MAMMA MIA!

Molte e molti se la sono presa, dopo la visione dello spot di una società immobiliare norvegese dove gli italiani sono dipinti come inguaribilmente mammoni. Qualcuno ha usato la parola “razzismo”, altri hanno amabilmente rimproverato me di non essermela presa abbastanza, o affatto.
E’ vero, non me la sono presa troppo. E provo a spiegare perché.
A mia memoria, lo stereotipo sugli italiani è antico e circoscritto a tre quattro argomenti: mafia, pizza, volemose bene (nelle varie declinazioni che vanno dal mandolino al canta che ti passa). Ai tempi, ci fu anche la P38 sugli spaghetti. Ora, credo di aver detto un paio di volte in varie sedi che gli stereotipi sono faccenda da maneggiare con cautela, da decifrare e da smontare. Naturalmente questo non fa eccezione.  Sentirsi usati, in quanto italiani, come la Pepsi fa con la Coca-cola, non è piacevole.
Detto questo, perché si ride su Tony Soprano e ci si infuria sul figlio che richiama la mamma dalla manifestazione perché gli manca il bottone sul polsino?
Perché, almeno a mio parere, questo spot tocca un nervo scoperto, che è lo stesso su cui, sul versante opposto, si insiste negli spot  dove le mamme lavano e stendono mentre i figli si allenano a diventare campioni olimpici.  L’idea, ovvero, che la madre italica sia quella da ammirare meravigliati (“come fa a far tutto”) perché concilia il lavoro – quando c’è – e la cura della famiglia.
Per la gioia degli statistici, vi fornisco qualche numero, ricavato dal progetto di ricerca Istat Dinamiche dei corsi di vita tra contesto e legami forti. In particolare, è interessante leggere i dati che riguardano la tipologia di attività in cui donne e uomini sono impegnati. Le prime, infatti, non possono esimersi dal cucinare: in un giorno medio si trova davanti ai fornelli il 90,5% delle occupate e il 97,8% delle non occupate. Anche le attività di pulizia della casa impegnano l’82,7% delle occupate, per arrivare a quote del 94,8% tra le non occupate. Le attività di apparecchiare/sparecchiare e lavare i piatti sono svolte dal 66,3% delle occupate e dal 76,5% delle non occupate. Il 35,7% delle occupate in un giorno medio lava o stira, quota che sale al 49,2% per le non occupate. Infine, rispettivamente il 44,4% delle occupate e il 66,2% delle non occupate acquista beni e servizi.
Gli uomini sono decisamente più selettivi: in un giorno medio della settimana tra i partner di donne occupate il 41,7% cucina , il 31,4% partecipa alle pulizie della casa, il 29,9% fa la spesa, il 26,6% apparecchia e riordina la cucina, mentre quasi nessuno lava e stira i panni. Tra gli uomini che hanno una partner che non lavora, tutte le frequenze di partecipazione si dimezzano, a eccezione degli acquisti (27,2%).
Quanto alla cura dei figli: se la donna lavora resta a carico della madre il 65,8% del lavoro di cura, contro il 75,6% se la madre non è occupata. L’85,9% delle madri e il 57,8% dei padri con almeno un figlio fino a 13 anni svolge in un giorno medio un’attività di cura dei figli che ricadono in questa classe di età: ma le madri vi dedicano mediamente due ore e tredici minuti contro l’ora e 23 dei padri. Inoltre, anche qui, le differenze si fanno sentire, dal momento che sono le mamme a rispondere alle esigenze in modo decisamente più completo: sono a loro carico cure fisiche e sorveglianza (dar da mangiare, vestire, fare addormentare il bambino o semplicemente tenerlo d’occhio). Il tempo dei padri è soprattutto dedicato ad attività ludiche, che sono anche le sole per le quali l’indice di asimmetria assume valori inferiori al 50%, per la precisione il 41,5% del tempo dedicato al gioco da entrambi i genitori.. Infine, le madri sono maggiormente coinvolte nell’aiutare i figli quando devono fare i compiti : in un giorno medio, li segue il 19,3% delle madri contro il 4,8% dei padri. Infine, le donne dedicano in un anno più di 2 miliardi di ore di lavoro di cura per altre famiglie.
Vi basta? Pensando bene a quanto letto sopra, guardatevi lo spot. A mio parere, prima di prendersela (troppo) con i norvegesi bisognerebbe chiedersi quanto hanno ragione. Purtroppo.
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40 pensieri su “MAMMA MIA!

