Nicola La Gioia firma oggi su Repubblica un articolo sui blog letterari, entrando in una polemica che sembrava arrivare fuori tempo massimo e in un momento in cui sono i social media ad attirare l’attenzione assai più dei lit-blog. Detto questo, resta vero che in alcuni luoghi della rete la discussione letteraria è viva più che mai, e anche la progettualità. Dunque, prima di lasciarvi alla lettura, aggiungo anch’io una segnalazione alle molte fatte da Lagioia: il secondo numero (terzo, se si conta la versione zero) del magazine Speechless. Ideato, diretto, impaginato da giovanissime (giovanissime sul serio), un milione e mezzo di contatti per la prima uscita. Un milione e mezzo, e forse si esagera per difetto.
«L’ascesa dei blog letterari danneggia la letteratura e rischia di abbassare il livello della critica». A parlare è Peter Stothard, direttore del Times Literary Supplement
e presidente di giuria del prossimo Man Booker Prize. Riportata di recente dall’Independent, la dichiarazione ha scatenato oltremanica le polemiche di rito sul dilettantismo digitale. «È bello che ci siano tanti book blogger», ha continuato Stothard, «ma essere un critico è diverso dal limitarsi a condividere dei gusti. Non tutte le opinioni hanno lo stesso valore». Il problema è che Stothard è a propria volta un blogger, e un suo avatar incontra Lara Croft in una special edition di Tomb Raider messa a punto dalla Core proprio in accordo col Times.
Al netto delle contraddizioni che erodono sempre più velocemente la membrana tra carta e web, se volessimo far nostre le accuse di elitismo che il mondo della Rete sta rivolgendo a Stothard, potremmo dire che in Italia – dove il mondo vive spesso rovesciato – è vero anche il contrario. Non di rado da noi le riflessioni più raffinate sui libri, le discussioni più complesse sull’industria culturale, i giudizi più appassionanti e disinteressati sulle ultime uscite sono on line. E spesso proprio a firma di addetti ai lavori.
È vero che la Rete è il regno del populismo e dell’insulto in progress, eppure ai margini di questo V cerchio sta guadagnando spazio un’aristocrazia senza terra da cui molti critici avrebbero qualcosa da imparare per venir fuori dalle posizioni di minorità in cui hanno contribuito a farsi mettere. Se in Italia la critica si lamenta infatti di qualcosa, non è di internet (mondo che spesso ignora) ma della propria perdita di influenza da imputare allo show business risalito fino alle terze pagine. Si valorizzerebbe ciò che si vende a chilo, e nell’abbraccio tra editori e organi di informazione resterebbe schiacciato il pensiero critico. Il che è vero fino a un certo punto. O meglio: sarebbe vero se a essere sacrificata fosse una critica in splendida forma. Cosa che spesso non è.
Nessun intellettuale si lascia scoraggiare dalle condizioni sfavorevoli per inseguire con meno ambizione i propri demoni. Bulgakov non avrebbe scritto Il Maestro e Margherita sotto Stalin, Gramsci i suoi Quaderni, per non parlare di come ha rifondato la teoria del teatro un grande emarginato al laudano di nome Artaud. Ecco, se il pensiero critico italiano avesse prodotto di recente – pure in cattività – il proprio Canone occidentale, la propria Menzogna romantica e verità romanzesca o anche il proprio Grado zero della scrittura sono certo che, rigenerati dall’ossigeno che ne sarebbe entrato, per un quarto d’ora ci saremmo disoccupati della pur triste dittatura delle classifiche. La banalità del fatturato si combatte a colpi d’eccellenza. Ma questo è accaduto poco. E nei rari casi in cui – con responsabilità e scarso senso del protagonismo – la critica ha lavorato sul territorio, i risultati si sono visti. Penso ai quindici anni della rivista Lo Straniero che hanno contribuito a portare allo scoperto, quando se ne occupavano in pochi, nomi come quelli di Gipi, di Saviano, di Garrone, dei Motus, della Socìetas Raffaello Sanzio. Ma al di là di altri sforzi irrituali (le classifiche di qualità di Pordenonelegge o la rinascita di Alfabeta, i cui frutti più maturi aspettiamo al varco) ho l’impressione che a volte il mercato sia stata la scusa perfetta per rassegnarsi a recensire libri in batteria, con poca voglia di avventura intellettuale e molta scuola del risentimento a zavorrare i pensieri.
