MOTIVAZIONI

Leonardo Sciascia, da varie opere e interviste.
L’intellettuale in Europa aveva un potere ed io credo che il vertice di questo potere sia stato esercitato da Zola e dai firmatari dell’appello di Zola al momento del processo Dreyfus. Poi è venuto l’inquinamento partitico, l’impegno devoluto alla sinistra: e ha molto inquinato, questo potere dell’intellettuale. Oggi il potere è in tutte altre mani, il potere è la televisione, il potere è la casa di moda. L’intellettuale non ha più nessun potere, comunque io continuo a scrivere come se ci credessi.
Non credendo, dunque, di far parte di una categoria, corporazione o sindacato, se qualcuno mi corre dietro chiamandomi “intellettuale” non mi volto nemmeno.
Certo, io mi sento “impegnato”: ma con me stesso e con gli altri “me stessi”. I due più grandi scrittori impegnati che io conosco sono André Gide e Georges Bernanos, ed essi lo furono veramente, fino in fondo. Tuttavia, il primo, che si sentiva comunista, scrisse la verità sull’Unione Sovietica, e il secondo, che era cattolico, scrisse contro il mondo cattolico che esaltava la crociata di Franco. Ben vengano dunque gli intellettuali impegnati, ma purché si battano sempre contro il Principe, contro i Poteri, contro le Chiese, anche se si tratta di quelle in cui credono.
Voglio quel che non c’è mai stato e che evidentemente non c’è; e che continuando si fa meta sempre più lontana. Il che mi fa ancora e sempre apparire come un pessimista: e pare non sia permesso esserlo neppure di fronte al pessimo.

22 pensieri su “MOTIVAZIONI

  1. Sono felicissimo del tuo impegno e, già te lo dissi, della gentilezza della tua intelligenza. Tra gli intellettuali che citi e che riconosco, da Zola ad altri contro le ingiustizie del potere e le loro campagne mediatiche, non c’è nemmeno un intellettuale italiano e primo fra questi mi vien da pensare ad un grande, anzi due: Pasolini e Luce D’Eramo. entrambi fuori dalle logiche pervasive e divoranti dei partiti intesi non più in senso gramsciano (altro intellettuale forse troppo organico). Penso a grandi e quotidiani insegnanti come Mario Lodi di cui oggi piango la scomparsa, non la perdita che non ci sarà mai. Penso a Milani e a quello stesso Sciascia che oggi ci permette di ragionare con un barlume, malgrado e forse impotente, di intelligenza. Il potere che accusi si basa sulla visibilità comunicativa. La forza del cambiamento che auspichi e che mi ritrova incondizionato compagno di strada si basa sulla capacità efficace, anche se invisibile, di organizzare strati e strati di consapevolezza e di coscienza nella speranza pessimista che deflagri in atti di sublime trasformazione e cambiamento “radicale”.

  2. il problema nasce quando i piccoli intellettuali crescono;tra le esantematiche apocrife esiste la sindrome del babbuino (quella sindrome per cui “gli amici dei miei amici sono anche amici miei”,cfr giorgio triani).Quando uno viene contagiato non guarisce mai del tutto salvo casi di redenzione mistica. La mia non è comunque una demonizzazione,di solito si è troppo giovani per non commettere errori,o troppo ingenui. Però un intellettuale con dei debiti non culturali è un’intellettuale a metà
    http://www.youtube.com/watch?v=kdOAcrEdcAg

  3. E’ sempre immensa la consapevolezza (amara) dell’onesto intellettuale impegnato,(con se stesso) a scavare sino alla fine del “suo” viaggio, nella “sua verità” annidata nei labirintici tortuosi d’un molteplice Io e in quella storica sempre troppo sfuggente per comprenderla nella sua essenza fatta di coerenti o mutevole sfide in sapore di tradimento.
    Un abbraccio e col cuore BRAVA. Mirka

  4. “Voglio quel che non c’è mai stato e che evidentemente non c’è”. Parole forti, parole che emozionano. Falle tue, Loredana!