  1. Qualche altro dato, trovato qui -> http://isfoloa.isfol.it/
    Secondo uno studio del 2010 (quindi precedente agli ultimi due anni di crisi) in una giornata media le donne occupate trascorrono circa 7 ore a svolgere un lavoro retribuito e circa 8.30 ore a lavorare in casa o per la famiglia. In Italia anche per le donne occupate la casa e la famiglia sono ancora il primo luogo di lavoro.
    L’altra faccia della medaglia è che secondo lo stesso studio gli uomini occupati trascorrono al lavoro in media 10 ore al giorno. Una follia, in tempi di epidemia della disoccupazione.
    Nonostante questo, gli uomini hanno mezz’ora di tempo libero in più, più tempo per la cura di sé e persino un piccolo vantaggio sulle ore di sonno.
    Un dato che non mi aspettavo: il 10% degli uomini con un alto livello di istruzione non ritiene normale che una donna lavori. La percentuale scende all’8.4 per gli uomini con un medio livello di istruzione.
    Sarei curiosa di sapere la percentuale tra i “tecnici” iperqualificati che al momento ci governano, tra gli alti papaveri della finanza e dell’industria e tra i grossi dirigenti del settore pubblico.

  2. Per gentilezza potrebbe fornire i links? Sarebbe molto apprezzato da parte sua perché in rete non si trovano e non vorrei leggere dati di seconda mano come i giornalisti abitualmente usano, oltre a capire la metodologia.
    Grazie

  3. Sono gentile con le persone gentili, Mau. Dal momento che le sue affermazioni presuppongono che i miei siano dati di seconda mano, la invito a cercarli da solo, ci si arriva con cinque minuti di ricerca. Cordiali saluti.

  4. eccoti alcuni links. Vai dal fornaio, macellaio, fruttivendolo. Passa nel reparto detersivi di un supermercato, vai ad una lavanderia a gettoni, e per finire fatti un giretto ai colloqui generali di una scuola qualsiasi di ogni ordine e grado. La domenica vai a vedere una partita di calcio, rugby o basket. Conta gli uomini e le donne e ti rendi subito conto che le statistiche sono fatte per difetto.

  5. Aimè, la vita reale è proprio così e continuo a pensare che le donne hanno un’enorme responsabilità in questo. Parlando con le altre mamme con figli piccoli mi capita continuamente di notare (con raccapriccio) che i loro mariti non solo sono esentati dalla cura quotidiana dei figli, ma possono permettersi di andare in palestra anche tre volte a settimana…
    Mah! Ragazze, scegliamo un uomo che sia in grado di assumersi un ruolo genitoriale adulto e completo!
    Le eccezioni ci sono per fortuna (io me lo sono sposato!).

  6. Recentemente, per l’inaugurazione ufficiale della scuola nuova di mio figlio, è stato chiesto alle famiglie di portare le cibarie per il rinfresco. L’assessore all’istruzione (una giovane donna di sinistra, per inciso), alla fine del discorso ha ringraziato dal palco “tutte le mamme” per essersi prodigate. Inconcepibile l’idea che anche i padri, o financo i figli stessi! possano giungere al punto di farcire dei tramezzini… (per inciso da noi li aveva preparati mio marito, così dai vicini). Ah, non vivo in norvegia :-).