Nella Rete che funziona sta accadendo il contrario. Ecco ad esempio che Helena Janeczek e Andrea Inglese su Nazione Indiana si prendono il lusso (e la fatica) di dedicare alle contraddizioni dell’industria culturale una lunga inchiesta a puntate che coinvolge scrittori, critici, sociologi, editori. Ecco che 404 File Not Found (blog di un gruppo di universitari senesi) dedica allo Strega una sezione in cui, con disarmato spirito di servizio, si parla solo di ciò che dovrebbe contare – i libri in concorso – magari per promuoverne uno su dodici e non occuparsene più. E cosa dire del dossier sull’Unità d’Italia messo on line da DoppioZero ? E delle nove puntate sull’eredità di Guy Debord ospitata da minima&moralia?
E del fatto che a volte le riflessioni di non addetti ai lavori su social network come
anobii mostrano tanta competenza, padronanza linguistica e capacità di mettersi in gioco? Sarà la libertà che si respira in Rete, capace (quando si parla di libri) di fortificare i talenti e squalificare chi è sprovvisto di un Super- io o di grammatiche adeguate. È un fatto però che sui migliori blog letterari i libri vengono affrontati evitando certi difetti endemici della critica istituzionale (anche selezionando il meglio di ciò che esce su carta). Farò qualche esempio. La lettura di un buon libro dovrebbe rappresentare un’esperienza: se ciò che sta tra copertina e quarta fosse già compreso nella filosofia dell’Orazio di turno, a che servirebbe aprirlo? Eppure trovare una recensione istituzionale che testimoni lo spostamento di sguardo conseguente alla lettura è impresa ardua. È raro trovare recensioni in cui non si prendano i libri come congegni da misurare (qui funziona, qui no), ma si indaghi la loro forza trasformativa nel mondo che li accoglie. Così, mentre la critica ufficiale lamenta la condizione di nani sulle spalle di giganti in cui verseremmo o rivendica un ruolo creativo di cui non offre sempre prova, laggiù nel cyberspazio c’è chi discute con libertà e competenza dell’ultimo romanzo di Walter Siti o di come Bolaño e Foster Wallace offrano al mondo nuovi schemi percettivi.
Ma al di là delle perplessità di Peter Stothard, la Rete per le lettere sta diventando un’oasi preziosa in ogni angolo del mondo. Basti pensare a La république des livres del critico, scrittore e giornalista francese Pierre Assouline, uno dei tanti blog ospitati dal sito di Le Monde ma di fatto seguitissimo con 15 mila visitatori al giorno. E cosa dire del blog del New Yorker, dell’influente e ormai autorevole Bookslut, o di Elegant Variation del blogger diventato poi scrittore Mark Sarvas (in Italia lo pubblica Adelphi), definito dal Guardian uno dei migliori spazi letterari on line?
Il ruolo dei mediatori resta fondamentale. Solo: i più bravi non si formano e non agiscono più soltanto nei luoghi in cui fino a dieci anni fa ci si sarebbe aspettati di trovarli. E se la Rete non è solo Boring Machines o Le parole e le cose (per citare altri due blog molto raffinati) ma soprattutto un territorio selvaggio dove l’analfabetismo di ritorno ingrossa la marea, ricorderò che i più avvertiti reagirono alle invasioni barbariche dando alla luce Venezia.
