano oggetto di accudimento da parte delle loro madri.
    Al che fa notare Chodorow
    3. ma allora anche i padri hanno una memoria psichica di accudimento e possono ritrovare delle competenze nell’accudimento. Anche i padri hanno una esperienza da riattivare. Diversa ma c’è.
    Io credo che questo terzo punto, sia importante. Non vuol dire che scavalchi delle differenze sessuali, nè che ignori le differenze culturali dei diversi contesti storici. Non vuol dire che maschi e femmine siano uguali nel loro modo di essere al mondo. Ma vuol dire che questo paterno nuovo, che deve mettersi davanti a una situazione storica che sta mutando, ha enza dubbio qualcosa da cui attingere.

  2. @ Zauberei:
    “Bisogna stare molto attenti a questo cortocircuito che dal senso comune filtra – ogni tanto in maniera singolarmente acritica – nella psicoanalisi, per cui le mutazioni socioculturali determinerebbero delle mutazioni nella struttura della personalità. […] Donne forti e uomini fragili ci sono sempre stati, i caratteri non si inventano con rapidità”
    Ti invito davvero a leggere il libro di Zoja, perché – fortunatamente – non rientra nella casistica che hai segnalato. L’arco cronologico che abbraccia è molto ampio. Di crisi del modello paterno Zoja parla in generale per la modernità (capitolo bellissimo, tra l’altro, quello sulle dittature del Novecento).
    Sono felicissima che il libro venga segnalato, perché lo sto leggendo (e meditando) proprio in questi giorni.
    Grazie Loredana!

  3. @zauberei
    Se fosse certo il punto 2 – nel senso indicato di come una madre acquisisce questa competenza, probabilmente ne scaturirebbe come conseguenza che anche i padri hanno una memoria psichica di accudimento (anche se poi bisognerebbe mostrarne una storia culturale per dire che c’è, ma non è su questo punto già debole che vorrei soffermarmi).
    Io invece penso che ci siano molte prove che la competenza materna sia acquisita durante l’alleanza psicoacustica del feto con la madre prima e successivamente continuata con la nascita. Si crea così una diade sonora che ha un ruolo decisivo nello sviluppo della struttura della personalità.
    La debolezza del modello delle relazione oggettuali è dato dal fatto che dà per scontato il prevalere del modello ottico sul modello acustico, da cui ne consegue un mondo di interpretazioni completamente differenti.
    E’ certo che questo modello ottico ha una storia culturale ed è onnipresente e acquisito nella persuasione culturale.
    Naturalmente questo non esclude di rivedere il ruolo maschile che deve risolvere i suoi conflitti con il mondo dei padri

  4. – Anna lo leggerò senz’altro!
    – Luminamenti, sono perfettamente d’accordo sull’importanza del contatto sonoro in gravidanza, e non solo del sonoro, ma della anteriorità della gravidanza, e del rapporto della madre con il figlio – non si discute questo. Per me per altro ci sono altre cose, che rendono peculiare il rapporto della madre con il figlio – ma sono questioni molto tecniche e in questo post non si parla di madri. Si parla di riconfigurazione della figura paterna.
    – Non è esatto dire comunque nè che ciò che propone la scuola delle relazioni oggettuali è limitato al contatto visivo, nè che ciò che propone la scuola delle relazioni oggettuali sia debole e non verificato. Per quello che concerne il primo punto, da Winnicott in poi si è ragionato sulle tantissime vie semantiche con cui la madre acudisce il figlio e crea in se uno spazio di accudimento, il quale passa anche per il tatto, importantissimo!, per la turnazione nei giochi, per i momenti di di risposta emotiva, per il suo pensare l’altro. Per le voci e le mille altre cose che fanno una relaizone di una madre con un figlio, compresi i sogni. Questa non è comunque la sede per cercare di sintetizzare le complesse e polivalenti teorizzazioni di una scuola di ricerca, oramai per altro storicizzata e che ho citato più che altro per contestualizzare il pensiero di Chodorow. Tuttavia nella psicologia dinamica contemporanea, la scuola delle relazioni oggettuali ha lasciato tracce durature, utilizzate moltissimo anche in contesti operativi di tutt’altro orientamento, e questo perchè oggetto di interessanti ricerche standardizzate, mi riferisco soprattutto agli studi dell’Infant Research ai lavori di Beebe, Lachman e sopra a tutti Daniel Stern – che da vent’anni a questa parte registrano analizzano seguono coppie di caregiver con i loro bambini e testano quali dei cotrutti tradizionalmente pensati e portati avanti in psicoanalisi, riesce a uscire dalla narrazione e ritornare nella realtà dei mabini veri con i loro veri genitori.
    E sono uscite fuori delle cose importanti e curiose. In questa direzione sono importantissimi anche gli studi sull’attaccamento importante derivato delle relazioni oggettuali.
    Quindi ritornando al padre: si può tranquillamente ragionare su due piani e trovo giusto chiamare in causa il confronto dei figli con i padri, scegliendo le narrazioni che si preferiscono. E’ sano e necessario. Ma credo che sul piano della ricerca clinica, e dello studio delle relazioni umane, il piano strettamente psicologico evolutivo, credo insomma sia giusto cominciare a fare ricerca – come in effetti già si sta facendo – sul tesoro nascosto e solo parzialmente esplorato della relazionalità maschile, della sua esperienza pregressa, della riattivazione della sua memoria di figlio, della sua sentimentalità possibile. E delle sue capacità e stili genitoriali.