  7. Lo spot è fatto bene e fa molto ridere (almeno me), la realtà è quella che tu descrivi, e fa molto meno ridere purtroppo. Stereotipo per stereotipo, sarebbe facile rispondere agli amici norvegesi che se la mamma di Breivik fosse stata un po’ più ‘italiana’ suo figlio non sarebbe stato un depresso maniaco. Ma queste sono malignità ..

  8. Nel luogo dove lavoro fanno ogni anno la “festa della mamma che lavora”, e penso che ogni commento sia superfluo. @mau: ho provato a cercare i dati ma non li ho ancora trovati, se ho tempo più tardi ci riprovo. Comunque se la fonte è ISTAT direi che meritano credito, al di là ti tutte le considerazioni che sempre si possono fare sul metodo.

  9. c’è una cosa che non capisco, di tipo metodologico: perché, nelle statistiche riportate, si parla generalmente di “donne”, occupate e non, e solo di “uomini con una compagna che lavora o che non lavora”? mi sembra chiaro che le statistiche siano (ampiamente) falsate dall’includere, come pare emergere dall’articolo, le donne che vivono sole (e che quindi si devono occupare di cucinare, lavare, ecc) MA NON gli uomini (che anche loro devono farlo).
    questo, semplicemente come questione metologica – sono d’accordo in linea di massima con la tesi dell’articolo, ma, proprio per questo, occorre portare dati corretti a sostegno delle proprie tesi 🙂
    claudio

  10. Tutto pur di non parlare del cuore del problema, eh? 😀
    Ps. non sono in possesso del metodo usato dall’Istat. Non sono una statistica. Ma, come diceva il suo omonimo qualche commento su, ci sono casi in cui attaccarsi al metodo significa tenere gli occhi chiusi. Saluti cari.

  11. Penso anch’io che basti guardarsi in giro (pur con le dovute differenze tra grandi città, provincia, campagna, nord, sud) per capire che i dati sono veri, e però tacciono il pensiero e l’immaginario che sta a monte…
    ad esempio le varie forme di potere che le donne credono di avere e di cui non riesono a fare a meno, e i privilegi che molti uomini si tengono stretti perchè è scomodissimo farne a meno. Al di là dei dati infatti queste statistiche parlano di difetti e stereotipi al cui posto non si sa bene ‘cosa’ mettere, e come. Francamente la madre italica non riesco ad ammirarla più di tanto, perchè mi imbatto sempre più spesso in un tipo amareggiato e frustrato che non solo paga, ma fa anche pagare, un prezzo altissimo per questa immagine da giocoliere.
    L’esempio dell’assessora citato da francesca violi mette il dito sulla piaga della mancanca di ‘vigilanza’ diffusissima tra tutt*. Sono quelle carenze di forma che esprimono l’assenza di una volontà di comunicare una sostanza diversa.

  12. @Claudio, mau: in questo caso anch’io dico anch’io che la discussione sul metodo e sui numeri svia dal problema vero. In passato e anche molto recentemente mi sono trovato in disaccordo con Loredana a questo proposito, ma in questo caso non siamo davanti né a una questione sottile, né opinabile, né di difficile interpretazione: questi numeri raccontano ciò che tutti già sappiamo e sono così macroscopici che qualcunque distorsione, che pure ci sarà come sempre c’è nelle statistiche, non sposta di un millimetro la sostanza del problema. Il fatto che in Italia le donne lavorino molto meno degli uomini e raramente questo corrisponde a una loro scelta, che guadagnino quasi sempre meno di un uomo a parità di lavoro, che difficilmente accedano ai livelli apicali, che ci si attenda da una donna sempre e comunque un qualcosa di più di quanto ci si attenda da un uomo nella cura parentale e familiare, mi sembrano realtà davvero difficili da negare. E non ci si può nascondere dietro qualle donne che rivendicano a se stesse quel ruolo femminile tradizionale, perché sono troppe quelle che un simile ruolo se lo vedono imporre piuttosto che sceglierlo. Tra le infinite misure che sarebbe bello mettere in campo per svegliare gli uomini rispetto a questi temi, sarebbe bello imporre un congedo parentale obbligatorio agli uomini quando nasce un figlio. Che, come dovrebbe essere noto a tutti, si fanno in due, nonostante quel politico che un paio di mesi fa se ne uscì dicendo che “le donne hanno esigenze particolari, le donne hanno i figli”… tutti portati dalla cicogna, immagino.

