LUOGHI COMUNI

Uno
"La stragrande maggioranza degli editori continua a ritenere [il
download dei libri] una bizzarria. Capita addirittura che editori,
parlando di noi, liquidino sbrigativamente il copyleft definendolo
‘marketing’ o ‘una furbata’. Ma certo che è anche
marketing, che discorsi. Noi con le royalties ci campiamo. La
contraddizione, infatti, non è questa, bensì il fatto che un editore,
il quale in teoria sarebbe un imprenditore, di fronte a un esempio di
marketing che non soltanto ha successo ma crea comunità, lo disprezzi
con toni ‘puristici’ (!) anziché prendere esempio. Quanto all’essere
furbi: ma perché, è meglio essere stupidi? Boh."

Così Wu Ming nell’ultimo numero di Giap!, a proposito di copyleft e della nascita di Vibrisselibri.

Due
Il ministro Melandri spiega (qui, per esempio) i punti cardine del codice anti-anoressia.
Simone De Beauvoir, dall’ al di là dei filosofi, pazientemente le ricorda che l’anoressia è il rifiuto di un destino femminile passivo e non la capricciosa adesione ad un modello estetico contemporaneo (come la metteremmo, altrimenti, con le anoressiche dei secoli scorsi, che ignoravano l’esistenza di Dolce&Gabbana?). Le lettrici di SdB, dal canto loro, si chiedono con meno pazienza fino a quando si continueranno a confondere le cause e gli effetti (in altri termini, se la battaglia anti-taglie non si lega ad un’analisi complessiva sulla cultura del femminile, e sulle pesantissime problematiche in cui oggi affonda, non se ne esce).
Rassegna blog per eventuali volenterosi consulenti del ministro (e per tutti, ovvio):
Babsi, Giulia, Belljar, Mafe. Aggiornabile.

66 pensieri su “LUOGHI COMUNI

  1. Non capisco una cosa: perché un tizio su un giornale si prende la briga di scrivere un’anticipazione su un libro la cui uscita non è certo imminente?
    No invece, lo capisco benissimo: questo è il marketing, altro che il libro scaricabile… Il libro scaricabile è ancora un gesto d’amore per la letteratura. E’ l’invasione degli spazi di recensione per creare il caso editoriale il vero cazzutissimo marketing di questo millennio.

  2. Angeli’, senti me. Tempo fa dicevo: che peccato che non sia italiana…
    Risposta: no no, per fortuna, così vende il triplo…
    Lo capisci Angeli’?, non hai la provenienza giusta: cambiati nome. Chiamati esotico, fai Light @ngel, di’ che sei cubano, che prima facevi installazioni post pop contemporanee, di’ che hai trafficato armi per Fidel ma erano giocattoli e il Leader massimo ti sta braccando, di’ che discendi da un santone di Bahia che trasformava i sassi in cacao, di’ altre cose così e vedrai che non ti fanno più le segnalazioni ancillari. Impara a stare al mondo, fatti furbo Angeli’!

  3. Ah, ho capito. Devo prendere esempio da te. Titonco, mio duce (nel senso virgiliano). Titonco, tu sei la luce. Fin da piccino, spargevi ai quattro venti istruzioni sull’uso della vita (e dell’editoria).
    Poi Perec ti copiò, ma non ne avesti a male, oh uomo spiritoso come pochi!

  4. Il riferimento, mi sembra, è a uno stralcio di articolo de L’Espresso riportato sulla nostra newsletter.
    Fermo restando che è la nostra newsletter e quindi il focus è sulle nostre attività e ci mancherebbe altro, e fermo restando che viene mandata solo a chi si iscrive, quindi se uno non la vuole leggere basta che non si iscriva e che non vada a cercarsela sul sito, così non si ingastrisce…
    …la questione è in realtà semplice e non servono teorie del complotto da “Essi vivono” sul fatto che i Wu Ming infettano i gangli vitali della nazione e su quante vittime mieta ogni giorno il Moloch del Maligno Marketing.
    Una minima cognizione di come lavora un editore, grande o minuscolo che sia, è sufficiente come antidoto per questi blandi veleni.
    A ogni inizio di stagione una casa editrice (qualunque casa editrice) prepara e diffonde un piccolo albo, una brochure in cui presenta i titoli che usciranno nei mesi a venire. C’è il titolo, c’è la copertina (talora provvisoria) e c’è una breve descrizione. Questo materiale va in mano ai librai grandi e piccoli (così decidono cosa e quanto prenotare), ai critici e recensori e in genere agli addetti ai lavori. Noi WM, per dire, riceviamo quel genere di opuscoli da diversi editori, pur non essendo librai né giornalisti.
    Si dà il caso che la brochure che include anche Manituana sia in circolazione da qualche settimana. Dentice dell’Espresso stava scrivendo un articolo sul ritorno di interesse per l’immaginario western, indiano o comunque della frontiera americana (perché di quello parla l’articolo). Di straforo e in extremis (le righe su Manituana chiudono l’articolo) ha infilato anche il nostro libro, benché si svolga nel Settecento tra Londra e l’East Coast.
    Noi abbiamo ripreso su Giap quelle righe per rispondere in un sol colpo a quelli che ci scrivono chiedendo: “Ma, senza rovinarmi la sorpresa, non potreste dirmi di cosa parla il nuovo romanzo, a grandi linee?”. Ecco, a grandi linee, ha risposto Dentice.
    [Fermo permanendo che Giap lo scriviamo rivolgendoci ai nostri lettori, non è un organo di informazione generalista, e che se parliamo di noi è perché parlare di noi è il senso (esplicitamente dichiarato) della newsletter.]