Io cerco di vivere il virtuale come il reale, seleziono le persone e i luoghi che frequento. Seguo solo una decina di blog e ho poche “amicizie” sui social.
In questo modo elimino quasi completamente le orde e costruisco una mia Venezia virtuale. Riguardo poi alla critica io, discorso ovviamente personalissimo, non ne sento la mancanza in rete. Quello che cerco sono persone con le quali posso parlare di libri e scambiare consigli. Devo dire che in rete ho sempre trovato dei buoni consigli per le mie letture. L’ultimo libro consigliatomi è stato Le parole perdute di Amelia Lynd e mi è piaciuto assai.
Quindi posso affermere di essere “letterariamente” contento di questo web, anche se i margini di miglioramento ci sono e sono tanti. 🙂
Ho qualche piccolo problema e qualche perplessità con il dibattito che si è sviluppato a partire dall’articolo di Stothard.
Precisamente mi domando se i molti commentatori che hanno ragionato a partire dalle sue posizioni abbiano davvero chiaro il panorama del web letterario britannico a cui, immagino, Stothard faccia riferimento.
L’ecosistema web italiano e quello inglese sono davvero equiparabili, per storia, dinamiche e protagonisti?
Mi permetto soltanto di dire che per quanto concerne la realtà anglosassone il blog del New Yorker è ben lontano da tempo dal mondo delle Lettere e che Elegant Variation è oramai zoppo, forse un paio di anni fa poteva il Guardian avere ragione, ora no di sicuro.
Dico questo perché anche la blogosfera letteraria muta celermente, anche quella italiana a ben vedere…
Condivido tuttavia numerosi punti dell’articolo.
Credo che il problema dei lit-blog italiani sia che la maggior parte dei blogger non fa che copia-incollare le newsletter che le case editrici inviano per ricevere qualche libro omaggio con cui riempire le mensole di casa.
Non sono tanti quelli che forniscano recensioni dettagliate o approfondimenti degni di nota.
Per potermi tenere aggiornata il più possibile di lit-blog ne seguo davvero tanti (forse troppi) e devo ammettere che sono solo una decina quelli ad appassionarmi concretamente – tra cui ci sono proprio quelli che hai citato.
Sulla qualità della blog-scrittura in campo letterario sarei anche daccordo con Lagioia. Il fatto è che ci si dimentica sempre di sottolineare quanto tutta questa produzione sia scarsamente influente sulle politiche letterarie delle case editrici e soprattutto dei governi. In altre parole, la scrittura critica è libera e spesso feconda nel momento in cui ha probabilmente esaurito la sua storica funzione. Il capitale serra le fila, e i polli di Renzo sono liberi di starnazzare, nella loro gabbia dorata e autoreferenziale.
Ciao Loredana, volevo solo segnalare che il link al bel blog di Gianluca Didino (Boring Machines) è boringmachines.org e non boringmachines.it
Grazie!
Tra poco più di una settimana mi presenterò a un esame di accesso al dottorato in Scienze del linguaggio e della comunicazione con un progetto di ricerca incentrato proprio su questo tema: l’informazione culturale tra carta stampata, web, eventi. Leggere questo articolo, quindi, mi rincuora: se ne parla, c’è davvero un cambiamento in atto e, chissà, tra qualche anno forse il panorama editoriale sarà mutato in un modo che ora immaginiamo solo vagamente.
Sfrutto questo spazio: pian pianino e a partire da scarsi mezzi, sto promuovendo con giovani studentesse e neolaureate un progetto nuovo, che vive sul web ed è visitabile qui: http://www.artintime.it C’è una parte dedicata ai libri: ci piacerebbe strutturarla al meglio, per proporre davvero una critica di qualità!