  13. no, non si tratta di attaccarsi a tutto. posso essere o meno d’accordo con il punto di vista, e credo di aver detto di esserlo, senza per questo lanciare dati a caso. mi interessava capire se le due cifre fossero comparabili o meno, per pura curiosità, e non mi pare di aver usato l’incompletezza dei dati per smontare chissà cosa. ci potrebbe essere qualcuno che lo farà, e avrà ragione, perché i dati a quanto pare sono davvero incompleti. usare dati random non rende un buon servizio a nessuna causa. come, d’altra parte, non lo fa rispondere così a un semplice commento costruttivo, ça va sans dire.

  14. Claudio, chiedo venia se sono stata secca. Ma se lei frequenta questo blog (e non solo: penso a quel che è avvenuto sul blog del Fatto quando si è parlato del libro di Iacona) sa che i numeri vengono usati come cortina fumogena molto spesso. Come le dicevo, non sono in grado di dirle quale metodo abbia usato Istat per la ricerca: ma non ho dubbi che i dati siano invece decisamente completi, perchè conosco la serietà di chi sovrintende a questi lavori. Detto questo, vogliamo, come correttamente, e di questo lo ringrazio di cuore, ha fatto Maurizio, venire al cuore del problema o parliamo ancora di metodologia? 🙂

  15. in realtà non leggo spesso i commenti di questo blog (o di altri) – i post sì, mi paiono molto interessanti. ho scritto quella domanda solo perché ero sinceramente curioso di capirne di più, ma sarà una deformazione professionale. comunque non credevo di aver bisogno di dimostrare la mia fede alla causa, prima di poter chiedere un chiarimento. chiedo venia se la domanda è sembrata un tentativo di svicolare, è che proprio non mi pareva ci fosse molto da svicolare, che le donne lavorino più degli uomini e che le condizioni di lavoro e sociali di cui “godono” siano decisamente peggiori di quelle degli uomini mi sembra un dato acquisito.

  16. Anche quest’anno ci sarà la fatidica riunione di classe.
    Posso scommettere a occhi chiusi. Su 24 bambin* 4/5 padri al massimo, il resto composto da madri lavoratrici e casalinghe; tutte comunque affannate e di corsa, soprattutto le prime naturalmente. Non so se si tratta di una mia percezione ma di fatto la netta prevalenza di maestre scoraggia i padri ad essere presenti. Quasi tutti anche quelli più “moderni” la considerano di spettanza femminile. E’ un costume duro a morire ed è vero molte madri vanno fiere di questa loro croce.
    (Spesso i permessi di lavoro -per malattie, riunioni, visite mediche, feste di compleanno e sport- li chiedono le madri, poichè nella maggioranza dei casi hanno lavori meno qualificati e/o con stipendi inferiori; si evita forse che la carriera del marito rotoli oppure non si vuole rinunciare a privilegi acquisiti.)

  17. poter assentarsi dal lavoro per malattie, visite mediche ecc..dei propri figli non è un privilegio, credo che dovrebbe essere un diritto. Il fatto che i padri lo chiedano meno non lo trasforma in un privilegio, diventerebbe un privilegio qualora a tutt i lavoratori padri fosse impedito legalmente di chiederlo..i diritti sono diritti a prescindere da quale dei due sessi ne usufruisce maggiormente.
    Non vorrei essere offensivo, ma un uomo che non va alla riunione dei genitori unicamente perchè si sente “scoraggiato” dal fatto che la maestra è una donna..ha qualche problema, secondo me.