  5. Sì, concordo con tutto quello che hai scritto. A proposito della esplorazione della relazionalità maschile anche la riattivazione dell’esperienza sonora fetale è molto utile in questo senso. Ho visto risultati che avrei ritenuto impensabili, risultati che non riesco a ritrovare con altri tipi di interventi, questa è la ragione delle mie osservazioni. Concordo con Tomatis che l’esperienza fetale è veramente primordiale e forse decisiva. Questo mi fa ripensare anche però al tema dell’aborto

  6. “credo insomma sia giusto cominciare a fare ricerca – come in effetti già si sta facendo – sul tesoro nascosto e solo parzialmente esplorato della relazionalità maschile, della sua esperienza pregressa, della riattivazione della sua memoria di figlio, della sua sentimentalità possibile. E delle sue capacità e stili genitoriali”.
    Sì, è certo molto giusto. Solo che il discorso, perlomeno nel suo banalizzarsi in senso comune, si potrebbe andare a sistemare su questo piano: le donne hanno già fatto il loro percorso, dal lato femminile tutto ok, ora tocca agli uomini. Sistemata una metà del cielo, ora passiamo all’altra metà e il mondo avrà raggiunto la sua armonia.
    Da come la vedo io, la crisi e la ridefinizione del maschile non può che mettere in discussione anche la definizione del femminile, con eventuali crisi e, ipotizzo, resistenze da entrambe le parti.
    E dal punto di vista della assunzione della paternità da parte degli uomini, anzi della loro rivendicazione di paternità, mi sembra che possano emergere modelli antagonistici.
    Penso, per semplificare il discorso, a due romanzi piuttosto recenti: ‘lunar park’ di Ellis e ‘la strada’ di kormak mckarthy.
    Ellis fa esplodere in mille pezzi se stesso alla ricerca di una paternità perduta, sia come padre che come figlio (ovviamente, banalizzo parecchio), McCarthy fa a pezzi la donna, la immola alla sua irredimibile naturalità e la elimina. Quella madre, senza nemmeno forzare troppo, è la stessa donna che ci descrive Fini: orgiastica e folle, incapace di qualsiasi progettualità, tanto meno di far fronte ad una crisi epocale. E’ un intralcio per la sopravvivenza dei due uomini, padre e figlio, quest’ultimo quasi ermafodito, in quanto portatore della razionalità maschile e della sensibilità (amore, ‘care’) femminile. Una ricomposizione dei due principi, un modello nuovo di umanità per un mondo nuovo? Potrebbe essere, in fondo anche il Padre, dopo aver fatto le consegne al figlio, muore e sparisce di scena.
    Non so se, rispetto alla nuova paternità, si può parlare di mitopoiesi per questi due romanzi, però a me sembrano molto significativi.

  7. – Non lo so Valeria perchè non ho letto nessuno dei due – e Ellis mi provoca l’orticaria – ma la tua mi sembra una lettura molto. Non mi spaventa partiolarmente perchè di questa collettiva difficoltà alla redifinizione dei ruoli ne abbiamo continui sentori, in specie in Italia dove si è permeabili alle suggestioni culturali che provengono da paesi con storia ed economia più evoluti, e noi che stiamo ancora in un assetto un tantino medioevale ogni tanto soffriamo di schizofrenia. Certo è che alla fine direi piuttosto che le donne abbiano iniziato, ma non è che siano approdate alla soluzione e le crisi sono sempre socialmente e psichicamente costose.
    Ma sinceramente, sono costi che siamo in grado di tollerare, Ellis e McCarthey possono essere considerati la semantica di un sintomo – per altro semantica che prima di rispondere a una percezione sociale, risponde a una organizzazione individuale, sempre di più voglio dire. Cioè prima di essere mitopoietici in ultima analisi forse so n’anticchia nevrotici, almeno da qualche parte eh:) – ma io già trovo altri autori, penso a Yehoshua a Oz, ma anche a Houellebeque per dire, che invece mi danno delle rappresentazioni positive sulla relazione maschile femminile, che risentono di un diverso assetto.
    Cioè credo ecco che sulla vasta scala ci siano oltre che magagne e controreazioni, molte risorse e cose positive. Anche nella mia esperienza quotidiana, io vedo che molti uomini sono cambiati.
    Però ecco, il mio intervento di sopra non voleva – deliberatamente non voleva, mettersi su questo livello, perchè non riguardava il senso comune ma quelle che sono le tradizionali traiettorie di ricerca nella psicologia evolutiva.

  8. Ciao Zauberei, sì, certo, il tuo intervento disegnava delle traiettorie di ricerca, io invece volevo segnalare dei sintomi.
    Riguardo ad Ellis ci sono abituata al fatto che dia l’orticaria, ma al di là di questo io trovo la sua scrittura molto potente. E’ vero quello che dici, cioè che altri scrittori, risentendo di un assetto diverso, danno una rappresentazione più positiva e meno sismica sulla relazione maschile femminile.
    Come lettrice, solo come lettrice, però preferisco quel tipo di scrittura nevrotica che solleva la crosta della realtà e che mostra il magma sottostante. In questo senso penso che possa essere rivelatrice e mitopoietica, anche se al momento sembra non rispondere a una percezione socialmente diffusa, ma è solo una mia impressione.
    Anche io vedo intorno a me uomini cambiati o che comunque mostrano una insoddisfazione profonda nei confronti del ruolo maschile così come se lo sono trovati bello e pronto. Anche questo è un sintomo rilevato nel micro.
    Poi che a livello macro ci sia un calderone ribollente di tutto e del contrario di tutto è un’altra questione. Però sono sempre più convinta che sia necessario prendere diligentemente nota dei sintomi, anche minimi, di cambiamento.

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