Capiamoci. Siam tutti qui a piangere per la crisi dell’editoria, giusto? Siam tutti qui a strapparci i capelli perché i lettori sono pochi. Domanda: come si creano nuovi lettori? Risposta, banale fino alla cretineria: allevandoli fin da piccoli. Altra domanda: dati Nielsen alla mano, qual è l’unico settore che salva gli editori dal baratro? Il settore ragazzi. Bravi. Ma quale settore? Le peppe pig e i geronimi e tutti i libri-brand oppure i libri che non sono gadget, ma contengono storie in grado di appassionare alla lettura?
Per la nuova dirigenza editoriale che viene orgogliosamente dal marketing e considera obsoleti chiosatori di versi alessandrini tutti coloro che provano a controbattere che i libri saranno anche un prodotto, ma non precisamente equiparabile al deodorante, la risposta è, indubbiamente, le peppe e i geronimi. E i gadget, mi raccomando. Non ci si capacita, altrimenti, di quanto sta avvenendo in casa Rizzoli.
Passo indietro: qualche giorno fa l’amministratora delegata Laura Donnini rilascia un’intervista al Corriere della Sera sui mutamenti interni della casa editrice. Affari Italiani la sintetizza in questo articolo. Nelle ultime righe c’è la notizia del trasferimento di Beatrice Masini da editor del catalogo ragazzi ad altra destinazione. Beatrice Masini non è solo colei che ha tradotto Harry Potter e ha vinto premi su premi, che ha scritto fior di libri per ragazzi (uno dei quali finalista allo Strega): è una profonda conoscitrice della narrativa destinata ai più giovani. Magari non dei giocattoli da distribuire in libreria per far aumentare le entrate del gruppo, chi lo sa. Ma è brava, e competente. E una mossa di questo tipo lascia senza parole chi crede nel potere delle parole per formare lettori nuovi. Si dirà che obiettivo di un editore, oggi, non è formare nuovi lettori: è vendere, ché le casse sono vuote, i cassintegrati in aumento e i bilanci traballanti. Molto bene, giusto. Allora, però, non chiamatela editoria. Chiamatela cippirimerlo, serpeverde, sottosopra, trovate un neologismo. Questa è un’altra cosa, semplicemente.
Qui la lettera che sta circolando fra addetti ai lavori per iniziativa di Alice Bigli, libraia per ragazzi, ideatrice di Un Mare di Libri.
“La notizia che Beatrice Masini abbia lasciato il suo incarico di editor del catalogo ragazzi di Rizzoli è di quelle che segnano un prima e un dopo.
Beatrice è una voce autorevolissima in un settore che è tra i più giovani e vitali nel mondo dell’editoria. Un settore che ha avuto e continuerà in futuro ad aver bisogno di persone capaci, perché come tutte le frontiere necessita di pionieri e sperimentatori che aprano nuove vie in maniera ponderata, con prospettive lungimiranti e passi sicuri. La sua esperienza, unita alla competenza e all’equanimità che le sono unanimemente riconosciute, ha reso lei e il marchio Rizzoli punti fermi per autori, promotori della lettura, librai e lettori (che significa anche genitori ed insegnanti). Il suo allontanamento dal catalogo che ha costruito nel tempo e la sua ricollocazione in una mansione estranea al mondo dei ragazzi ci fa sentire orfani di una figura essenziale.
Non dobbiamo e non vogliamo entrare nel merito delle scelte dell’Editore, certi anche che chi subentrerà al suo posto saprà fare un egregio lavoro, ma abbiamo ragione di ritenere che questo strappo inatteso sia la mossa più dolorosa per un’intera categoria di operatori e di lettori.