  5. Non c’entra niente, ma la notizia della morte di Bad Trip su Giap mi ha colto di sorpresa.
    Dopo Ciani, Bad Trip. Il tutto nell’anno del ventennale della morte di Tamburini. Uhm…

  6. A proposito di copyleft: dopo la mia partecipazione alla trasmissione Geo di Rai tre in cui ho detto che il mio romanzo “Il film delle emozioni” era scaricabile gratuitamente da internet, il sito del libro è stato preso d’assalto e quasi mille persone hanno scaricato il libro. naturalmente sono contento di quanto è avvenuto, ma allo stesso tempo mi chiedo: avrà conseguenze sulla diffusione del libro e sulle vendite in libreria, o rimarrà dimenticato nell’hard disk di molti dei telespettatori? qualcuno è in grado di rispondere a questa non semplice domanda? Grazie.
    Raffaele Calabretta
    P.S.: ho assistito alla presentazine di vibrisse libri al caffè fandango e sono rimasto ammirato dal coraggio e dell’entusiamso che ho visto nei promotori. Complimenti e auguri!

  7. Raffaele, ovviamente il copy-left non assicura da solo un aumento di vendite. Bisogna che il libro non sia una schifezza.
    Ringrazio a nome di Vibrisselibri (siamo più di 50) per i complimenti.
    Il coraggio viene da sé, quando non si hanno da perdere che le catene (delle rispettive biciclette):- )

  8. Perdoni la padrona di casa l’OT, ma il nesso con la nascita e la diffusione delle pratiche di copyleft c’è (se ci si riflette sopra): su http://www.carmillaonline.com,
    l’intervista integrale (da “Carta”) a Placanica, che ammette di NON aver sparato a Carlo Giuliani. Con la magra consolazione di sapere che tutti quelli che, a partire da Lello Voce e dalla sua inchiesta, lo dicevano dal 2001 non erano dei visionari.
    Stralci dell’intervista anche sul sito di Repubblica, e immagino anche altrove.

  9. Scrive WuMing1
    “Una minima cognizione di come lavora un editore, grande o minuscolo che sia, è sufficiente come antidoto per questi blandi veleni.”
    Aggiungo il mio contributo per la cognizione in questione.
    Poco tempo fa parlavo con un editor di gigantesca casa editrice. L’editor mi spiega come lavora un editore gigantesco. Dati di vendita dati di vendita e dati di vendita. Ma non finisce qui, l’editore gigantesco vuole anche capacità di autopromuversi capacità di autopromuoversi e ancora ancora ancora capacità di autopromuoversi.
    Così si sta al mondo: un libro all’anno più o meno per far parlare di te, anche se fa schifo e andrebbe tagliamo per metà. Martellare, vendere, capacità di autopromuoversi. Allora l’editore gigantesco crederà nella tua scrittura, cioè spenderà due soldi per promuoverti. Altrimenti sei la vacca nera nella notte nera.
    Vendere, vendere, vendere. Gli editor più scafati fanno carriera, venditori che allevano venditori.
    Questo è il funzionamento di una gigantesca casa editrice, che può comprendere piccole nicchie di civiltà col potere e la stabilità di un pinguino che ha perso il branco.
    Dentro questo contesto – che non è “complotto”, è semplicemente la crudissima realtà e non capisco sinceramente perché si continui a tirar fuori questa parola, forse per contare la favola dei complottisti mettendosi dalla parte dei buoni… – dentro questo contesto vanno inquadrati gli stratagemmi per emergere e vendere.
    Qualcuno dirà: ma che differenza c’è per esempio col ramo assicurativo?
    Nessuna.

  10. Uff… Ti ho già spiegato che non c’è stato nessuno stratagemma, solo ordinaria prassi, non certo esclusiva degli editori “giganteschi” bensì vecchia come l’editoria e tipica degli editori tutti: l’anticipazione dei titoli pubblicandi nel semestre successivo. Chiunque chi Se poi le tue gole moderatamente profonde queste cose non te le spiegano, non è colpa mia.
    “Un libro all’anno” non è una formula che possa descrivere il nostro lavoro. “Manituana” lo abbiamo iniziato nel 2003 e lo stiamo finendo in questi giorni. Dall’ultimo nostro romanzo collettivo sono passati cinque anni. Nel 2005 non abbiamo mandato in libreria titoli nuovi.
    Noi non “martelliamo” nessuno, non andiamo in tv, molto di rado finiamo sulle pagine culturali dei giornali, e i nostri ultimi romanzi hanno avuto pochissime recensioni nei posti che – presuntamente – “contano”. Semplicemente, coi nostri mezzi (la rete e le assemblee pubbliche), manteniamo un dialogo costante coi nostri lettori, cosa a cui ci dedichiamo tutti i giorni e che sta sulle palle a chi questo dialogo non è in grado di instaurarlo e tenerlo vivo, e allora ci sputa sopra dicendo che non esiste comunità etc., in modo da potersi almeno ricavare la nicchia di mercato dell’apocalittico, figura sempre richiesta dall’industria culturale che ha bisogno di mettere in mostra una falsa “coscienza critica”.
    Il rapporto coi nostri lettori è pungolato ogni tre settimane dall’invio della nostra newsletter, spedita soltanto a chi si iscrive. A te la scelta se iscriverti o no. Nessun martellamento, nessuna intromissione nei cazzi tuoi. Eppure, non si può dire che tale rispetto sia reciproco…

  11. WuMing1, cerchiamo di capirci. Loredana posta una tua cosa in cui puntualizzi che la parte marketing nei libri scaricabili è la meno. Io intervengo per dire che rendere scaricabili i libri è tutto sommato un gesto d’amore per la letteratura.
    Detta questa cosa cerco di far capire che 1. il marketing cazzuto è ben altro, e spiego come funziona: stare sul pezzo, autopromozione, aggressività, logica da venditore; 2. che anche i WuMing sanno muoversi nel marketing cazzuto.
    E’ un discorso strano quello che faccio? non mi pare dato che sei tu a dire che il mercato non va demonizzato e che quindi bisogna giocare secondo le sue dure regole.
    Che poi WuMing accetti di giocare facendo meno interventi fallosi di altri sono d’accordo. Un po’ meno falli. Vi date da fare con l’autopromozione. Siete sempre piuttosto aggressivi. Vi organizzate per avere ogni anno un titolo nuovo in libreria, collettivo o solista che sia.
    Però cerchiamo anche di guardare in faccia la realtà, il mercato editoriale funziona esattamente come ho detto sopra.
    Allora, posto che esistono autori di talento che sono abili venditori della propria immagine e autori di talento che non hanno questa “dote”, come si può fare per rimettere un po’ in sesto le cose?
    Bisogna avere fiducia che esista un modo diverso dal marketing cazzuto (= da venditore senza scrupoli) che impera oggi. Altrimenti si cade nella lamentazione. Oggi alcune risposte ci sono. Due riviste nuove in libreria; le iniziative di Vibrisse; nel campo poi del fumetto Coconino va in edicola e presta titoli a Rizzoli. Sono segnali buoni, sembra che almeno in certi punti stia cambiando l’aria.