  18. Un’altra cosa: io non avrei nulla in contrario a congedi obbligatori di paternità accanto a quelli di maternità penso anche però che le leggi devono rispondere alle esigenze reali della popolazione..mi chiedo sommessamente quanti padri italiani vogliono davvero questi congedi?
    Mi spiego meglio: come sapete da tempo agiscono sul territorio diverse associazioni di padri separati, queste associazioni, checchè se ne dica, hanno ottenuto delle risposte positive alle loro richieste da parte della politica: l’introduzione del principio di “bigenitorialità” e la legge sull’affido condiviso che però sembra non sia sufficiente per queste associazioni e infatti si battono per inserire ulteriori modifiche, comunque bene o male queste associazioni (molto combattive e in alcuni casi un po’ troppo “rabbiose” per i miei gusti) sono riuscite a far entrare le loro istanze e rivendicazioni nel dibattito pubblico e anche nell’agenda politica..come mai non vedo associazioni di padri (o anche di genitori, maschi e femmine) italiani battersi con altrettanta determinazione, anche con manifestazioni di piazza (i padri separati ne hanno fatte) per i congedi di paternità obbligatori come lo sono (almeno per un periodo e per evidenti ragioni) quelli di maternità? O ancora meglio per un sistema di congedi alla scandinava che ciascuna coppia può gestire come meglio crede secondo le esigenze proprie e del pargolo? In Italia un associazione di padri che faccia pressione sulla politica e che faccia manifestazioni, cortei, lotte, scioperi per avere queste cose non c’è e questo mi porta a pensare che non se ne senta davvero il bisogno. Da che mondo è mondo, se (e sottolineo “se”) qualcosa è ritenuto un diritto fondamentale allora si lotta per averlo poichè nessuno te lo darà spontaneamente

  19. barbara, se i padri (anche le madri ma sopratutto i padri in quanto sarebbero loro gli “esclusi”) non si fanno sentire per denunciare la cosa e non protestano con i/le dirigenti di queste scuole, è lecito pensare che dopotutto gli va bene così

  20. @Paolo 1984: il problema, Paolo, è proprio che “dopotutto gli va bene così”. L’obbligatorietà del congedo parentale servirebbe a riaffermare un dovere, a ricordare agli uomini che non è solo la madre a doversi prendere cura del bambino appena arrivato. Questa non è una questione di libero mercato, che possa essere liquidata in nome di una insufficienza di domanda come si farebbe per una marca di patatine poco richiesta dai consumatori; si tratta, al contrario, di una norma che sarebbe importante in quanto portatrice di un valore, perché non sempre sono i valori a ispirare le norme: può avvenire anche il contrario, può accadere che quando certi valori latitano sia la norma a dover creare la cultura che può suscitarli.
    Personalmente, ho vissuto come una camicia di forza il periodo minimo che il mio datore di lavoro concede per la nascita dei figli ai padri (2 giorni, se non ricordo male) e ci ho messo molte ferie per allungarlo. Per quanto riguarda la scuola, essendo uno di quei 4 o 5 padri di cui parlava M., mi sentirei di garantire che non è il disagio indotto dalla prevalenza femminile nel corpo insegnante a tener lontani i padri. Si tratta di un (mal)costume che in alcuni casi porta a forme di assenza ancora più estreme. Nella lunga esperienza di fecondazione assistita che mi sono fatto insieme a mia moglie, ad esempio, ho notato con immenso stupore che molto spesso, non essendo necessaria la presenza contemporanea di entrambi gli aspiranti genitori, le donne vanno da sole a sottoporsi al tranfer in utero degli ovuli fecondati, dopo che il partner maschio è graziosamente passato qualche giorno prima a depositare il suo preziosissimo seme. In modo da non disturbare nemmeno in un momento di questa importanza i sacri impegni di lavoro. C’è poco da fare, la maggior parte degli uomini non considera la genitorialità qualcosa che li riguardi davvero in prima persona, e delega alla prima occasione. Con l’effetto collaterale di creare le condizioni per un vuoto normativo e culturale che finisce per penalizzare quegli uomini, pochi o tanti che siano, che invece la genitorialità vogliono viverla in maniera piena.

