RESPIRARE UN PIANTO, INGHIOTTIRE L'ELEFANTE: QUEL DI CUI DOVREMMO PARLARE

Dal 2016 vive a Civitanova Marche, lui che era uomo di montagna, San Ginesio, in particolare. Non ha più lavoro, non ha soldi. Ieri ha camminato verso il passaggio a livello. E’ stato fermato in tempo.
Da dieci giorni vivono in un’emergenza che non è cessata. Mi scrive l’ascoltatore che per primo mi ha raccontato cosa stava succedendo nel bellunese:
“Ognuno di noi, sopravvissuto, andrà a salutare un amico caduto a terra. Gli alberi, se feriti, secernano resina, lacrime di resina, qui da una settimana è quello l’odore che impregna ogni cosa. Respiriamo un pianto”.
C’è un post, aggiunge, che “andrebbe condiviso, spiega tante cose, spiega il perché in ogni intervista che ho sentito e visto in questi giorni “il bosco” c’è sempre. Cosa che sto cercando di far capire a tanti contatti e amici della bassa, di città. Un enorme, sconfinato, silenzioso, odoroso, pianto”.
Il post è di Beatrice Sartor. Dice questo:
“Sono alberi, sono foreste.
Non sono persone, non sono case, non sono stabilimenti industriali, non sono quartieri quelli schiantati a terra, quello che abbiamo perso sono alberi, sono foreste.
Forse chi non è di montagna non può capire cos’è che ci lascia attoniti, con il groppo in gola e le lacrime agli occhi.
Le montagne siamo noi, è una frase che mi si sente spesso ripetere; ognuno di noi montanari ha un bosco che gli è fratello, di cui conosce ogni curva del sentiero, ogni albero eccezionalmente alto o ridicolmente storto, ogni radice in cui inciampa il passo. ognuno di noi montanari ha un paesaggio fuori dalla finestra che è un quadro mai uguale a sé stesso, che guarda incantato decine di volte in un giorno, eternità, meravigliosa eterna forza e vita.
Qualche anno fa un anziano mi chiese di fargli una foto con le montagne ertane alle spalle, per la lapide, mi disse, era l’immagine che lo rappresentava.
Ecco, ora per i dolomitici quel paesaggio che è noi, che ci rappresenta, non c’è più.
quegli alberi, quelle foreste sono una parte di noi che sta fuori di noi, sono esseri che vivono qui, come facciamo noi, in simbiosi.
La montagna, il bosco, è lo specchio in cui ci riconosciamo, quello che ci sgomenta e di aver perso una parte di noi, l’essenza.
Sono alberi, sono foreste,
siamo noi”.
Ora, se io dirigessi un giornale, o fossi una influencer sui social, darei spazio a queste storie, che sono storie non di ieri, buone per un titolo di prima (e poi via scivolando a pagina 23). Appartengono all’oggi, al presente che non vediamo, e a forza di non vederlo ecco che abbiamo inghiottito l’elefante, e magari fossero i tempi in cui lo pensavamo soltanto, noi che discutiamo, ogni giorno, dell’intervista di Rocco Casalino, della madre di Asia Argento e del nostro, quotidiano, scontento.
Franco Fortini ha, come sempre, le parole giuste (anche se di ieri, di ieri!):
Ma chi spera di leggere domani
una consolazione nelle righe
di piombo dei giornali; e chi le scrive
nell’afa delle redazioni, con mani
di assassini devoti; e chi le nemiche
parole spia per farne scusa a sé,

sono compagni nostri! Che non credono
a nulla più se non alle parole
che hanno insegnato agli operai, parole
che ritornano a loro come fede
stravolta o ira o grido di chi vuole
quel che non ha ma più quel che non sa.

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