  12. Tu scrivi che noi siamo bravi nel “marketing cazzuto”.
    Poche righe sotto, scrivi che “marketing cazzuto” significa “marketing da venditore senza scrupoli”.
    Ergo la tua opinione è che noi siamo venditori senza scrupoli.
    Dal momento che invece gli “scrupoli” sono il fulcro del nostro agire (“scrupoli” = rispetto per il lettore; duro lavoro su ogni dettaglio per non “tirare via” mai niente; perenne disponibilità all’ascolto e al dialogo; tutela dell’accesso il più allargato possibile alle nostre opere; attenzione al tipo di carta usato per i nostri libri; rifiuto delle royalties da eventuali prestiti bibliotecari a pagamento; collaborazione con piccole realtà; zero riluttanza a prendere posizioni anche impopolari e che ci costano lettori, come la solidarietà a Cesare Battisti, e l’elenco sarebbe ancora lungo etc.) , ritengo che tu abbia scritto una falsità.
    Poiché intorno a questa falsità hai costruito tutto il resto, l’intera tua argomentazione, almeno ai miei occhi, perde ogni valore, fondatezza e credibilità.

  13. Premesso che:
    – auguro di tutto cuore (semmai ne avessi uno) a vibrisselibri di riuscire a raggiungere almeno la metà dei risultati ottenuti da iQuindici (e con l’aria che tira sarebbe molto)
    – essendo un autore copyleft, non posso che ripescare dal cassettone della memoria il vecchio “che 100 fiori sboccino”, spolverarlo e mormorarlo sommessamente
    e dunque, di nuovo: auguri, ecc. ecc. (lasciando in pace balene e lupi, per carità!)
    mi rimane oscuro il perché l’operazione copyleft-i15 sia stata lungamente bollata di marketting (quando ancora la parola non c’era, i markettingari però si), guardata con sufficienza, tacciata di lobbysmo, accusata di accettare le logiche di mercato perché faceva pubblicare i libri, ecc. ecc.
    ed ora non si sente non dico il bisogno, ma almeno la cortesia di ringraziare chi ha avuto la capacità di dimostrare che la strada sulla quale nuovi viandanti si avviano è percorribile (anzi: l’ha addirittura tracciata)
    (la risposta ce l’ho, ma me la tengo per me)

  14. I diretti interessati, cioè Vibrisselibri, lo hanno fatto, anzi, sono stati dei signori, Mozzi in primis.
    Quanto a certi astanti, beh, che t’aspettavi? Io niente.
    E comunque le cose non si fanno per avere il riconoscimento di gente che non stimi, ma perché è importante farle, e per trovarsi accanto a gente che stimi.

  15. Prima di tutto le cose serie.
    “La cosa coconino-rizzoli me la spieghi, o mi passi un link?”
    Te la spiego. E’ successa una cosa straordinaria: Coconino Press collabora con Repubblica per portare in edicola dieci volumi di graphic novel. Per lo più titoli di autori contemporanei di altissima qualità mai sentiti dal grande pubblico. Stampa curata da Coconino con standard ottimo (ovviamente rispetto al prezzo contenuto), carta avoriata, grande formato e reimpaginazione – quando è stato necessario reimpaginare – a opera dello stesso autore.
    Potrai leggere Gipi e Baru e Igort ecc ecc
    Poi Rizzoli. Si sa le grosse case editrici trattano i piccoli come portatori d’acqua: la logica della razzia per fare profitto. Oggi rizzoli scopre l’esistenza di grandi narratori a fumetti – che lenze, eh! – o meglio scopre la possibilità di far soldi con poeti veri, poeti che narrano con parole e immagini. Coconino accetta la sfida e presta alcuni titoli a Rizzoli collana 24/7, e fa bene perché allargheranno il loro pubblico con prodotti che non calano le braghe a nessuno, e per farlo non dovranno nemmeno divulgare newsletter dal tono pateticamente retorico e aggressivo.
    E poi… be’ qui mi fermo, ma tanto bolle in pentola. Per i link basta che cerchi sul blog di georgiamada linkato anche qui, o che metti “graphic novel+ repubblica” su google.
    Ora due parole per chi ha voglia di perdere tempo.
    Girolamo pensa che i suoi amici abbiano inventato il copyleft: mitico!
    Ma ancora più mitico WuMing1 che indossa la veste del logico medioevale – secondo me la stessa smessa da Giulio e comprata scontata alla montagnola. Durante la performance loica, che ha la pregnanza di una sentenza di Carnevale, elenca le cose buone che fa con aria piagnona e furbetta.
    Eh sì, va a finire che cambia davvero l’aria…

  16. Stratagemma n.32 de “L’arte di ottenere ragione” di Schopenhauer. Che prevedibilità. Stratagemma tutto difensivo e demolitorio, il cui utilizzo non rende più vere o calzanti le cose che hai scritto. Non servono clave e randelli, serve rispetto per l’interlocutore, e soprattutto serve conoscenza.

  17. “…la dialettica come tale deve insegnare solo come difendersi da attacchi di ogni genere, in particolare da quelli sleali […] Il compito principale della dialettica scientifica, così come la intendiamo noi, è perciò quello di presentare e analizzare gli stratagemmi della slealtà nel disputare, affinché nelle dispute reali li si riconosca e li si annienti subito […] Quanto segue va considerato come un primo tentativo.”
    Lui, qui.