Beatrice Masini, da lunghi anni, rappresenta per tutto il settore dei libri per ragazzi molto di più dell’editor di un prestigioso marchio: è infatti universalmente riconosciuta come un’esperta di letteratura per ragazzi, da sempre invitata a intervenire in occasioni di formazione e aggiornamento in tutta Italia; è stata inoltre sempre impegnata in prima persona nella promozione alla lettura, nella realizzazione e diffusione di eventi culturali di qualità per bambini e ragazzi. La sua conoscenza del settore dei libri per i più giovani da tutti i ruoli – autrice, traduttrice ed editor – le ha sempre permesso una visione straordinariamente completa, puntuale e profonda di questo settore, che noi riteniamo di importanza fondamentale per formare le giovani generazioni e assicurare un riscatto culturale del nostro Paese. Un Paese nel quale la letteratura e la cultura per i bambini e i ragazzi non hanno ancora trovato il giusto riconoscimento e sono spesso trattati senza la serietà e la competenza necessarie. Per tutte queste ragioni per noi è impossibile pensare che questo settore perda una delle persone dalle competenze più solide e ampie di cui disponeva. Siamo profondamente convinti che in bambini, ragazzi e libri stiano le chiavi di un futuro migliore per tutti: per questo pensiamo che nel settore ragazzi di persone come Beatrice Masini ne avremmo bisogno qualcuna in più, non qualcuna in meno.”
Laura Donnini dice che l’obiettivo dev’essere “puntare sull’intrattenimento”, e per i ragazzi occorre vendere anche il “prodotto giocattolo”.
Non credo ci sia altro da dire, ma sicuramente ci sarà da fare, in attesa di tempi migliori.
Dovremo conservare e trasmettere Il concetto, l’idea di cosa sia in realtà il mestiere di editore. Non escludo che in un non lontano futuro si aprano anche residuali spazi di mercato, dopo la distruzione di ‘sti provinciali venditori ad opera di Amazon et similia. Allora li si potrà occupare con una vera editoria.
da anni ormai Rizzoli è l’avanguardia dell’autodistruzione dell’editoria. Romanzi di personaggi TV, giovani autori di talento mandati al massacro, “romanzi di Casa Pound”… Certo, anche Feltrinelli e Einaudi Stile Libero ultimamente non scherzano nel gioco al ribasso, ma Rizzoli è inarrivabile. E i suoi editor giovani, con i loro post sulla loro brava “officina Masterpiece”? A me ricordano un Sonderkommando, artefici della propria distruzione, ingranaggio dello sterminio.
Non so, forse si spiega col fatto che RCS controlla Adelphi, che fa ancora buona editoria… Certo la direzione che andrebbe presa è quella opposta.
Quando, da editore “piccolo” dico che non sempre il piccolo è bello e il grande “brutto e cattivo”, cito sempre il catalogo ragazzi di Rizzoli e il magnifico lavoro di Beatrice Masini. Non la sola editor per ragazzi tra i grandi che ci ha portato il meglio della letteratura per ragazzi internazionale, ma sicuramente una persona speciale: traduttrice, autrice, editor, scout editoriale. Una donna gentile e intelligente. Preziosa per l’editoria per ragazzi. Viviamo in un paese dove senza fondi e attenzioni alle biblioteche (pensiamo alle Biblioteche di Roma, non solo a Lampedusa che non ha biblioteche e ha 1200 studenti!!!), un paese dove nelle scuole non ci sono biblioteche nè tempo per leggere. In un paese dove purtroppo escono tanti libri scadenti e forse i libri che Calvino diceva debbano avere “stile, forma e qualcosa da dire, possibilmente di nuovo” fanno fatica a essere visibili. Non smettiamo di riflettere e di agire, per ripartire dai piccoli. Con il nostro lavoro quotidiano. E denunciando quello che non va: come il fatto che venga sottratta all’editoria per ragazzi una mente intelligente e capace
