MINUETTO DEL WEEK END: FANNY, ALEXANDER, HUNTERS E NOI

Si potrebbe fare come Isak Jakobi, l’antiquario di Fanny e Alexander che con un’invocazione al Dio degli eserciti e delle magie fa sparire i due bambini. Si potrebbe fare come Meyer Offerman di Hunters e imbracciare il fucile per eliminare tutti i nazisti che circolano allegramente per gli Stati Uniti. Si potrebbe non fare niente di tutto ciò.
In realtà, allo scoccar della fine della quarta settimana, le reazioni sono diverse, e in genere ogni reagente sostiene che la sua è quella giusta. In ordine sparso: inferocirsi con il mondo tutto, inferocirsi con chi ha serie responsabilità su quel che è avvenuto (vedi Arzano. Ma quello non è inferocirsi: è chiedere giustizia, e si spera che quella giustizia, prima o poi, arrivi), inferocirsi con chi esce di casa “con le mani insanguinate” (mi ripeto, ma da quando mi hanno detto che sono insanguinate le mie perché sono uscita a fare la spesa, me la sono segnata: non con spirito vendicativo, ma con abissale sgomento), inferocirsi con i bambini, con i vecchi, con i cinesi, con i pipistrelli. Con Michela Murgia, così, tanto per. Con chi non si inferocisce. Oppure: deprimersi piangendo, deprimersi tirando la casa a lucido, deprimersi su Facebook, deprimersi su Instagram, su Twitter, su Zoom. Oppure: fingere indifferenza continuando a lavorare, fingere indifferenza cucinando, truccandosi come per una prima a teatro. Oppure: preoccuparsi moltissimo e continuare a ripetere che andrà tutto bene, preoccuparsi moltissimo e dire che non andrà affatto tutto bene e che se sopravviveremo alla pandemia non sopravviveremo alla povertà, preoccuparsi moltissimo e dire che comunque la vita è bella.
Go hence, to have more talk of these sad things;
Some shall be pardoned, and some punished.
Shakespeare, Romeo and Juliet, V, III.
Ci sono tutte queste reazioni in me. Provo a far vedere pubblicamente quelle positive forse perché sono cresciuta con il teatro e da ragazzina ho immaginato il teatro nella mia vita: e a teatro si mente, assai più che in letteratura, e mentendo si dice la verità. Dunque quella che mostro è la parte che desidero gentile di me stessa. Ma non è del tutto così, né potrebbe essere altrimenti. Semplicemente, non c’è un solo modo per reagire a qualcosa che fin qui abbiamo immaginato solo negli incubi delle storie e della storia: c’è chi si consola con il metal e c’è chi prova a farlo con un minuetto.
Buona Pasqua, a proposito.
Ei Blot Til Lyst, ancora a proposito, è il motto che campeggia sul teatrino di Alexander: è lo stesso del Kongelige Teater di Copenhagen. Significa, più o meno, “non solo il piacere”: il teatro, insomma, non rallegra soltanto. Fa piangere, e pensare, e per questo non morirà mai.
«Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono. Su una base insignificante di realtà l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni.» (Helena Ekdahl legge ad Alexander Il sogno di August Strindberg)

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