  18. “Ma ancora più mitico WuMing1 che indossa la veste del logico medioevale – secondo me la stessa smessa da Giulio e comprata scontata alla montagnola.”
    Diamo a Titonco quel che è di Titonco: a volte è davvero pittoresco nelle sue “Invettive e licenze”.
    Il ragazzo si farà:- )

  19. WuMing1 ti ho visto rigirare argomentazioni usando l’abilità di un pizzaiolo che fa freestyle con la pagnotta di pasta, suvvia… lasciamo in pace Schopenhauer.
    Il problema è che la descrizione schizzata sopra della gigantesca casa editrice è perfettamente realistica.

  20. 1. Ok, trovami una sola discussione in cui io non abbia fatto esempi su esempi, cercando sempre di fornire coordinate all’interlocutore e sostanziare quel che dicevo, per non rimanere sul piano astratto (quello delle generalizzazioni indebite e degli “sfondoni”) che altri invece prediligono.
    2. La descrizione dell’ipotetica casa editrice. Il punto, qui, non sono le tue scoperte dell’acqua calda (libero di rifarle ogni giorno, sai che me ne fotte a me) e questo lo sai bene. Io ti ho risposto riguardo alle insinuazioni sul nostro conto.
    La descrizione del “marketing cazzuto” era strumentale e ad usum delphini, l’intenzione manifesta (e pure dichiarata, visto l’esempio non calzante su cui hai costruito tutto) era assimilarci in modo arbitrario a quel tipo di logiche, ignorando volutamente ogni nostro “scrupolo”, ogni nostra specificità, tutta la fatica che facciamo per mantenere il nostro margine di manovra. Lo hai scritto tu stesso che possono esistere altri modi di stare sul mercato, però nel nostro caso li neghi per partito preso (e ripeto: ad usum delphini), mancando di rispetto non soltanto a noi (che sarebbe il meno) ma a tutte le persone che ci concedono fiducia (tutti decerebrati, immagino).
    Le concessioni che NON facciamo alla dimensione puramente commerciale sono innumerevoli: potremmo scrivere romanzi meno lunghi e complicati, buttare fuori un romanzo collettivo all’anno, ammorbidire le nostre posizioni, farci fotografare senza problemi (essendo due di noi dei fighi della madonna e non dico quali ma la cosa non mi include), fare boutades tagliate su misura per le polemiche da pagine culturali (tipo difendere Moggi), evitare di fare centinaia di chilometri per incontrare i dieci lettori di un paesino sperduto etc.
    Potremmo assumere la posa (molto remunerativa) di chi attacca l’industria culturale in toto, atteggiarci da “esperti di media” e andare in tv un giorno sì e l’altro no a dire che la tv rincoglionisce la gente…
    Potremmo farne, di cose del genere, ma dal momento che non soffriamo di alcuna “nevrosi da assenza di audience”, e che ce la caviamo bene anche senza tutto questo, possiamo permetterci di avere atteggiamenti meno commerciali di quelli mantenuti da certi Auteurs.
    Salutami il delfino.

  21. Prima io scrivo “Che poi WuMing accetti di giocare facendo meno interventi fallosi di altri sono d’accordo.”
    Dopo, inspiegabilmente, facendo volteggiare la pasta, mi sento dire:
    “l’intenzione [..]dichiarata […] era assimilarci […] a quel tipo di logiche, ignorando volutamente […] tutta la fatica che facciamo per mantenere il nostro margine di manovra.”
    Come la mettiamo? Telefoniamo a Schopenhauer?
    Poi. Scrivi che la descrizione della gigantesca casa editrice è risaputa, è acqua calda. Bene: anche quello che sta scritto in Gomorra è risaputo, eppure un’immagine complessiva e particolareggiata è fondamentale. Il mio era uno schizzo, ma se qualcuno volesse – facendo il suo mestiere di intellettuale -trasformare lo schizzo in affresco sarebbe utile: è da un’immagine chiara delle cose che si parte. Mozzi è partito dal testo “Classici e puttanate”.
    Ultima cosa, WuMing fai un intervento piagnone su quanto sarebbe facile per voi inserirvi completamente nel sistema di vendita da major. Fai degli esempi. Il problema è che gli esempi dovrebbero essere concreti metre tu hai la tendenza a rendere tutto “mitopoietico”. Un esempio (concretissimo)? “potremmo […]evitare di fare centinaia di chilometri per incontrare i dieci lettori di un paesino sperduto”
    Ma questo lo fanno TUTTI. Mai sentito gente che fa probabilmente dieci volte la strada che fai tu (e magari vende pure più di te) dire che tiene il culo per strada. Questa è retorica bassa, roba da televendita. Suvvia, se l’aria sta cambiando, cambierà anche per voi, vi costringerà a fare meglio, meno aggressività, meno retorica e più concetti…
    p.s. Salutami gli squali.

  22. Ripetere ossessivamente l’epiteto “piagnone” non cambierà il tono dei miei commenti, in compenso calza come un guanto al tono dei tuoi. Anziché ripetere “Ma io non volevo dire che…”, abbi il coraggio delle tue affermazioni.
    Il problema è che stai usando espedienti sempre più bassi. Ho sorvolato per carità sul tuo uso della falsa concessione (dire che facciamo “meno interventi fallosi” significa affermare che comunque facciamo interventi fallosi, però non dici quali sarebbero), ma se poi decidi che quello è l’ultimo appiglio per dissimulare la tua ostilità preconcetta e ti ci aggrappi, davvero mi costringi a far notare che è un mezzuccio.
    Avevi iniziato con un esempio della nostra presunta (presuntissima) “invasione degli spazi di recensione”.
    Te l’ho smontato.
    Hai svicolato rifugiandoti ai piani alti di un evanescente “piano generale”.
    Purtroppo, io ho il vizio di riportare chi discute con me sul suolo terrestre.
    Per completezza, e sempre per la cattiva abitudine di fornire esempi, ho spiegato per filo e per segno quali sono i nostri scrupoli. L’ennesimo mezzuccio è non entrare nel merito di questo, e dire che si tratta, in blocco, di “bassa retorica” (accusare l’interlocutore di bassa retorica è il rifugio estremo dei disperati).
    Un mestiere fatto con passione è fatto di scrupoli. E può esserci autentica passione anche nell’elencarli: ricordarli e affermarli è un esercizio mnemotecnico e spirituale.
    Occorrerebbe rispetto anche per quest’attitudine. Ma per avere rispetto occorre una forma di intelligenza emotiva, e nei tuoi commenti c’è troppa acredine perché possa trovare spazio un’espressione che non sia puramente recriminatoria. Ogni tanto si apre qualche spiraglio, si capisce che ami qualcosa (certi fumetti), ma subito lo richiudi, pervertendo quell’amore e trasformandolo in oggetto contundente.
    Mi procuri autentica tristezza, rammarico per lo sperpero del tuo tempo.