  21. Maurizio, però dopo la separazione, questa voglia di genitorialità salta fuori non in tutti ma in una percentuale significativa di padri italiani altrimenti non sarebbero nate le associazioni dei padri separati (ma sarà voglia di genitorialità o di rivalsa? boh).
    Poi io non lo so se la legge crea i valori, ma se lo pensi inizia a raccogliere la firme per una legge di iniziativa popolare. Io la firmerei (preferisco il sistema scandinavo che lascia libertà alle coppie di gestirsi il congedo come ritengono opportuno ma vabbè)

  22. Secondo me l’obbligatorietà è uno strumento rozzo, ma efficace. Intanto si crea la giusta percezione, poi magari si passa a un sistema di libera gestione dei congedi. Che, introdotto adesso, porterebbe probabilmente al semplice raddoppio del periodo di congedo delle madri. Tanto per fare un esempio, se nascono dei gemelli ha diritto all’allattamento (2 ore al giorno per parecchi mesi) anche il padre, che se non si avvale di questa opzione non può passarla alla madre per raddoppiare il suo, di tempo di allattamento: sono ore che vanno semplicemente perse. Ebbene, qui da me siamo solo in due, padri di gemelli, ad aver chiesto e ottenuto questo diritto. Gli altri – ce ne sono, non tanti ma ci sono – hanno semplicemente lasciato dadere la cosa. Un po’ per paura di mettersi in cattiva luce con il capo, un po’ perché probabilmente la mattina non vedevano l’ora di uscire di casa, dopo una notte movimentata. Di questo passo non si fanno progressi, io credo che una qualche forma di imposizione sia necessaria, per cominciare a smuovere le acque. OK i padri separati (anche se alcune di queste associazioni sono niente più che accolite di paranoici), ma non va bene che un padre scopra il suo ruolo solo quando il figlio lo perde, a causa di una separazione. E quindi diamo a tutti l’opportunità di accorgersi da subito di cosa vuol dire essere padri, anche per forza. La libertà arriverà dopo, semmai.

  23. gli uomini durante la loro vita sopportano un carico di fatica fisica superiore a quella delle donne. guardatevi intorno, guardate ogni casa, ogni edificio, strada, opera architettonica e ditemi chi le ha costruite spaccandosi la schiena. e questo è anche il motivo per cui gli uomini hanno una vita media inferiore a quella delle donne.
    se volete la parità nei lavori domestici e familiari, sareste disposte ad avere la parità anche nei cantieri e nelle fabbriche?

  24. Alex, ma che c’entra? A parte il fatto che una donna non ha la forza fisica di un uomo; non tutti gli uomini si spaccano la schiena, come sai bene ci sono anche altri mestieri, come l’impiegato, l’avvocato, il notaio, il programmatore, ecc, ecc. Che mi dici?

  25. @Alex: analisi “per modo di dire” semplicistica e obsoleta. E comunque la minor durata della vita media maschile è ormai quasi universalmente attribuita a fattori genetici risiedenti nel DNA mitocondriale.