Ma forse il problema non sono questi manager. Forse il problema è a monte, nella testa degli editori, che probabilmente oggi si sentono più imprenditori che editori, e perciò importano queste figure commerciali da settori che con i libri non hanno niente a che vedere. Sto dicendo cose che non direi per nessun altra industria, cose che se le leggessero i miei colleghi economisti mi riderebbero in faccia, ma penso che nel caso del libro – e dell’industria culturale in generale – i parametri debbano essere necessariamente diversi da quelli che legittimamente possono governare altri comparti industriali. L’editore non può essere semplicemente un tizio dotato di capitale che si guarda intorno per capire dove mettere quei soldi per farli rendere al massimo con il minimo rischio; non dico che debba essere un mecenate disinteressato, ma certo dovrebbe avere consapevolezza del fatto che facendo libri probabilmente guadagnerà meno che se si mettesse a fare mutande griffate. Dovrebbe voler fare libri anche per il piacere di farli, e non solo per far rendere il capitale. Che resta un obiettivo importante, nessuno lo può sensatamente negare: se si va in perdita, prima o poi si chiude; ma non dovrebbe diventare lo scopo unico di una casa editrice, il rendimento. Questo penso sia chiaro a miriadi di piccoli editori che si lanciano per pura passione, e però sono poi costretti a inseguire i grandi in questa corsa al ribasso innescata dalla logica del rendimento del capitale investito; perché i grandi obbediscono non solo alle logiche del mercato del libro, ma anche e soprattutto a quelle del mercato dei capitali: hanno bisogno di investimenti, di nuovi azionisti, e a questi devono promettere quello che ogni altra industria promette: rendimenti elevati. Quindi, e credo di scoprire l’acqua calda ma va detto, sono i grandi a dare il tono, e in questo modo costringono tutti gli altri ad un bagno di sangue. Certo, se uno andasse a dire queste cose ai responsabili di molte delle case editrici nostrane si sentirebbe sciorinare sofisticatissime analisi di marketing, si dovrebbe sorbire spiegazioni rococò sulla differenziazione di prodotto, di marchio e di target, sul fatto che controllando diversi marchi ne puoi usare alcuni per servire i lettori forti e altri per allargare la platea di lettori con prodotti che del libro conservano solo il formato, e così via. Ma la sensazione complessiva è che tutte queste siano congetture, drammaticamente smentite da una realtà che si rifiuta caparbiamente di incanalarsi in questo schema. Probabilmente perché in questo modo l’unico segmento che si riesce ad allargare – e non so di quanto – è quello dei lettori trash (sì, sono snob a usare questo termine, ma così la penso). I lettori forti sono pochi, troppo pochi per fare massa critica, e quindi la logica del massimo rendimento del capitale investito finisce per sottrarre spazio alle cose che loro apprezzano: semplicemente, costituiscono un cluster non abbastanza redditizio. Allargare quel cluster non è come convincere la gente a cambiare marca di pelati: un lettore forte diventa tale già da bambino, come tutti ben sappiamo; per cui, l’unico cluster suscettibile di crescere resta quello trash. Confesso però che alla fine, vedendo alcune librerie trasformate in rivendite di gadget in cui i libri sono quasi nascosti, manco fossero oggetti del peccato, mi viene da chiedermi come mai questi imprenditori travestiti da editori non si mettano direttamente a vendere gadget, giocattoli o altro: sono settori di mercato già esistenti, rendono evidentemente più del libro, e allora perché ostinarsi a infliggere ai veri lettori prodotti che a loro non interessano, sottraendo sempre più spazio a ciò che amano? Ma sono sicuro che i geni del marketing (disciplina che ho praticato a lungo e non disprezzo, se ben fatta) avranno una serie di slide scintillanti per rispondere anche a una domanda provocatoria come questa.