  23. ragazzi mi fate sganasciare dal ridere (e devo farlo di nascosto se no mi sgamano) continuate per favore anzi potreste darvi appuntamento tutti i venerdì mattina ?.

  24. Macché, queste cose non si possono programmare prima. Se ne andrebbe tutta la spontaneità, e quindi il piacere del conversare. Dovrai affidarti alla serendipità (= occasionale botta di culo).
    P.S. Trattenere le risate fa male, ridi apertamente, poi di’ al capufficio che ti è venuta in mente una battuta che lui aveva fatto una volta. Vedrai che gli fa piacere.

  25. Vorrei chiarire un punto: Andrea Barbieri è un lettore, e per giunta un lettore dei nostri libri. Ragion per cui, nella mia/nostra ottica, ha diritto a ogni forma di attenzione, spiegazione e chiarimento (anche duro), in qualunque modo scelga di manifestare le sue perplessità, anche nel modo più superficiale e mentecatto. Ci comportiamo così tutti i giorni con chi ci manda le mail, e se c’è tempo io mi comporto così anche su Lipperatura.

  26. “Avevi iniziato con un esempio della nostra presunta (presuntissima) “invasione degli spazi di recensione”.”
    No, ho iniziato con un esempio di cosa è marketing “cazzuto” (ottenere un’anticipazione su un libro la cui uscita non è imminente) e cosa è marketing “amorevole”.
    Detto questo, basta e avanza sulla faccenda marketing.
    Una precisazione però, perché tra i tuoi tanti colpi bassi c’è quello di dipingermi come una persona non in grado di leggere. A un certo punto tu in sostanza mi rimproveri di non capire che da WuMing potrebbero uscire libri davvero piacioni.
    Be’ un certo tasso di piacioneria, di strizzate d’occhio al cool c’è in tutti i vostri libri, però ho sempre sostenuto che c’è anche una ricerca. Non so se porta lontano, non so se percorrete davvero strade interessanti, però io rispetto il vostro lavoro.
    Non rispetto la vostra retorica aggressiva e semplificante. Quello che a voi manca non è una dimensione artistica, è una dimensione intellettuale matura, che probabilmente raggiungerete – raggiungerai – liberandoti da un atteggiamento di onnipotenza autoriale come non ho conosciuto mai in quelli che si definiscono “autori”.

  27. Non ti ho rimproverato proprio niente del genere, è l’ennesima premessa fallace su cui costruisci un paralogismo, da cui poi trai conclusioni non dimostrate da alcunché.
    Ho l’impressione che tu non ti stia davvero rivolgendo a me, bensì a te stesso, o meglio: all’immagine di me che ti serve per condurre un monologo.
    Se vuoi vi lascio soli. Esco in punta di piedi. Ciao.

  28. Segnalo anche il testo autobiografico di Gianluca Lerici “Hanno paura di me, sanno che sono punk”, incluso nel libro “Lumi di punk”, a cura di Marco Philopat.
    Riporto uno stralcio esilarante:

  29. No, Mario, non lo è. Ma hai ragione a chiedertelo, perché qui a volte la questione viene messa giù come se da una parte ci fossero biechi markettari e dall’altra autori disinteressatissimi che scrivono solo per se stessi e per l’arte. Peccato soltanto che i libri di entrambe le supposte tipologie siano merci, presenti sugli scaffali con un prezzo.
    Rimando a quel che scrivevo qui.

  30. Il libro è una merce. Geniali.
    Dove manca la genialità e nel capire 1. che il problema è “come” vendere, 2. che un sistema di vendita dei libri organizzato sul modello della vendita di polizze vita non fa bene al prodotto.
    Ovvero, come al solito i semplificatori si struggono nel paragone libro-merce, scordandosi che ovunque esistono associazioni di tutela del consumatore.
    Io faccio parte idealmente di quelle associazioni, e tratto del consumo del libro.

  31. La prima domanda che viene in mente è: ma tu leggi quello che scrivono gli altri o ti limiti ad aspettare il tuo turno?
    Tuttavia, la seconda e vera domanda è: a chi ti stai rivolgendo?
    Che il problema è “come” vendere te lo sto ripetendo io dall’inizio di questa discussione, e aggiungo: non appena posta in modo serio, la suddetta questione fa carne di porco di qualunque dicotomia tra “buoni” (artisti autori sinceri antirestaurativi anime belle eroi della letteratura che non si preoccupano di vendere) e “cattivi” (scribacchini markettari succubi del gusto popolare restauratori spacciatori di trash che pensano solo a promuoversi), antinomie su cui troppo spesso sono costruiti i tuoi interventi.
    E’ abbastanza semplice dimostrare che non esiste figura d’autore che si collochi tutta di qua o tutta di là dell’immaginario solco che tracci polemicamente ogni volta che ti affacci qui.
    Esistono autori di best-seller esemplarmente discreti, come esistono – e li conosciamo tutti – letterati con la L maiuscola ossessionati dall’autopromozione, esibizionisti che venderebbero la propria madre per una foto sul giornale in posa pensosa o un’intervista dalla Bignardi farcita di affermazioni apodittiche sui mala tempora che currunt.
    Non sempre un libro vende tanto (o discretamente) perché il suo autore non ha scrupoli, e non sempre un libro vende poco perché il suo autore ha scrupoli. Capita, talvolta, che il mercato premi qualità e decenza, come può accadere che un autore non venda libri pur avendo venduto il culo. Non occorrono i “Grundrisse” per capire queste cose, basterebbero le favole di Esopo (la rana e il bue, la volpe e l’uva etc.)
    Finché non sgancerai le due questioni, non riuscirai ad andare avanti di un millimetro su questo terreno.