Io sono spuntata come un fungo con il mio blog nel bel mezzo della calca dei blog letterari. La cosa che mi ha sbalordito di più è aver trovato tutto un mondo di lettori e scrittori accaniti e affamati, a volte sotterrati. Quello che invece mi da molto fastidio è la dilagante mutazione di ciò che è il giudizio e la recensione in se. Troppo spesso i blog diventano solo muri dove “appiccicare” le novità senza dare un senso all’autore e al libro. Troppo spesso ci improvvisiamo audaci giudici vestiti di autarchico perbenismo. Ho lottato nella community ilmiolibro.it contro una sedicente lettrice/talent scout per farle capire che una recensione ad un libro non è il sunto delle prime 20 pagine, e lei mi ha risposto che ” è normale per lei leggere solo le prime 20 pagine” e poi dare una recensione (Avendo anche scritto alla redazione del sito nonho avuto alcun riscontro mentre sono stati moltissimi gli autori a scrivermi e sostenermi). Credo che il problema di fondo ormai sia nell’aver capito che il social rewiev, così lo chiamo, può portare buone prospettive economiche anche alle case editrici. Per una volta però non mi trovo daccordo con l’amico Wilde e non credo che sia un vantaggio per il libri il “basta che ne parli”.
Colgo l’occasione per ringraziare anche qui Loredana, oltre che per il bellissimo ricordo di Chiara Palazzolo, pubblicato su Speechless 2, anche per la disponibilità per l’intervista che abbiamo fatto per Diario di pensieri persi (la fucina web da dove è nato Speechless). Grazie a lei e a tutti gli entusiasti lettori che contribuiscono ogni giorno a far crescere e conoscere il nostro lavoro 🙂
Elisabetta Ossimoro
(redattrice di Speechless e Diario di pensieri persi)
Uffa, ‘sto post mi sarebbe servito qualche giorno fa. Pazienza, è molto istruttivo. Arrivando alla letteratura da studi di estetica mi sono scontrato spesso con quella che è “tecnicamente” considerata la critica letteraria, e non ho mai nascosto che in gran parte quelle incomprensioni fossero dovute alla mia preparazione, che porta con sé qualche inevitabile pregiudizio – reciproco, tra l’altro. Poi però leggo cose come questa che mi convincono che nella critica letteraria (soprattutto in Italia) c’è qualche grosso problema da molto, e sarebbe il caso di occuparsene non solo per questioni di marketing o di diffusione: girano proprio delle gran teste vuote, e mi permetto di azzardare che la percentuale sul totale è decisamente più alta che in altri settori degli studi umanistici.
Complimenti a Speechless, che “nel mio personalissimo cartellino” (cit.) tra le riviste entra subito nella categoria migliore, cioè: “Mortacci!”, mentre il pezzo di Stothard invece cade nell’ultima: “Ma de che?”, anche se indubbiamente, come suggerisce sopra El_Pinta, è evidentemente legato a un panorama letterario diverso.
Dàje così.
L’articolo di Nicola Lagioia è sicuramente interessante, l’analisi precisa. La cosa che mi lascia perplesso è che si facciano sempre i soliti nomi quando si citano le riviste e i blog. Lo scorso anno era capitato con una articolo di Christian Raimo su minima et moralia. Qualche giorno fa con Lagioia. Allora più che analisi vere e proprie sembrano quasi riflessioni casuali per citare amici e conoscenti. Ora la mia osservazione non vuole togliere niente al dibattito ma aggiungere qualcosa. Qualche ulteriore nome per esempio. Nessuno per esempio cita mai Giudizio Universale (www.giudiziouniversale.it) che da qualche anno propone articoli di cultura e di opinione davvero interessanti. O ancora Flanerí (www.flaneri.com), che, nata due anni fa, se non sbaglio, si sta affacciando in maniera consapevole e seria sul mondo delle riviste culturali. O infine Cadillac (www.rivistacadillac.com) che unisce web a copie cartacee con interviste e approfondimenti degni di nota.
Anche questo è il mondo delle riviste online… fare sempre i soliti nomi trovo sia limitativo e leggermente sospetto.
Grazie per l’attenzione.