MONTAG E IL CALLA

Vediamo se riesco a scrivere un post altamente impopolare. Tutto nasce dalla visione di Fahrenheit 451 secondo Luca Ronconi, naturalmente dal romanzo di Ray Bradbury. Versione teatrale splendida (pur se concede molto più, nel finale, al film di Truffaut piuttosto che al libro), scenografia perfetta (un pavimento a griglia, su cui appiccare il fuoco a piccoli e grandi roghi), Elisabetta Pozzi nel ruolo di Clarisse/Faber da applausi. Elemento di disturbo, non indifferente: una classe delle superiori evidentemente annichilita dal testo, che ha passato il tempo a lampeggiare con i cellulari come durante un concerto pop e a saltellare fra i palchi.

A differenza dei moralizzatori full-time (quelli del famoso deserto emotivo indotto dalla tecnologia, del calo d’attenzione fra gli adolescenti, dell’omologazione della generazione Moccia, e ohcielo! su Internet mi diventano cubiste!), ho un piccolo dubbio che parte proprio dal testo di Bradbury. Che, a modesto parere della vostra eccetera, è un testo magnifico, quanto frainteso e semplificato  fino a diventare il vessillo del bravo librofilo, il quale, va da sé, non può non sentirsi automaticamente dalla parte dei giusti.

Ma Fahrenheit è tutt’altro che un romanzo banale, tutt’altro che un romanzo che divide nettamente il bene (i libri) dal male (la televisione): che è centrato molto sulla comunicazione fra individui oltre che sul sapere letterario (assenza della medesima o sua assoluta parzialità  nella diffusione di notizie: anche determinanti, come quella della guerra nucleare conclusiva).

Ora: imporre un testo simile, e relativa trasposizione scenica, come – se immagino bene – viatico verso l’amore per la lettura potrebbe essere un boomerang, come ho avuto modo di constatare ieri mentre gli sbuffi di insofferenza dei ragazzini si espandevano di palco in palco. Forse sono vecchie fisime della vostra eccetera: ma ripetere che “bisogna” leggere piuttosto che sostenere che leggere “è bello” non produce necessariamente effetti positivi.

A chiosa, un brano della Torre nera: come annunciato, sono in rilettura ufficiale da gennaio, e, arrivata a I lupi del Calla, ho scoperto che mi ero completamente dimenticata di questo:

 
“Queste storie si chiamano ‘fiabe’”, commentò Roland.

“Sì”, confermò Eddie.

“Ma non sono più inventate di tutte le altre”.

“No”, convenne Eddie. “E’ soprattutto un modo per catalogare un genere. Nel nostro mondo ci sono i gialli e i polizieschi…i racconti di fantascienza…i western…e le fiabe. Capisci?”

“Sì. Questo perché nel vostro mondo la gente vuole sempre un sapore per volta? Un solo gusto sotto il palato?”

“Credo che si possa dire così”, gli rispose Susannah.

“Nessuno mangia il minestrone?”, chiese Roland.

“Qualche volta, per cena”, disse Eddie. “Ma in fatto di intrattenimento abbiamo la tendenza a limitarci a un sapore per volta, e che nulla di ciò che hai nel piatto tocchi qualcos’altro. Anche se messa così sembra una gran barba”.

11 pensieri su “MONTAG E IL CALLA

  1. Tre urrah per un post sulla lippertura!
    Come esercizio mentale, ne traggo un possibile titolo per un immaginario autore ibrido tra Derrida e Genna: “imporre l’amore – per i libri” e mi godo l’ipotesi.

  2. Montag, primo giorno della creazione, “È” la scoperta della meraviglia dell’universo dal leggere. E quasi adolescente e come ogni adolescente, di fronte a questa inaspettata epifania, subisce una rapida quanto devastante metamorfosi.
    Comprendere infatti che gli occhi della mente possano aprirsi a “l’Infinito, Universo e Mondi” (oggi è la ricorrenza del rogo -guarda caso- di Giordano Bruno), e che possono aggiungere alla meraviglia anche il proprio “punto di vista”, porta inevitabilmente alla passione che si rinnova nel ricordo e nella perenne scoperta, attraverso la riflessione, delle pagine di un libro, che è quello che succede alla comunità delle “persone-libro” nell’epilogo del romanzo.
    Credo, quindi, sia molto più importante far scoprire il libro adatto, più che un’esortazione generica, o peggio una costrizione, alla lettura.

  3. In effetti, il romanzo “Fahrenheit 451” è, ancor più che una appassionata difesa dei libri, una appassionata difesa delle storie, dell’atto di narrare. Lo si vede nel dialogo tra il capo dei vigili del fuoco e Montag, quando il primo rivela con palese disgusto di averne letto qualcuno, di quei famigerati libri, e di averci trovato storie di persone che non sono mai esistite e mai esisteranno. Una simile, ancor più appassionata difesa la si ritrova in un racconto di “Cronache marziane”, “Usher II”, ove Bradbury palesa il suo amore per le narrazioni fantastiche e meravigliose (e fa una tirata micidiale contro il realismo letterario, Hemingway e compagnia cantando).