  5. Beh, penso che l’impegno porti (anche) a questo:proseguire un’azione e cercare di superare dei limiti …
    Penso che quando si arriva ad un certo punto sia naturale, è un modo di ‘prendersi cura’ del prossimo. Fare qualcosa per gli altri, un po’ come ha fatto Pupa, no? Buona avventura e sostegno sincero 😉

  6. ecco ha ragione Paola Di Giulio: c’è bisogno di un’intellettuale come Pupa. e tu sei Pupa perché segui le tradizioni e gli insegnamenti di tutte coloro che si sono prese carico e cura. Coraggio e congratulazioni.

  7. Sfogli il tuo blog che trovo prezioro pe forma e contenuto. Provo solo un pm di rabbia per l’impotenza a scrivere su di te sul mio blog,forzatamente blocàto da ingiusa quanto inspiegabile censura,io troppo impegnata su cose inderogabili e serie per attivarmi ad awioni contro questi abusi di basso potere. Ma…me lo riserverò come obbligo di “precisa” identità,appena possibile. Ancora brava, Mirka (Bianca2007)

  8. Un po’ deboline, come motivazioni. E, per quanto stimi Sciascia come scrittore e intellettuale, non penso siano le sue righe più felici.
    Tutto il discorso si fonda su un’illusione, secondo cui il “potere” degli intellettuali avrebbe una fonte in qualche modo autonoma rispetto alle forze sociali in campo in una data fase storica. Una visione totalmente idealistica (nel senso marxiano del termine), dove sono le idee a fare la storia e non viceversa (come in realtà è, ci piaccia o no).
    A cosa deve, l’intellettuale, la sua “influenza” sulle opinioni o sulla società? Al fatto di aver letto o scritto tanti libri, o al fatto di vivere in un sistema economico e sociale che gli consente di campare leggendo o scrivendo libri (o facendo film, suonando uno strumento, recitando a teatro ecc.)? E questo sistema non è fatto proprio di Principi, Poteri e Chiese?
    Con questo non intendo dire che un intellettuale è per forza di cose un venduto o un servo. Questa condizione generale non è incompatibile con il fatto che alcune di queste figure possano anzi schierarsi nettamente dal lato della contestazione, e possano anzi essere, per la contestazione, delle preziosissime teste di ponte. Il mio punto è un altro: non c’è nessuna sorgente autonoma del “potere” o dell’influenza degli intellettuali, che sono più lo specchio della società in cui vivono che i demiurghi di una qualche società futura.
    Questo dato si mostra con clamorosa evidenza nel caso degli intellettuali “arruolati” nella Lista Tsipras. Che mi semrano talmente pieni di illusioni riguardo al proprio ruolo nella società da non porsi minimamente il problema – ad esempio – di spingere affinché questo progetto politico si dia una base sociale ampia e solida, di modo da poter camminare sui propri piedi e da potersi dare un minimo di continuità oltre la scadenza elettorale.
    Sempre che di “progetto politico” si possa parlare, dato che questa lista sempra, al momento, poco più che una effimera avventura elettorale.
    Ma, vista anche la citazione di Sciascia, mi vien quasi da pensare che per gli intellettuali che hanno deciso di impegnarsi in questa avventura politica “programma politico” e “base sociale” siano addirittura delle parolacce – robe troppo “da politici”, insomma. Ma allora perché impegnarsi politicamente, se della politica si rifiuta persino l’ABC – visto che a conti fatti poi ci si salva sempre la faccia con la scusa di “fare un altro mestiere”?
    Sarà un caso, ma l’unico settore di società in cui questa Lista ha qualche speranza di prendere dei voti (perché è li che da ormai diversi anni prendono la quasi totalità dei loro voti progetti politici simili) è quel settore di ceto medio progressista che vive nell’illusione di poter conciliare capitalismo e giustizia sociale, iniziativa privata e controllo democratico, UE e modello sociale europeo… magari alleandosi con la magistratura in nome del Diritto e della Costituzione o mandando qualcuno al Parlamento Europeo nella speranza di cambiare il quadro istituzionale della UE “dall’interno”.
    Curioso che vengano candidati, o che si siano offerti come “endorser” del progetto, tutte le “sacre icone” di quel ceto medio progressista che, a forza di coltivare illusioni, non sa più distinguere fra uno teatro e un Parlamento, tra un saggio e un manifesto politico, tra un romanzo e un’inchiesta giornalistica.
    Certo, non manca la lavoratrice per accontentare i palati più radicali e più “vetero”; che tuttavia viene candidata rispondendo in fondo alla stessa logica puramente esteriore che sta dietro le candidature “celebri”: ossia piazzata là più come “simbolo” generico che per il fatto di *rappresentare* effettivamente la sua classe (il che richiederebbe ben altro radicamento sociale e ben altra storia), o per essere portatrice di una prospettiva politica spendibile nella tribuna del Parlamento Europeo.
    Curioso poi che, in nome della difesa dell’Europa senza se e senza ma, la tanto celebrata Barbara Spinelli (già difensore convinta dell’intervento militare in Kosovo, è bene ricordarlo), prospetti addirittura come possibile un’alleanza con i Liberali… vale a dire, con alcuni tra i più convinti sostenitori dell’austerità e delle privatizzazioni! Questo, per avere un’idea della… chiarezza d’idee che sta dietro a questo “bel” progetto.
    Insomma, Loredana, sinceramente: in che pasticcio si è messa…?

  9. Gentile Don Cave, ho la sensazione (solo la sensazione, per carità) che le parole di Sciascia possano essere interpretate a seconda del punto di vista assunto in partenza. Lei ha le sue critiche, più che legittime, io le mie, in fieri, motivazioni. Forse sarà anche un pasticcio: io la vivo come la possibilità di poter fare qualcosa di concreto, e di abbracciare la pars costruens. Non ho particolari illusioni sul ruolo degli intellettuali nella società: ne nutro, forse vanamente, sulle cose che si potrebbe tentare di fare. Quanto alla classe: io appartengo a quella popolare, anche se il pregiudizio sugli intellettuali li prefigura riccastri e annoiati. Dunque, quando si parla di povertà, so di cosa parlo, mi creda.

  10. Non mi sembra di aver mai dipinto gli intellettuali come “riccastri e annoiati”, né di aver mai chiamato in causa le origini sociali di chicchessia. A quanto pare, non sono solo le parole di chi scrive per professione a rischiare di essere male interpreate…
    Le mie critiche sono indirizzate a tutt’altro: il *ruolo* che gli intellettuali (a prescindere dal loro status sociale o dalla loro provenienza di classe) si candidano a rivestire nella società.
    Se le parole di Sciascia hanno altro significati, diversi da quello che ho loro attribuito, sarei curioso di sentire delle interpretazioni alternative! Si parla di un “potere” degli intellettuali, posseduto un tempo e ora perso, perché “devoluto alla sinistra”; e quel riferimento ad un impegno “con me stesso e con gli altri me stessi” non riesco ad interpretarlo altrimenti – riferito alla circostanza specifica della tua candidatura – che come un’ammissione di… rassegnata autoreferenzialità, purtroppo. Del tipo: visto che costruire una risposta collettiva (da sempre, l’obiettivo di chi fa politica in un’ottica di liberazione ed emancipazione) è diventato impossibile (e comunque non può/deve rientrare tra i compiti dell’intellettuale) valorizziamo il nostro ruolo di “esempi” individuali agli occhi di quella sparuta minoranza che ci segue – salvo poi, come qualcuno ha ventilato, “lasciare il posto a quelli più capaci di noi”.
    Interpreto male? Forse. Facevo prima a scrivere un normale commento di auguri entusiastici, come in tanti hanno fatto in questi giorni? Sicuramente. Ma in tutto questa vicenda della Lista Tsipras c’è molto che stona, che non mi piace… condito di un “entusiasmo” che mi suona spaventosamente acritico.
    Le cose che si potrebbe tentare di fare, appunto. Cosa ci serve davvero, oggi, per “tentare di fare qualcosa”? Un pugno di eletti in un “parlamento” che non ha nessun potere legislativo? L’ennesima lista costruita in tutta fretta in vista di un appuntamento elettorale (come già Rivoluzione Civile e la Sinistra Arcobaleno)?
    Il mio vuole essere tutto tranne che un attacco personale. Tanto più che credo che ciascuno abbia un proprio modo in cui manifesta il proprio impegno “al meglio”; scrivere dei saggi – di grandissimo valore – sul modo in cui è costruita culturalmente e trattata socialmente la vecchiaia nella nostra società, sul modo in cui alle bambine vengono imposti modelli regressivi, o sul modo in cui viene “ingabbiato” il ruolo materno, per me è un impegno mille volte più utile, importante, significativo e “duraturo” di una possibile candidatura in una tornata elettorale.
    Il problema è la distanza abissale fra la retorica che si sta gonfiando intorno a questo progetto politico e le sue reali possibilità di incidere in qualche modo su una realtà sociale ed economica completamente devastata.
    E’ comprensibile che, in una fase di sconfitta come quella in cui ci troviamo, si senta il bisogno di coltivare una speranza in qualcosa. Ma quel “qualcosa” io sento di doverlo scegliere con attenzione. Di delusioni, tradimenti, sconfitte, i movimenti, la sinistra e le classi oppresse ne hanno già subiti abbastanza…?

  11. Così ho compreso meglio,e di certo è un mio limite. In molti mi hanno detto la stessa cosa: non era meglio continuare a scrivere saggi, e post? Ma la mia risposta, e il riferimento a quella perdita di potere intellettuale (ammesso che potere sia, oggi, la parola giusta), vanno in una direzione molto semplice e, se vuoi, decisamente ingenua. Posso cercare di portare un sia piccolissimo contributo concreto o no? Posso immaginarlo e tentare di farlo, anche se in un eventuale e piccolissimo manipolo parlamentare (che non ha potere legislativo, ma ha, per esempio, il potere di respingere al mittente atti come la risoluzione Estrela che avrebbe vincolato i paesi europei alla difesa del diritto di interrompere la gravidanza)? Se c’è una piccola speranza, credo sia giusto provarci: e guarda che rischio personalmente l’osso del collo su questa storia, Don, perché già ora mi è piombato addosso lo stigma della candidata (non da te). Detto questo: sulla composizione delle liste, preferirei davvero non dire nulla. E’ una scelta dei garanti, e credo che a questo punto sarebbe (è) inutile fare distinguo: per me, non certo per chi deve decidere il proprio voto. Quello che posso dire io è che non mi dimetterò se eletta, e che, se eletta, cercherò di fare tutto quello che è in mio potere fare. Ne uscirò delusa? Forse. Ma se non avessi accettato, so che me ne sarei pentita a lungo. Un abbraccio.

  12. Grazie per la risposta Loredana.
    Come portare un contributo concreto sul terreno delle lotte sociali o del dibattito politico è il problema con cui fa i conti chiunque si senta addosso la “responsabilità” di agire, di far qualcosa. La scelta di questo “come” non è semplice… quando ci si avventura da quelle parti, c’è sempre il rischio – più che concreto – di vedersi piombare addosso qualche stigma o di rompersi l’osso del collo.
    La Lista Tsipras dovrà affrontare un primo, enorme ostacolo con la raccolta delle firme. Ne servono 150.000 a Regione se non sbaglio, da raccogliere in un mese scarso. Senza un radicamento e una riconoscibilità pregressa (in Italia poco ci manca che gli unici che sanno chi è Tsipras siano quelli che si sono impegnati direttamente per costruire la Lista…) è un compito ai limiti dell’impossibile. Un conto è se hai una presenza – anche non massiccia, ma organizzata e solida quanto basta! – nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei quartieri… ma se tutto questo manca, perché negli ultimi anni la sinistra si è preoccupata più di tornare in Parlamento che di tornare nella società (e questo purtroppo è un dato oggettivo, sul quale i numeri degli iscritti e dei militanti attivi parlano chiaro), anche solo raccogliere queste firme diventa un compito quasi insormontabile.
    La questione delle firme è la spia di un problema, che è appunto quello della base sociale e del radicamento. Un tema che si interseca con quello della prospettiva politica e del programma; perché una delle prime domande alle quali bisogna dare risposta, di fronte ad un qualsiasi messaggio che si decide di lanciare è: chi è il suo destinatario? I voti e il sostegno dei settori più progressisti della “middle class” non bastano di certo… e anche il programma di questa Lista Tsipras, al di là del copia-incolla da quello di Syriza è, e probabilmente è destinato a restare, poco più che un fantasma.
    All'”ottimismo della volontà” di quanti oggi sostengono con entusiasmo questa Lista, quindi, continuerò sempre a preferire l’esame, impietoso se necessario, di cosa ci viene proposto e delle condizioni in cui ci viene proposto. Nell’idea che l’unico modo per sperare di ricostruire di utile a sinistra sia ripartire da zero, lasciandosi alle spalle una buona volta gli errori degli ultimi quindici anni.
    Di nuovo, comunque, auguri!

  13. L’esame, Don, è indispensabile. E’ giusto, giustissimo, muovere critiche e analizzare i punti deboli. Del resto, quel che tu dici sulla sinistra e sulle sue preoccupazioni, è la pura verita. Provo, ma mi rendo conto che ti fornisco risposte singole, che è quelle che al momento posso e ritengo giusto dare, a risponderti sui destinatari: che non sono solo la (ancora esistente?) middle class, ma tutti coloro che pensano e sperano che si possa agire all’interno di un’istituzione come il Parlamento europeo. Parliamone ancora.

  14. Sui margini di azione al Parlamento Europeo, e sulle possibilità di incidere a livello politico, economico e sociale attraverso quell’istituzione, mi sono fatto un’idea grazie anche al confronto con chi al Parlamento Europeo ci è stato.
    Negli ultimi due anni ho fatto attività politica in un’organizzazione internazionale (di sinistra, anticapitalista e d’ispirazione marxista) che in Irlanda, tramite un lavoro di coalizione, è riuscita ad eleggere alle ultime elezioni europee un compagno di lunga esperienza, Joe Higgins.
    Higgins è stato poi sostituito da un giovane attivista, Paul Murphy (classe 1983), che, come il suo predecessore, ha rinunciato ad una parte del compenso di parlamentare, mantenedone una quota pari a quella dello stipendio medio di un operaio specializzato nel paese d’origine. Paul è intervenuto ripetutamente, durante le sedute del Parlamento Europeo, pronunciandosi contro le politiche di austerità, contro le scelte di politica estera della UE, sfidando in modo diretto i vari Draghi, Trichet ecc. Inoltre, utilizzando la propria posizione al Parlamento, Paul si è fatto promotore di molte campagne a livello internazionale, portando ad esempio la propria solidarietà al movimento No Tav e ai lavoratori di Fincantieri in lotta a Genova.
    Paul è stato qui a Bologna il 25 maggio dello scorso anno, per un’iniziativa organizzata dalla sezione italiana dell’internazionale. Faccio notare che all’iniziativa, per quanto fosse stata ampiamente pubblicizzata, ha partecipato una esigua manciata di persone… evidentemente, a suo tempo, molti di quegli attivisti, militanti, simpatizzanti che ora si mobilitano con tanto entusiasmo per la Lista Tsipras e ti mettono più o meno in croce se osi criticare il progetto (non mi riferisco a te Loredana), non ritennero interessante, all’epoca, sentire cosa aveva da dire un giovane europarlamentare di sinistra, ben noto per i suoi interventi e la sua attività… ma lasciamo correre.
    Dopo quell’iniziativa, parlammo a lungo con i compagni su che cos’è il Parlamento Europeo, su come funziona, su cosa si può fare in quella sede; Paul fu molto chiaro: il PE è puramente “pro forma”, non ci sono margini reali di intervento; non c’è nulla di “democratico” nell’architettura istituzionale della UE, e sperare di cambiare le sue politiche stando semplicemente lì dentro è un’illusione; il massimo che si può fare, è utilizzarlo come tribuna, sfruttando la posizione di visibilità che concede per promuovere le lotte che nascono nei luoghi reali del conflitto sociale: quartieri, scuole, luoghi di lavoro ecc. Sono quelle lotte, invece, che possono scuotere sul serio le politiche di austerità, e promuovere un’idea alternativa di società!
    La stessa elezione di Higgins, era stata possibile grazie al radicamento conquistato dal Socialist Party (la sezione irlandese dell’internazionale) nelle lotte sociali in Irlanda, a partire dalla mobilitazione di massa contro la Household Tax.
    Il punto allora è questo: può essere utile mandare delle persone al Parlamento Europeo? Certo. Però dipende. Dipende se questa elezione risponde ad un reale radicamento nelle lotte, o alla possibilità di promuovere le lotte stesse grazie ad una rete di sostegno nel “mondo lì fuori”.
    E’ questo che manca alla Lista Tsipras. A sinistra, da anni, si fa esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare, per cui tutto si riduce a fare le cose in fretta e furia ad ogni successivo appuntamento elettorale. Il problema, è che sopravvivono delle logiche (e delle strutture politico/partitiche, non dimentichiamolo) che sebbene abbiano dimostrato di aver fallito, continuano a restare lì, con la pretesa di prendere una volta di più il voto e la fiducia di chi, da quelle stesse logiche e da quelle stesse strutture, è stato più volte tradito e deluso.
    Tutto qui. L’idea per cui al Parlamento Europeo si possa fare chissà cosa mi sembra – non certo nel tuo discorso, ma nella retorica generale che sta avviluppando questa campagna elettorale – un modo per “nascondere” un po’ questa realtà, spiacevole certo ma non meno vera, come anche tu riconosci.
    P.S. La classe media esiste ancora eccome! Resto dell’idea per cui, a definire le classi, non è il reddito ma il ruolo nella produzione. Anche se sono un precario e al mese riesco a mettere insieme non più di 650 euro, pure io appartengo a quella fascia sociale, per il lavoro che faccio, non certo per il mio reddito o il mio “status”. E comunque, ci sono ancora dei settori di società, appartenenti a quella fascia, che riescono a mantenere degli spazi di relativo benessere.

  15. E’ vero. Ma proviamo a invertire i termini, a costo di sembrare ancora più ingenua (e la mia ingenuità è manifesta: sono talmente digiuna delle pratiche elettorali che non so, letteralmente, da che parte si comincia a fare “campagna”. Ma questo, che è un punto di assoluta debolezza, potrebbe diventare un punto di crescita, a mio parere), e a immaginare che, essendo in lista rappresentanti di chi quelle lotte, in vario modo, le porta avanti, questo potrebbe diventare anche un primo passo verso la rete medesima. Per questo, dopo le elezioni in Sardegna, dicevo che Michela Murgia ha comunque “vinto”: perché la rete, ora, c’è, sia pure a un costo personale molto alto.
    Ps. Pochissimi, per quanto riguarda il benessere. E a sentire Higgins sarei venuta, ma non lo sapevo.

  16. Per carità, tutto può essere. Ma a giudicare dalle esperienze precedenti (e il caso sardo non può essere usato come pietra di paragone, per tante ragioni), resto dell’idea che non funzioni così.
    Il radicamento è frutto di anni e anni di lavoro, difficile e anonimo. Se guardo alle esperienze dei compagni in giro per il mondo, Sudafrica, USA, Gran Bretagna ecc., quello che vedo è che l’elezione di Paul al Parlamento Europeo, o di Kshama Sawant alle amministrative di Seattle hanno certamente fatto “esplodere” dei movimenti (quello per il salario minimo negli USA), o li hanno comunque aiutati, ma soltanto perché quelle elezioni sono state il frutto, a loro volta, di un lungo processo, in cui – a prescindere dall’opinione che si può avere sui “partiti” e sulle categorie politiche “novecentesche” – le forme più tradizionali del fare politica (a partire dal concetto di costruire un’organizzazione, formare dei quadri ecc.) hanno giocato un ruolo determinante.
    Come ulteriore esempio, e senza chiamare in causa per l’ennesima volta i precedenti esperimenti elettorali a sinistra, pensiamo al Movimento 5 Stelle. In quel caso il passaggio è da presunto “movimento fluido” (questo era agli inizi nella testa degli attivisti) a pseudopartito leaderistico. Anche lì, nessun radicamento, nessuna strutturazione, nessuna creazione di meccanismo decisionali democratici… e ora vediamo come stanno messi (anche se alle elezioni, grazie alla campagna elettorale di Grillo, prenderanno certamente un sacco di voti).
    Se le cose andranno diversamente, sarò felice di essere smentito e di cambiare idea. Ma, ora come ora, resto dell’opinione che la rete la si costruisce sempre prima – e che ci possono volere anni e anni e anni…

  17. Guarda, Don: è chiaro che una rete costruita dal basso e profondamente radicata sarebbe stata infinitamente preferibile. La critica è legittima e la accolgo. Però resta la domanda che mi sono posta: posso rifiutare, ma poi? Poi me lo sarei rimproverata.

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