Al di là della vicenda professionale di Beatrice Masini e delle scelte strategiche del Gruppo RCS, quel che si dice nel post e nei commenti mi fa pensare alla differenza che passa fra l’essere editore e l’essere editante (non dissimile da quella che passa fra l’essere scrittore e l’essere scrivente). Da editore, mi viene da dire che per essere editore non basta occuparsi solo di carta stampata. Non mi scandalizzerei se i grandi editori decidessero tutti di entrare nel settore del giocattolo e di commercializzare questi prodotti, insieme ai libri, nelle rispettive catene di librerie. Il problema è cosa e come; quali giocattoli e come proposti. Lo stesso problema che assilla i libri. Allo stesso modo, “puntare sull’intrattenimento” non significa necessariamente produrre porcheria. Anzi, forse quello che manca in questo paese (e la ragione per la quale abbiamo un sacco di lettori forti ma pochissimi altri lettori) è proprio un’editoria che rimanga tale pur producendo letteratura popolare, intrattenimento, libri-giocattolo. Altrove ci riescono.
Tornando al punto principale, non mi preoccupo per Beatrice Masini: ha lavorato bene nei ragazzi e continuerà a lavorare bene e con eccellenti risultati ovunque vada, perché conosce il mestiere, è intelligente e ha rispetto del lettore. Mi auguro che chi la sostituirà abbia le stesse capacità e competenze. Noi, da piccoli concorrenti nel medesimo mercato, abbiamo un gran bisogno di colleghi capaci, devoti e determinati. E questo lo scopriremo presto.
Sabrina Annoni prende il posto della Masini.
http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/sabrina-annoni-e-il-rilancio-della-fabbri-l-intervista250313.html
Gungui e Fragolina dolce cuore.
Ma perchè, se la grande editoria fa uno scivolone dietro un altro, non si dedica più attenzione alla “piccola” che certamente non prevede gadget, ma può scoprire autori giovani interessanti, proporre libri curati, si fa insomma un mazzo tutti i giorni contando sulla passione di poche persone, senza mezzi perchè la pubblicità è fuori discussione, al massimo solo comunicati stampa a go go per dire “guardateci, ci siamo anche noi, non buttate la mail nel cestino se non conoscete il marchio, provate a guardarci, dateci fiducia!”… ? Perchè?
Luisa, come già scritto su facebook: a parte il fatto che alla piccola e media editoria personalmente dedico non molta, ma moltissima attenzione, il cambio di rotta di un grande gruppo andrà a ripercuotersi sul mercato generale. Qui hanno commentato piccoli editori di gran rango, come Sinnos e Topipittori nelle persone di Della e Paolo. E potranno confermarti che esistono mutamenti che influiscono su tutti. Infine, terrei a sottolineare che non necessariamente piccolo è sinonimo di buono. Non sempre.
Rizzoli ha bisogno di un rinnovamento perché i conti non tornano. Questo il punto di partenza di ogni analisi sulla ristrutturazione aziendale in atto. Come crescita economica e qualità della politica culturale di un grande editore possono stare insieme? Quali sono i fattori che permettono ai due aspetti di sostenersi a vicenda e di produrre buoni risultati in entrambi i sensi? Questa per me la questione centrale a cui pochissimi manager sanno rispondere, come se qualità fosse inversamente proporzionale a crescita nella stra grande maggioranza dei casi.
Nel caso di Rizzoli Ragazzi la spinta verso la qualità data da Beatrice Masini e il suo staff negli ultimi anni non è stata supportata da un progetto editoriale coerente tout coeur. Non basta la qualità di un libro a far crescere l’economia se non è sostenuta da una buona comunicazione (ufficio stampa, sito ..), da un collegamento stretto con la distribuzione e i promotori, ecc. Tutti quei fattori indispensabili che sicuramente un editore sa individuare meglio di me che sono libraia. Trovare prodotti a più alto margine (giocattoli e no book) e libri a più rapida vendibilità (“libri di intrattenimento”) può essere utile sono all’interno di un progetto forte e alto. Il rischio, altrimenti, è che il guadagno immediato sul margine, in realtà, sul lungo periodo si trasformi in perdita di lettori forti e sgretolamento di relazioni con altri editori italiani ed esteri. Effetto totalmente controproducente non solo a livello culturale ma anche economico. Ma forse, per i direttori e responsabili delle grandi aziende editoriali (e non solo) oggi il binomio economia/progetto culturale non è più inscindibile.
