NOI SAPEVAMO

Ora, dire “noi non sapevamo” è insensato. Si sapeva, eccome. Mi riferisco, ancora, alla troppo in fretta dimenticata devastazione di fine ottobre, e ancora una volta constato che il nostro problema più urgente è quello di non saper trattenere attenzione, o seppure riusciamo a tornare per un momento sulla questione dopo un’indigestione di pettegolezzi via Twitter, ci chiediamo “ma io cosa posso farci?”. Tanto. Intanto, narrare e rinarrare, che è faccenda prioritaria, perché a forza di rompere le scatole, e di diventare noiosi, e magari di perdere parecchi “mi piace” perché l’argomento trattato non è in cima alle classifiche del momento, qualcosa resta. E anche cercare le storie di ieri, che dimostrano quanto la questione sia antica, è cosa utile.
Per esempio, qui sotto trovate un estratto di un bellissimo articolo di Vito Teti su Corrado Alvaro, e non solo. L’integrale qui.

Tutto resta immobile e tutto è accaduto
«[…] tutto accade lentamente, o non accade mai. Perché tutto è provvisorio. Perché tutto si può aspettare all’infinito. E molte cose si riducono a favole» (Alvaro).  L’amara constatazione è che riflessioni, esplorazioni etnografiche, ricostruzioni storiche e antropologiche narrazioni, analisi, denunce, avvertenze non siano servite a nulla. Negli anni in cui la Calabria e la Sicilia, la Campania e la Sardegna, la Liguria e il Piemonte – un’Italia unita nelle disgrazie e nella distruzione del Bel Paese – , nel periodo in cui alluvioni devastanti si succedono a Crotone e a Soverato, a Cavallerizzo e a Maierato, nell’Aspromonte e nelle Serre; nei giorni in cui interi miei paesi subiscono danni inenarrabili Alvaro appare un profeta inascoltato.
Ho rivisto le fiumare nelle strade di quando ero bambino; i torrenti secchi trasformarsi il fiumi e in laghi; gli alberi, i muri, le strade schiantarsi, aprirsi, immergersi nelle profondità della terra. Sono inarrestabili, forse, e imprevedibili le alluvioni e i terremoti, ma tutti sappiamo che prima o poi, in questi territori fragili, si ripeteranno, torneranno, e nulla si fa per limitare i danni e per mettere in sicurezza strade, case, scuole. Le acque dei torrenti sono state seppellite sotto il cemento e ogni tanto vogliono tornare all’aperto. Cercano la loro via. I massi e le pietre che sono stati nascosti e occultati, improvvisamente, riprendono a rotolare, a correre, a trascinare quanto trovano sulla loro strada. E così anche piccole alluvioni si trasformano in grandi tragedie. L’abbandono della montagna e il progressivo spopolamento che conoscono le aree interne, problema di tutta l’Italia e dei Paesi del Mediterraneo, a cui paradossalmente fanno riscontro la cementificazione e l’intasamento delle marine, la nascita di paesi doppi, intasati d’estate e vuoti d’inverno, hanno spesso come conseguenza la mancata custodia delle acque, l’incuria dei letti dei fiumi e degli antichi cammini naturali delle acque, spesso la sepoltura e la cancellazione dei corsi d’acqua. Queste pratiche comportano o accompagnano o provocano frane, smottamenti, disastri, crolli di abitazioni e di paesi, scarico di detriti nei mari, le cui acque sono sempre più sporche.
Il Bel paese crolla, si sfascia, si sfarina sotto i colpi delle acque piovane, delle frane, delle cementificazioni, degli sventramenti di colline e montagne, delle costruzioni incompiute, delle mancate opere di tutela e difesa di un territorio più vasto. Gli effetti dei cambiamenti climatici planetari sono amplificati dalle recenti ferite provocate nel territorio, dall’abbandono delle zone interne, dalle grandi speculazioni legate allo sfruttamento intensivo della risorsa turistica. Le catastrofi degli ultimi anni che hanno provocato morti, lutti, dispersioni sono legate a forme violente di utilizzazione del territorio, all’incuria del paesaggio, al mancato controllo delle acque piovane, all’occultamento dei fiumi, che cercano e trovano le loro vie naturali.
Dai tempi di Alvaro nessun intervento organico, mirato, risolutivo; i boschi sono stati spesso tagliati in maniera dissennata, vanificando la pure interessante opera di rimboschimento e di bonifica, i letti dei torrenti sono stati cancellati, sepolti, le case e gli edifici pubblici sono stati costruiti in zone pericolose, franose e a rischio sismico si avverte un senso di impotenza e di rassegnazione rispetto alla miopia e all’indifferenza della politica, che continua a prosperare sui disastri e sulle catastrofi, come ai tempi di Alvaro.

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