  32. Ho letto fino a dove scrivi: “[…]dell’immaginario solco che tracci polemicamente ogni volta che ti affacci qui.”
    Senti, mi sono “affacciato” per dire cosa è marketing selvaggio e come funziona una major. Non mi interessa dividere il mondo in buoni e cattivi, tanto è vero che quando parlo di voi dico che state un po’ di qua e un po’ di là. Non mi interessa smerdare gente con allusioni. Mi interessa il valore di quello che uno fa.
    Poi, dopo aver messo da parte il tuo lavoro, che non intendo comprendere in questo discorso, ti ho spiegato che oggi occorrerebbero degli intellettuali, non dei mercanti d’aura.
    Te la senti di fare un po’ più l’intellettuale e un po’ meno il mercante d’aura?

  33. “Ho letto fino a dove scrivi […]”
    Male. Dovevi leggere anche il seguito, prima di cedere alla compulsione del commento. Sospetto da tempo che questa sia la tua prassi: scorri velocemente i commenti altrui, e immantinente spari il colpo che avevi già in canna. Molto male.

  34. Ho letto anche il resto. Scrivi “Capita, talvolta, che il mercato premi qualità e decenza, come può accadere che un autore non venda libri pur avendo venduto il culo.”
    Per me questa è una banalità, ma forse per te è una grande scoperta. Non arrivi proprio a capire che non mi interessa il “foro interiore” di un autore per decidere se qualcosa per me vale?
    Pensi che sia tanto cretino da ritenere possibile e utile sapere se sei un poco di buono per giudicare quello che produci?
    Io ti faccio un discorso su un mercato delle major che fa schifo, ti dico che questo mercato rende difficile il lavoro di qualità, che se questo esiste è per l’abnegazione di alcuni. Non mi importa se poi nella loro vita sono dei delinquenti, mi importa che facciano qualcosa di utile al mondo scrivendo e disegnando.
    Mi importa che la gente sappia per esempio che Rizzoli rimpinguando 24/7 col graphic novel di Gipi, non scopre nulla, semplicemente si fa portare l’acqua da chi lavora con abnegazione e senso della qualità. Se i lettori, cioè i consumatori, capiscono questo, forse Rizzoli o altri, potrebbero comportarsi diversamente.