@diletta: hai detto in modo mirabile quello che ho tentato di dire anch’io in un commento enormemente più lungo e contorto. Aggiungo solo una domanda: cosa vuol dire che i conti non tornano? Non ho letto i bilanci della Rizzoli, ma so che questa affermazione può voler dire due cose: o che i conti non tornano davvero, e cioè che si opera in perdita; in questo caso degli interventi sono inevitabili, per dolorosi che possano essere, in quanto l’alternativa è la chiusura; oppure può significare che la redditività non è quella che si attendevano gli azionisti. Sempre più spesso dire che “i conti non tornano” significa questa seconda cosa: c’è rendimento, ma non è abbastanza. Quando siamo in questa situazione, mi chiedo io, è giusto stravolgere completamente la ragion d’essere di una casa editrice (la mission aziendale, per parlare il linguaggio che piace ai marketing manager) per mettersi a produrre e vendere libracci o addirittura giocattoli? Lo chiedo perché io – da ingenuo – continuo a pensare che i conti si debbano chiudere sì in attivo, ma anche che i margini debbano venire sostanzialmente dai libri, e anzi dai buoni libri. Che non escludono affatto l’intrattenimento e neppure i giocattoli, a patto che il business model (ancora aziendalese) resti quello di una casa editrice, e non diventi quello di un bazar.
Non è da ora che il marketing sabota l’editoria: non è una novità della crisi, è un processo in atto da svariati anni che ha obbligato anche gli editor migliori a lavorare senza liena e respiro. E come si fa a lavorare bene quando si è continuamente pressati da richieste sul contenimento dei costi, ricattati sul numero di copie vendute, rimbambiti da continue giravolte di potere, condizionati dall’ultima trovata del marketing?
E tutta questa meravigliosa revisione in atto da un decennio ha portato più lettori? Ehmm no, li ha persi. Giusto. Una ragione in più per continuare su questa strada, giusto? E promuovere chi l’ha promossa (scusate il gioco di parole).
E allora vai col tango della subcultura ( niente a che veder con la narrativa popolare io commerciale)! Il delirio dei libri più fascettati che in infermeria, la fabbrica dei cloni (scrausi) di libri di successo; il presidio armato degli spazi in libreria; la guerra dei prezzi – cinquecinquanta, evviva! (chi sene frega di quanto pagheranno i collaboratori!)
E, duole dirlo, un giornalismo culturale stanco e strascicato, prono a ribadire il già noto o capace solo di agganciarsi all’attualità, a prescindere della qualità dei libri. Un giornalismo culturale (televisivo in primo luogo) privo di curiosità ed energia cognitiva, attento a promuovere autori già arcinoti e pronto a delegare al magmatico mondo dei social la promozione o autopromozione di tutto il resto.
I lettori ci sarebbero, è che si fa di tutto per non trovarli.
@ Maurizio
ormai è un classico, ma su questo argomento non potrei essere più in disaccordo. Non mi rivolgo direttamente a Magic Lippa per rispetto ( rompo sempre le scatole su questo discorso ), e poi perché alla fine non è così importante. Io posso capire la critica alla linea editoriale di una casa editrice, ma non capisco tutto il resto, soprattutto se viene collegato in maniera irrazionale.
1) l’obiettivo di una casa editrice non è formare nuovi lettori, è vendere libri.
Io sono un lettore forte e non ho cominciato da piccolo con i libri per ragazzi. Ho cominciato con i fumetti di mio padre da ragazzo e poi con i libri verso i 18 anni. Come scrive sopra anche Sinnos una buona iniziativa è dotare le scuole di biblioteche e magari una relazione con le case editrici che potrebbero organizzare presentazioni e robe varie. Ma smettiamola con questa preoccupazione per la qualità delle scelte editoriali in merito alla formazione dei lettori, perché non hanno la minima validità fattuale.