  26. Lo spot prende in giro anche le donne italiane, e fa bene. Il punto secondo me non sono i dati Istat in quanto tali, ma la qualità dell’educazione, il valore di fondo di “tu sei mio e lo sarai sempre”. Questo è tremendo, del rapporto madri-figli in questo paese. L’invadenza delle madri italiane nella vita dei figli anche quando diventano adulti non ha pari. Non si educano né donne né uomini al valore del volersi bene nella reciproca indipendenza. La “famiglia” si costituisce sulla dipendenza mutua, e questa chiave molto spesso apre la porta di tutte le sofferenze. Non c’è niente di casuale sul fatto che la mafia si basi sulle famiglie, la corruzione si basi sulle famiglie, moltissimi danni radicati nella società italiana sono riconducibili all’antropologia della famiglia patriarcale. Le famiglie sono un vincolo di dipendenza che produce sottomissione, in primo luogo delle donne e dei bambini, ma non solo, sempre più anche degli adulti giovani che paiono condannati a non poter crescere mai; oggi in salsa moderna prendiamo in giro il figliolo col cellulare e il bavaglino, ma il viso di quella donna che lo imbocca più che divertente è grottesco, e a mio parere la questione non è riconducibile soltanto alla posizione lavorativa e domestica della donna o alla compartecipazione dell’uomo alla vita familiare, è il tipo di legame affettivo che si costituisce fra genitori e figli che fa la differenza. In questi tempi di crisi, poi, la famiglia è l’unico rifugio che rimane, ma è anche la briglia che ci impedisce di incontrare altre persone con cui confrontarsi per costruire nuovi legami umani e nuove comunità di tipo alternativo e magari un po’ più rivoluzionarie, sperimentatrici di nuovi modi di stare insieme, volersi bene, educarsi. Scusate il pippozzo.

  27. @libera: ma resta il fatto che gli uomini si fanno carico dei lavori pesanti. le donne occidentali sono piu forti dei gracili operai e muratori giapponesi che hanno ricostruito il loro paese nel dopoguerra, quindi la minore forza fisica non è una scusa per essere esentate da certi lavori.
    @maurizio: una delle cause è il maggiore sforzo fisico degli uomini. infatti la vita media è cresciuta in modo costante negli stati uniti finché le masse agricole si sono riversate nelle città e le donne hanno smesso di fare lavori pesanti.

  28. più che rivoluzionarie basterebbero modi di volersi bene sani..un genitore che tratta un figlio adulto come fosse neonato non ama in maniera sana evidentemente e anche il figlio adulto che si crogiola in questo rapporto sbaglia

  29. maurizio: fino agli anni 20 in america la vita media era uguale per uomini e donne. all’epoca le morti di parto erano già irrilevanti nella statistica, per prevenire eventuali obbiezioni. fonte: The Myth Of Male Power.
    correggo la mia precedente affermazione: è anche questo UN motivo per cui gli uomini vivono di meno.

  30. Scusa Alex: il post parla dell’aspettativa di vita degli uomini e delle donne? Non mi sembra. Ora, visto che hai detto come la pensi e che Maurizio ha avuto la cortesia di risponderti, direi che la finiamo qui con l’off topic, va bene?

  31. il topic parla del carico di lavoro di uomini e donne. io ho ribattuto alla solita disinformazione riguardo alle donne che apparentemente lavorerebbero di più. poi ho risposto a maurizio. c’è inoltre da aggiungere che gli uomini fanno piu ore di straordinario e piu ore di pendolarismo, principalmente per mantenere le loro famiglie e non per loro stessi.

  32. Volevo giusto segnalare questa iniziativa niente male: (dal blog di Michele Gravino: http://gravino-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it/) Toponomastica femminile è un’iniziativa nata da un’insegnante di geografia, Maria Pia Ercolini, che ha notato come nelle città italiane solo una quota minima di strade, scuole, parchi, biblioteche e altri spazi pubblici sono dedicati a figure di donna. A lei si sono unite decine di studiose, amministratrici pubbliche, semplici cittadine (parlo al femminile perché sono in maggioranza donne ma c’è anche qualche uomo) per promuovere un censimento nazionale e fare pressione sulle giunte comunali per sanare almeno in parte il divario. http://www.toponomasticafemminile.it/

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