  35. psssst, psst
    a.b.
    ti sta passando sotto il naso almeno un’altra bieca operazione di marketing da parte del dottor wu (su altre non ho prove, ma le sospetto).
    Essì, altro che major, quì siamo al minor 🙂
    prova a leggere attentamente:
    farci fotografare senza problemi (essendo due di noi dei fighi della madonna e non dico quali ma la cosa non mi include),
    a te questo non dice niente?
    non ti pare che i dottor wu in questo non farsi vedere in foto (in 5 o singolarmente) e nel dichiarare che coltivano nel corpo collettivo Due (ben due) Fighi della Madonna stiano facendo una sporca operazione di ‘suspance’ markettara rispetto a lettrici e lettori sensibili a una rinfrescata delle pupille?
    A me sembra di sì.
    Nel tacere l’identità (pardon, il numero) di questi due Adoni collettivi e letterari costringono i solleticati lettor* a sorbirsi un bel pò di presentazioni dei loro tomi, fare dei toto BBoni e sperare che le presentazioni siano ravvicinate nel tempo e nello spazio e che non ci siano solo quelli ‘normali’, ma si alternino.
    Se ho ben capito è uno di quei trucchetti da marketing primitivo. Si confeziona un detersivo, si dice alla massaia che dentro può trovare un anello (uno di latta finto oro ogni 10000 confezioni random, ma questo non si dice) e la si invoglia a comprare nella speranza che ‘l’ava come lava’ sia più generoso del marito o dell’amante.
    A.b. ti do ragione i dottor wu non ‘fanno’ marketing, ‘sono’ il marketing.
    Adesso però passiamo a qualche altro aspetto che da profana di marketing non mi spiego, ma forse il tuo infiltrato (o infeltrito) mi può spiegare.
    Di norma il marketing industriale (e l’editoria è industria) funziona su un prodotto o più prodotti uguali a se stessi (fatti in serie e sempre uguali) tipo mozzarelle, smart, orologini del cazzo e mirabilia simili.
    Per l’editoria il prodotto è sostanzialmente il libro o il fumetto o altro contenuto stampato su pagine e rilegato, lasciando da parte gli ultimi ritrovati elettronici.
    Quindi l’editore guadagna a volume e a valore (a secondo che punti a una grossa tiratura con margine di guadagno basso o a piccola tiratura con margine di guadagno alto o a entrambe, quest’ultimo è sempre il caso preferito, chissà perchè).
    Se un editore fosse perfettamente in linea con il mercato cercherebbe di venderti qualsiasi cosa, di stampato o in bianco, che assomigli a un testo rilegato. Infatti ci tentano costantemente anche se non sembra che sia così facile.
    Stranamente le persone che leggono libri (e che non necessariamente li comprano) sono un target che, nella mia ignoranza, non riesco ad assimilare alla casalinga che si accatta il detersivo con l’anellino dentro.
    Anche la casalinga con l’anellino probabilmente si compra e legge il suo harmony quotidiano, ma non è detto che le storie d’amore le vada a cercare solo lì e per sempre.
    Dove voglio andare a parare è presto detto: leggere non è necessario, nè, allo stato attuale delle cose, viene pompato a livello pubblicitario come attività imprescindibile al pari di deodorare, calzare giusto, bere con sguardo da duro o chiamare l’autista per un dolcetto di preludio a…bho.
    Certo, ogni tanto nasce il Caso e ci attaccano su il film, il tormentone melodico, le interviste a go go, ma questo non accade a comando (non ancora, non fino a quando il processo di formattazione di noi tutti sia così incompleto) e a volte si tratta (vedi il ‘maghetto’ della Rowling) di testi snobbati e pubblicati quasi per caso.
    Caro a.b., per farla breve. Noi target degli editori in quanto lettori siamo ancora un target ‘anomalo’. Una buona fetta legge in modo trasversale, attraversando i generi e fottendosene di critici e criticanti. Per questo in quei supporti che sono l’unica cosa che gli interessa vendere non ci mettono solo dei ‘BigMac’.
    Tu e altri sostenete che ci stanno formattando a puntino con storie a canovaccio fisso o ‘impoverite’.
    Può anche essere che ci provino. Il loro sogno è vendere miglia di libri purchessia (questo vale da sempre anche se è vero che quella che consideriamo editoria ‘seria’ ha sempre rivolto l’attenzione alla nicchia dei ‘colti’ e cercato di variare e arricchire il companatico) e a chiunque, basta che paghino.
    Questo scandalizza un Titonco morbidone e qualche scrittore ignaro della deriva dei continenti e anche di quella neoliberista e di mercato.
    La cosa più curiosa è che queste persone si ostinano a mettere in evidenza meccanismi che riscoprono con orrore ogni giorno nell’editoria quasi che lì siano confinati o che quello che avevano creduto un sacro suolo sia stato improvvisamente invaso da alieni.
    Il problema non è un ipotetico ‘tradimento’ dell’editoria, ma un collasso generale intorno a meccanismi perversi che stanno ogni giorno di più riducendo spazi di autonomia e di vita.
    Anzi. A dispetto di una omologazione che in tutti campi è a uno stadio di avanzamento forse senza ritorno, nel campo della varietà libraria (di titoli e di biodiversità) abbiamo, a dispetto di tutto, una certa tenuta. Si tratta di ambito di nicchia e di una nicchia di ‘consumatori’ che sta giusto svegliandosi alla consapevolezza del Target oggi a fronte di un fenomeno che nel vestire, mangiare, pensare generale è andato avanti per qualche decade.
    Sconvolge che il grido di alcuni tra gli scrittori o gli utenti più rappresentativi si levi con cotanto ritardo e lamentando la fine di un mondo che non tornerà più. Questo testimonia di quanto molti intellettuali siano un organo distaccato dal resto della società e di quanto il loro anelito per il ripristino di un ‘sacro recinto’ editoriale sia patetico e ristretto.
    La cosa più grave è che questi signori (non faccio di tutti gli intellettuali/scrittori un fascio, of course, e ci tengo a precisarlo) non si rendono conto che nel mondo intorno all’editoria (l’unica cosa che sembra muoverli a qualche interesse) le frontiere del marketing e del mercato stanno raggiungendo e superando limiti che si sperava fossero invalicabili.
    se nell’editoria la nicchia intellettuale lotta per mantenere la sua illusione di sopravvivenza, all’esterno, nel mondo reale, siamo (tutti, intellettali e editoria compresi) come quegli indigeni colonizzati che vendevano la loro terra e il loro sostentamento in cambio di perline per ritrovarsi poi schiavi di fatto o di diritto.
    Ci accade ogni giorno e ogni giorno aggiungiamo un lustrino alla collanina in cambio della cessione di autonomia, lavoro, diritti.
    Tutta la politica delle grandi e piccole compagnie, del marketing e della tecnologia al loro servizio è volta a facilitarci questo processo di ‘tossicodipendenza’.
    Quelli che fino a ieri erano beni comuni (leggi: acqua, aria, salute ecc…) sono in fase di privatizzazione. I Trust alimentari stanno imponendo al pianeta la privatizzazione del controllo dei semi per la produzione alimentare fottendoci tutti con la retorica della ‘lotta alla fame nel mondo’ (bell’esempio di marketing che l’editoria sogna la notte).
    Quello che stanno cercando di venderci è: la fame
    http://www.beppegrillo.it/2006/03/il
    _business_della_fame_nel_mondo.html
    sotto le spoglie di OGM che solo loro controllano e con le pressanti richieste di ‘sterilizzazione’ dei semi, in modo da essere i soli a poterli produrre e vendere ai prezzi e con le politiche che decideranno. Parallelamente stanno promuovendo, sulla nostra pelle, il divieto ai contadini di scambiare le sementi. Dappertutto.
    Riusciamo ancora a collegare questi temi con l’ecologia, con la varietà o la manipolazione biologica e anche con il mercato. Ma non in maniera così radicale da prefigurarci uno scenario per l’avvenire (la maggior parte degli intellettuali sono troppo preoccupati per l’angolino dell’editoria). Vale a dire che continuamo a comprare i pezzi di vetro con un sorriso di sufficienza sottintendendo che non siamo fessi. Purtroppo il processo va avanti ed è
    talmente veloce che tra non molti anni saremmo dei perfetti schiavi consapevoli e forse informati, ma impossibilitati a uscire da un sistema oltre il quale non c’è il nostro carburante biologico: il cibo/l’acqua.
    Se qualcosa hanno da contestare al marketing d’assalto, che si esercitino anche cinque minuti con questo, gli intellettuali. Può tornare utile quando rientreranno in qualche cattedra universitaria o editoriale.
    Infatti sono le classi più istruite e medie di ogni dove che collaborano a questo mercatino per le allodole (anche markettari attivi e loro critici, of course). E’ per questo che neanche le vandana shiva con annessi contadini
    http://www.informationguerrilla.org/rd.php/
    http://www.feltrinelli.it/SchedaTesti?id_tes
    to=2090&id_int=1888
    potranno molto rispetto al precario ceto medio occidentale, all’affluente (e di circa duecento e passa milioni) ceto medio indiano o a quello agguerrito e cittadino cinese. A meno di un
    deterioramento rapido e irrimediabile di condizioni di produzione e sopravvivenza di intere popolazioni.
    Carisimo a.b. ho fatto questo intervento fiume perchè non ne posso più di questa maniacale ripetizione intorno al mantra dell’editoria che è, comunque, la retroguardia di ogni processo di distruzione, desertificazione, marketing e incubi annessi.
    Adesso che tutti siamo consapevoli di come la pensi in materia editoriale che ne dici di cominciare a sferzare gli intellettuali affinchè diano un’occhiata al mondo intorno e non solo ne scrivano e si lamentino di ‘non pubblicazione’ o ‘scarsa diffusione’, ma cerchino in tutti i modi di farsi ascoltare (anche se questo significa andare a parlare con la gente nei bar o alla fermata degli autobus e ricominciare a rivolgere la parola a lettori di harmony e fruitori di soap opera)?.
    Non sono intellettale e ci provo a parlare con un pò di gente, per questo mi accorgo che c’è una disinformazione pazzesca su problemi di importanza vitale per il nostro futuro e per l’equilibrio del pianeta. Sul mondo editoriale non insisto troppo :-), sarebbe già abbastanza cominciare ad arginare un fenomeno di disinformazione e omologazione generale.
    Come avrai capito, infatti, se questo processo riesce in tutti i campi fondamentali della vita (cibo, acqua, salute ecc.) e della cultura (dipendenti moooolto marginalmente dall’editoria) si finirà con stampare un solo libro, con poche parole e frasi semplici e per conformarsi a quello.
    Dimenticavo: petizione contro il divieto italiano ai contadini di scambiare i semi
    http://www.informationguerrilla.org/
    rd.php/www.biodiversita.info/modules/petizio
    n3/index.php?id=1
    besos