2) non sono gli editori a fare i libri, sono gli scrittori.
o mi dimostri che da un certo tot di tempo a questa parte gli editori hanno respinto opere buone in favore di opere commerciali oppure di che parliamo? il numero dei libri buoni è finito, dunque esauriti questi qualsiasi editore se vuole entrare nel mercato non può scegliere fra tradurre libri buoni dall’estero o pubblicare quelli meno buoni rimasti. Non ci sono abbastanza lettori per avere numeri migliori, questo non si chiama crisi, si chiama realtà, e non c’entrano nulla le scelte editoriali. Ciò di cui si può discutere è se il sostegno ai libri d’autore è adeguato, se non si potrebbe fare meglio. Ma se vogliamo più lettori, dobbiamo accettare anche la letteratura d’intrattenimento, che può essere di qualità certamente, ma senza collegamenti impropri del tipo: scarsa qualità dunque pochi lettori dunque crisi. 🙂
@ **
Ci sono sicuramente più buoni libri che lettori, almeno in Italia. Non potrebbe essere altrimenti visto che ormai si può pescare da un bacino mondiale. Il punto è che non basta pubblicare un buon libro perché trovi i suoi lettori (anche se pochi). Fosse così, marketing e pubblicità non servirebbero. Dunque non è questione di dimostrare se sono stati respinti capolavori, è questione che se sei un’azienda che fa i libri, non puoi parlare di andare nelle librerie con i giocattoli. Ci sono aziende apposta, per quello, e negozi apposta. Altrimenti, non parliamo più di editoria, come diceva bene l’articolo.
Un Paese che non legge è una responsabilità collettiva, anche nostra che scriviamo queste righe.
@ **: non è la prima volta che ci troviamo in disaccordo, e penso che ci separino proprio due diverse visioni del mondo. Io sono evidentemente più propenso a vedere correlazioni causali dove tu non vedi niente. Comunque, nello specifico: è vero che una casa editrice ha come obiettivo principale la vendita dei libri, ed è proprio di questo che si sta parlando; di come strategie che dovrebbero teoricamente incrementare le vendite, almeno nel breve periodo, stiano in realtà fallendo, riuscendo al contempo a produrre notevoli danni collaterali in termini di qualità di ciò che si pubblica. Nel lungo periodo, poi, non è vero che tra gli obiettivi non debba esserci qualcosa di simile alla formazione dei lettori; in termini di marketing si parlerebbe di espansione del segmento, il che è fondamentalmente la stessa cosa: come lo espando un segmento se non avviando alla lettura nuovi potenziali acquirenti di libri? E questo è un discorso applicabile a qualsiasi segmento, quello dei lettori trash come quello dei lettori forti. Che possono anche formarsi sui fumetti, ovvio: è anche la mia storia, questa. Che poi i libri siano “fatti”, nel senso di “decisi”, dagli scrittori, è quantomeno opinabile: uno scrittore desidera essere pubblicato, ed è verosimile che si adatti a scrivere cose anche lontane dalle sue corde per raggiungere questo obiettivo, se viene pressato in una certa direzione. Fattela, una chiacchierata con qualche scrittore; non un aspirante o un esordiente, ma uno che già pubblica e ha dei lettori. Ne ascolterai delle belle. Gli editori non necessariamente respingono opere “buone” in favore di opere “commerciali”. Magari capita, però, che oggi respingano uno scrittore in favore di uno che scrive meno bene ma è più personaggio. Anni fa lavoravo in un’azienda editoriale e la casa editrice del gruppo, che fino ad allora aveva pubblicato ottimi libri ricavandosi una certa nicchia di mercato, fece il botto con il “libro” di una ragazzina che raccontava le sue esperienze sessuali precoci. Una milionata di copie, se non ricordo male. In quel caso non andò troppo male, perché il patron continuò a pubblicare anche libri veri; ma da allora la caccia al