  4. a me pare di fondamentale importanza, nel romanzo, l’esigenza di Montag di “ricreare” il mondo secondo un diverso codice intrpretativo: es. scoprire la nuova funzione positiva del fuoco.
    è significativo poi il fatto che il capo dei vigili, pur rifiutando storie di persone che non sono mai esistite e mai esisteranno, ha l’esigenza di assecondare il sistema inscenando la finta uccisione di Montag. un universo ipocrita che merita di essere riscritto/distrutto

  5. Negli atteggiamenti verso il libro c’è spesso una sorta di sacralità, che come dice la nostra eccetera è spesso un boomerang. A volte noi lettori abbiamo un atteggiamento tale da far ritenere la lettura un “dovere”, e conseguentemente giudichiamo negativamente chi ne viene meno.
    Forse vale la pena di ricordare una frase di Pennac (“Come un romanzo”), come una specie di Linea Guida per far capire che leggere è bello:
    Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere

  6. La frase di Gigi:
    “Credo, quindi, sia molto più importante far scoprire il libro adatto, più che un’esortazione generica, o peggio una costrizione, alla lettura.”
    mi sembra centri bene il problema d’avviare i giovani alla lettura, cioè individuare testi-grimaldello, attraverso i quali far loro scoprire la “meraviglia del leggere”.
    Però. Per un breve periodo a seguito di un incidente sono stato nella biblioteca della mia scuola. Ricordo pochi libri chiesti per scelta completamente libera: “Tutti giù per terra” “L’Alchimista” “Tre metri sopra il cielo” “Jack Frusciante” e un pò di Benni. Ah, e poi un po’ di fantasy.
    Pur personalmente schifandoli (tranne Culicchia e Benni) ero contento che comunque i ragazzi leggessero qualcosa, poteva sempre essere la chiave per entrare nel nuovo mondo.
    Ma se mai tornavano era per richiedere l’ultimo Moccia o un altro Benni.
    Vorrei anche segnalare (mi pare d’averlo già fatto) la caduta verticale nei prestiti (dell’80%) da quando si sono diffusi i PC e le playstation.
    Mi sa che i libri l’hanno avuta: l’informatica di consumo ha funzionato meglio dei lanciafiamme.

  7. Primo. Non sapevo affatto cosa fosse questa saga di King e vista l’ispirazione anche leoniana non potrò non calarmici a pesce!
    Secondo. Credo che quegli adolescenti (generalizzando) si annoierebbero anche guardando il film di Truffaut che – non ho visto l’adattamento di Ronconi – posso immaginare più accattivante della trasposizione teatrale. Sono abituati ad altri ritmi di narrazione e di concentrazione, come spiegava meglio di me anche Baricco in qualche episodio de “I barbari” [http://www.repubblica.it/rubriche/i-barbari/index.html]
    Terzo. Non penso che il testo di Bradbury fosse contro alcune forme di rappresentazione (come la tv). Ho letto il libro parecchi anni fa, ricordo con precisione due emozioni forte scaturite dalla lettura: 1) l’angoscia per quel mondo degli uomini-libro, una piccola speranza di “salvati”, ma di fatto una sorta di condanna 2) la forza con cui si ribadisce l’importanza della memoria umana che è nascosta nei libri (discorso estendibile a film, quadri, musica).
    Quarto. Un caso simile a questo avvenne una decina d’anni fa quando uscì “Romeo + Juliet” di Baz Luhrmann, che tentò di riavvicinare il pubblico inglese al testo shakespeariano cambiando ambientazione. All’epoca ero adolescente e il film piacque tantissimo ai miei coetanei, nonostante fosse appunto recitato in versi. I critici ortodossi si scandalizzarono (non solo qui da noi): per via dell’estetica da “Pulp Fiction” e perché secondo loro veniva traviato il senso della tragedia originale. Qualcuno disse: se questa è l’unica pillola con cui far ingerire il Bardo ai giovani d’oggi, allora meglio che si leggano altro…

  8. Cosa c’è di più bello nella fusion, in musica, in letteratura e… in cucina?
    Il perfetto dosaggio – in un unico disco, in un unico libro, in un unico piatto – dei sapori e dei saperi del pianeta è appannaggio di soli grandi artisti.

  9. Ho letto il primo episodio de “La torre nera”. Come si direbbe in un linguaggio non convenzionale “spakka”. Richiami cinematografici a gogo. Mi ha fatto sorridere la storia dell’uomo nero alla fine perché sono le stesse frasi che usa il Don Pizarro di Guzzanti…
    Spero soltanto che il buon King non crepi prima di aver finito la saga sennò mi deprimo tantissimo.
    Grazie per il consiglio.

  10. Fortunatamente la saga è finita. O sfortunatamente, a seconda dei punti di vista (io, per esempio, ne vorrei ancora…).

  11. Bastian Balthasar Bux docet…
    Ho notato una cosa strana leggendo la narrativa epico-fantastica (anche di fattura non eccelsa). Non so se capita anche ad altri. Quando arrivo all’ultima pagina il rammarico e la tristezza perché la saga è finita sono enormi (anche se finisce con la vittoria del bene, come spesso accade). Ma lo stesso sentimento non mi coglie terminando un qualsiasi altro romanzo, anche se si tratta di un capolavoro che mi ha sconquassato. E lo stesso capita al cinema (con “Indiana Jones” o “Star Wars”, per esempio).
    Evidentemente la voglia di continuare a vivere quelle avventure travalica anche la completezza del romanzo. Quando arrivai alla partenza di Dantes da Parigi, non pensai “Noo…”, ero contento, sazio. Quando lessi ne “Il visconte di Bragelonne” la fine dei 3 moschettieri avrei dato un braccio per poter leggere, che ne so, il sequel di Athos & friends nell’aldilà…
    Credo dipenda in gran parte dai gusti personali. Ma penso anche che l’eroe epico (e quindi, sostanzialmente, il “reale” eroe) produca molta più “dipendenza” nel lettore di quanto riescano a fare eroi tragici, romantici, o comici.

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