  36. Spettatrice, lo dico ogni secondo ormai, l’ho detto anche qui che servono degli intellettuali e non dei fantocci che fanno discorsi da televendita. Lo dico ovunque e non solo per quanto riguarda l’editoria.
    Anche poco tempo fa con Georgia si è cercato – ovviamente soprattutto per merito suo – di portare l’attenzione sul discorso dell’emergenza di specie che Il primo amore in rete, nella “zona” dei blog vicini alla letteratura, cerca di disseminare.
    Quindi non capisco perché ti rivolgi a me con quel modo pedagogico e un po’ sarcastico. Lo farai anche in buona fede, non discuto, ma con me è perfettamente inutile: lo penso già!

  37. a.b.
    visto che si parla di marketing, queste iniziative di cui parli (ammesso che siano valide a fini di informazione e consapevolexxa, ma non voglio mettere in dubbio) quante e quali persone raggiungono/ranno?
    A volte sarebbe utile chiederselo se davvero si è interessati a diffondere.
    Non dico di fare una ‘quantitativa’ o ‘qualitativa’ come i markettari, a volte basta un minimo di osservazione e di buon senso.
    Credo che si scopribbero delle cose veramente interessanti e non è detto che siano quelle che ci si aspetta.
    Desiderare di comunicare non basta per riuscire (soprattutto di quest tempi e in questo mondo) e non basta neanche scegliere un mezzo strasfrutato o collaudato. I WUM hanno avuto tra i tanti meriti anche quello di avere scelto vie di omunicazione nuove e innovative. Non che basti, ma aiuta.
    La fossilizzizaione nelle buone intenzioni invece no.
    .

  38. A parte che svegliarsi per buoni ultimi sulla “emergenza di specie” e pretendere pure di dettare l’agenda (“Come mai nessuno ha commentato il mio importantissimo testo??”) è l’ennesimo segno di arroganza intellettuale, ideologia ricattatoria e disinteresse per discorsi e pratiche altrui (forse Lorsignori si sono persi un po’ di puntate…), va detto che a fare i grandi discorsi son buoni tutti, poi bisogna vedere la prassi.
    Da tre anni svariati autori italiani si sbattono insieme a Greenpeace per imporre agli editori carta non proveniente dall’ecocidio (disboscamento delle foreste primarie del pianeta). Carta prodotta interamente da materiali di riciclo, sbiancata senza uso di cloro, che se adottata dall’industria editoriale tutta salverebbe milioni di kmq di foreste e renderebbe meno improba l’impresa invocata al vertice di Nairobi (piantare cento milioni di alberi nei prossimi trent’anni).
    Questi che poi si mettono a dettare l’agenda del dibattito dal loro blog e criticano tutti gli altri per il loro presunto silenzio (quando invece silenti sono stati loro fino a cinque minuti prima), dov’erano mentre si cercava con fatica di avviare tutto questo? Probabilmente erano nei loro salotti e uffici docenti a dire che si trattava di “marketing e nulla più”. E dove sono adesso, dopo tutte le parole spese sull’emergenza?
    Siete una masnada di ridicoli. Tu e chi ti manda.

  39. Hem, non sono voluta ripiombare sui contenuti perchè a.b. conosceva perfettamente come la pensavo a partire da questo post su vibrisse in cui abbiamo commentato entrambi.
    http://www.vibrissebollettino.
    net/archives/2006/10/per.html
    anche se i miei commenti sulla recente scoperta dell’emergenza di specie’ da parte di un suo Preferito erano vagamente OT in quel contesto.
    le parole di wm1 rispetto alle belle addormentate che si svegliano isteriche e incazzose con il mondo intorno, non accorgendosi di avere dormito per anni, le condivido in toto. Aggiungo, caro a.b. che un minimo di senso della realtà (per non dire di umiltà, che fa troppo cattolico) ad alcuni degli intellettuali che sostieni non guasterebbe. Se poi si rendessero conto di avere dormito amabilmente e cominciassero un discorso (anche partendo dai bar o da ritrovi sotto i ponti, non necessariamente da cattedre) di informazione, critica e prassi ben vengano e ben lavorino con tutti e per tutti, paritariamente, amabilmente e senza toni accusatori (chè sembra che solo una parte di mondo -tutti gli altri- abbia distrutto o lasciato distruggere il Pianeta, loro No, Mai).
    besos

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