METTETEVI COMODI: PARLIAMO DI SPOILER

Per terminare la settimana, qualcosa di leggero e di straordinariamente divisivo. Gli spoiler.
Diciamo subito che io non faccio testo. Sono una lettrice così curiosa che più di una volta mi è capitato di sbirciare le ultime pagine di un libro per scoprire il finale: non faccio testo, dunque, perché quello che mi interessa in una storia non è come finisce, ma il modo che chi scrive adotta per arrivare fin là. Volendo, la vecchia storia del viaggio che vale più della meta. Lo spoiler, invece, è ormai il grande timore non solo degli appassionati di serie televisive o dei cultori di cinema, ma anche dei lettori.
Scrive Jacob Brogan per Slate che prima del ventesimo secolo la parola “spoiler” aveva il significato di “devastatore”. In effetti qualcosa di simile è rimasto nel suo significato attuale. Provate incautamente a dire qualcosa (non tutto, qualcosa: un cenno appena) su una puntata di Game of Thrones che altri non hanno ancora visto e rischierete, se non la vita, la solidità delle vostre amicizie. Anche adesso che la serie è finita. Questo, nonostante George RR Martin in persona si sia dichiarato perplesso sulla faccenda: “Sì, c’è un piacere quando leggi un libro, o guardi uno show in tv – Cosa accadrà ora? Chi vincerà? Chi perderà? Ma in nessun modo è l’unica ragione per guardare un film o una serie. Non è l’unica ragione per leggere un libro”.
Ora, ci sono storie che prevedono la suspence e il colpo di scena. Rivelare la soluzione di un giallo, o il segreto di un enigma, o il capovolgimento di una situazione può indubbiamente venir vissuto come una ferita, o comunque come un dispetto. Anche se personalmente non ne sono turbata, non racconterei il finale del Barile di Ammontilado di Poe, nè quello di The Stand di Stephen King (a proposito, ecco cosa pensa King degli spoiler: “You might as well say ‘I’m never gonna watch Wizard of Oz again because I know how it comes out'”).
Ma stiamo parlando di casi dove la suspence va mantenuta, e dove il piacere del lettore si basa sulla sorpresa (anche, e non sempre, e non per tutti). Altra faccenda è la fobia da spoiler che riguarda tutta la produzione letteraria: perché, almeno e ancora una volta e per tutti i secoli a venire a mio parere, nella maggior parte dei casi conoscere la trama, finale incluso, non pregiudica il piacere del lettore. Andiamo sul facile: Jacopo Ortis si suicida, i Promessi sposi si sposano, Orlando non impalma Angelica, i Buddenbrook si disgregano, Pinocchio diventa un bambino vero, in Domani nella battaglia pensa a me una donna muore nel corso di un incontro galante. Cosa cambia, adesso, o lettori?
Ho già raccontato molte volte della tirata d’orecchie ricevuta a Pordenonelegge di qualche anno fa perché, nell’incontro con David Leavitt, ho parlato del finale del suo I due Hotel Francfort. L’ho fatto – e non me ne pento minimamente – perché ritenevo che fosse indispensabile per capire, insieme a lui, il personaggio principale del romanzo, e perché ritenevo e ritengo che la bellezza del romanzo stesso non fosse certo nella sorpresa, che peraltro tale non era, visto che la maggior parte delle interviste americane affrontava serenamente quel punto. Nè, del resto, conoscere la trama ha impedito a svariate centinaia di persone presenti di acquistare il libro (che stramerita, sottolineo).
Ancora. Perché molte volte, quando intervisto una scrittrice o uno scrittore, qualcuno mi supplica di non raccontare il libro. Ma allora, mi chiedo, perché fare interviste? Perché ascoltarle? Perché andare alle presentazioni? Di cosa si dovrebbe parlare, con un autore, se non di quel che ha scritto? Della sua vita privata? Di un concetto astratto di letteratura? E mi chiedo anche quanto l’abitudine alla suspence abbia capovolto una consuetudine secolare di lettori che sapevano perfettamente come si svolgeva la storia che si accingevano ad affrontare. Anzi, secondo alcuni studiosi, conoscere il finale può addirittura aumentare la tensione: se so che Edipo sta commettendo incesto o che Amleto morirà, voglio sapere il COME. Voglio godere la soluzione scelta per un esito noto, perché è qui che mi meraviglierò.
Esiste un diritto del lettore a non sapere? Benissimo, ma invece di rivendicare sempre e comunque questi benedetti diritti, il lettore dovrebbe chiedersi perché, soprattutto negli ultimi anni, viene indotto a considerare ogni testo narrativo e letterario come un serial a puntate. Poi, può tranquillamente decidere di non ascoltare interviste e non frequentare presentazioni pubbliche per mantenere intatta la sorpresa. Non può, però, ingabbiare l’approfondimento letterario tra le stesse sbarre in cui è costretta la critica televisiva e cinematografica: non per tutti i libri, almeno. Perché Nathan Zuckerberg e Jon Snow sono diversi, anche se li amo entrambi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto