NOI PARLARE BENE UN GIORNO

Sono poco presente perché questa è la mia ultima settimana a Fahrenheit e a Radio3 (vado in pensione venerdì 28 giugno), ma prometto che dall’8 luglio il blog riprenderà regolarmente. Sul futuro, vi darò notizie.
Intanto, visto che si infittiscono le discussioni sul linguaggio dei politici, sulle gaffe e gli spropositi che li rendebbero più vicini al popolo, pubblico qui una Cosa Preziosa scritta a gennaio per L’Espresso. A presto.

 

Leggendo le discussioni sul linguaggio di Elly Schlein mi è tornato in mente un vecchio libro di David Sedaris, che in Me parlare bello un giorno raccontava di come la lingua, per lui, fosse un ostacolo gigantesco. Schlein, come avete letto nello scorso numero, viene accusata di parlare troppo in astratto, e non da oggi: lo ha fatto lo scorso settembre Lilli Gruber (“Ma chi la capisce se lei parla così?”), torna a farlo più di recente Stefano Disegni, in un fumetto dove mette a confronto Schlein e Chiara Valerio, con un interprete che ne traduce il dialogo e una Meloni che arriva, alla fine, per invitarle a usare il linguaggio degli elettori.
Questione non lineare, però. Intanto, bisognerebbe rileggere un saggio di Gabriele Pedullà, Parole al potere, dove si analizzano i discorsi dei politici tra il 1861 e il 1994 e si ricorda che i primi passi della Repubblica italiana sono caratterizzati da una voluta semplicità  per distaccarsi dagli artifici retorici del fascismo, e che ben presto quel desiderio di trasparenza e vicinanza con il popolo lascia il passo al cosiddetto “politichese”, per non perdere elettori con prese di posizione troppo nette. Pasolini, fra tutti, denunciò la voluta oscurità del linguaggio di Aldo Moro e poi la sua trasformazione in gergo tecnocrate nel 1964, dopo il discorso per l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole. Via il lessico umanista, forza con le parole del Progresso.
Poi, però, arriva il Bagaglino, che negli anni Ottanta e Novanta contrae ogni discorso in battuta da avanspettacolo, dalla Lega che ce l’ha come sapete in poi. Poi sono venuti i social, e il linguaggio si è contratto ulteriormente assumendo i toni e la brevità dei tweet e dei post.
Alla luce di tutto questo, si chiede dunque alla leader dell’opposizione di adeguarsi: la stessa cosa che, non ovunque, si chiede agli scrittori per venire incontro alla diminuita capacità di comprensione di chi li leggerà, perché, insomma, è tempo di farla facile. Forse, allora, bisognerebbe chiedersi invece se questo processo vada sempre e comunque sostenuto: volendo guardare al passato – cosa che non si dovrebbe fare, lo so – il procedimento era, a grandi linee, l’esatto contrario, e si provava comunque ad alzare la famigerata asticella, magari un passo alla volta. Facciamo un esempio: mi è capitato di rivedere, in tempi non lontani, su YouTube, Allacciate le cinture di sicurezza (1987) di Solenghi-Marchesini-Lopez. Era uno spettacolo popolare ma coltissimo. Perché per ridere (e si rideva tanto) bisognava: sapere che all’inizio il Trio fa il verso a Ronconi (Anna Marchesini è una Marisa Fabbri impeccabile), che proseguendo è una parodia esilarante non solo del Giardino dei ciliegi, ma del modo in cui Strehler lo mise in scena. Conoscere il vaudeville. Conoscere il gotico. Avere, insomma, centinaia di riferimenti culturali. Si chiamava, appunto, alzare l’asticella, senza forzature.
Questo non significa, ovviamente, che bisogna tornare al politichese, ma che bisogna porsi il problema di come si fa a salvare capra e cavoli, e pazienza se il riferimento riporta alle metafore contadine usate non troppo tempo fa da Bersani. Dunque, la cosa preziosa di oggi non può che essere 1984 di George Orwell, con tutto quel che una Neolingua, impoverita anno dopo anno, comporta.

 

10 pensieri su “NOI PARLARE BENE UN GIORNO

  1. Come, “vado in pensione”? La voce amica su Fahrenheit non ci sarà più? Recentemente ascolto meno la radio, ma sentire Loredana Lipperini mi rasserenava.

  2. E noi cosa ci facciamo al Festival della letteratura senza Loredana. Per noi passare il pomeriggio il pomeriggio a P.zza Leon Battista Alberti era una consuetudine. Dopo Marino Sinibaldi … un altro dolore.
    Buona vita Loredana.

  3. Oggi mi ha sconvolto l’inizio di Fahrenheit, con la notizia che si trattava dell’ultima puntata condotta da Loredana Lipperini. La sua voce alla radio, con la sua vivacità, l’intelligenza, l’ironia, è stata da anni una compagnia e una guida uniche. Le auguro buona vita, cara Loredana. lascia un segno indelebile e ci mancherà

  4. ma come, che vuol dire… la voce di Loredana, la sua intelligenza, la sua arguzia e anche la sua squisita cortesia con gli ospiti di Fare mi accompagnano nel ritorno a casa dal lavoro, e a volte anche dopo aver parcheggiato rimango ad ascoltare ancora un po’…
    e come sarà Farehnait senza di lei? Nonostante la simpatia e la bravura dei suoi colleghi io non riesco a immaginarlo…
    Mi mancherà. Tanto

    1. Grazie infinite a Loredana Lipperini per il lavoro prezioso svolto in tutti questi anni ai microfoni di Radio 3. La sua intelligenza, il garbo, la cultura profonda l’eloquio brillante e la simpatia sono stati per me uno stimolo costante e hanno contribuito a rendermi una persona migliore. Una maestra e un’amica.

  5. prima Marino Sinibaldi poi Loredana Lipperini, ma perché questi vuoti di intelligenza e di cuore? quando mancano i maestri gli alunni impoveriscono ( alunni nella vita non smettiamo mai di esserlo)Mi dispiace tanto, buon proseguimento nella vita Cara Loredana. Da Giovanni, 82 anni, con affetto…

  6. Grazie signora Loredana,
    è sempre stato un grande piacere per la mente e il cuore ascoltare la sua trasmissione.
    Le auguro un sincero e caloroso buon proseguimento.

  7. apprendo solo adesso la notizia che non ascolterò più la voce della Signora Lipperini per radio, è per me una grande tristezza, spero di poterla riascoltare come ospite di altre trasmissioni, buona vita a Lei!

  8. Loredana mi mancherà tantissimo la sua voce rassicurante, la sua intelligenza ribelle, la sua grandissima colta conduzione di Fahrenheit! come faremo non lo so… immensa stima!

  9. Grazie mille, Dama Lipper.
    Sono riuscito per miracolo a sentire le tue ultime parole a Fahrenheit.
    Si chiude quasi un trentennio, perché le prime parole che udii venire dalla tua voce furono a “Lampi”. Credo fosse il 1996/97.
    Grazie. Grazie. Grazie. Perché con le parole, le idee, la gentilezza, i puntini che solo tu hai potuto e saputo unire, hai reso questo paese un posto migliore (o meno peggiore, se vogliamo mantere un basso profilo).
    Lunghi giorni e piacevoli notti!

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