personaggio divenne un ossessione. Poi dici che non ci sono abbastanza lettori: vero. Per assorbire 60.000 titoli l’anno non ci saranno mai, abbastanza lettori. Né forti, né trash. Queste cifre folli sono però imposte da politiche di breve e brevissimo respiro degli editori più grandi, perché credo di non sbagliare se dico che un piccolo editore farebbe volentieri a meno di sfornare forsennatamente titoli. La lotta al coltello per l’avvicendamento delle novità in vetrina, però, glielo impone. Infine: ovvio che la letteratura d’intrattenimento va accettata; come potrei ragionare diversamente proprio io, che con quel genere di letteratura sono cresciuto? Ma anche il trash va accettato: mica stiamo qui a fare i censori. Quello che trovo discutibile, anche a livello manageriale e non solo culturale, sono le esternalità negative che da queste strategie di marketing aggressive e miopi derivano alla produzione di libri, che ne risulta mutilata e livellata verso il basso. Se fosse possibile produrre montagne di trash senza che questo intaccasse minimamente la produzione di libri di qualità, io non avrei assolutamente niente da ridire; invece stiamo assistendo alla cannibalizzazione di un segmento in favore di un altro, ed è di questo che si ragiona. Di questo ragionamento si possono dire tante cose, anche feroci, ma certo non che sia illogico o irrazionale come pretendi tu. Ovvio che ci vorrebbero dei dati per comprovarlo, ma qui tutti stiamo ragionando sulla base di quelle poche informazioni che conosciamo, dato che nessuno di noi dispone di un istituto demoscopico. Per me sei tu, caro **, che tendi a fermarti alla superficie delle cose. Questa tua, ci tengo a chiarirlo, io la considero un’operazione valida, se si ritiene che le catene causali non siano mai troppo lunghe e indagare nessi nascosti induca in errore. Il che presuppone, come dicevo sopra, una visione del mondo del tutto diversa dalla mia. Viva! 🙂
E ci sarebbe anche questo di cui discutere, oggi: Governo: detrazione fiscale del 19% sul prezzo dei libri acquistati”.
I libri (quasi) come i farmaci salvavita? E perché no, mi verrebbe da dire…
@ **
A me pare che gli editori maggiori si comportino come produttori di shampoo che causano calvazie. Hanno forse un piano di riserva? Uno shampoo miracoloso per far rinascere i capelli? Non mi consta, quella sarebbe vera strategia industriale. Vedo molti calvi e nessuno stratega.
Tra i vari lavori editoriali ho fatto anche l’addetta stampa per piccoli editori e, credimi: una fatica a prenotare più di duemila copie! Una fatica a spingere titoli ottimi ma non ammiccanti…
Questo a dire che, casomai, i libri buoni ci sono, solo che in libreria non si vedono 😉
Faccina su questo punto non ci sente 🙂 Ma ne abbiamo discusso infinite volte: il problema è che la singola esperienza non vale per tutte le altre esperienze, in primo luogo. In secondo luogo, nessuno pensa a una funzione pedagogica degli editori. Ma a una funzione che li porti a offrire una vasta gamma di scelte possibili sì. E questa gamma si sta restringendo. Anche perché il buon marketing, che nessuno detesta quando è buono, dice che per vendere una cosa devi amarla. Se i libri ti fanno schifo, non riuscirai a venderli.
C` e` molto senso nel tuo immergerti in certe argomentazioni alla luce della trama e del titolo del programma che educi sulle frequenze modulate
Dici che dobbiamo cominciare a imparare a memoria Roald Dahl? 😀
Facciamo che io vendo dentifricio che fa cariare i denti…quando i denti sono caduti il detifricio chi lo compra più?
Dahl è l’antidoto.
Mathilda non si piega alla logica culturale del suo babbo, venditore di auto usate, divoratore di cibi precotti, devoto al culto del trash. E si ribella.
E nemmeno si piega a un’idea di cultura cupa e punitiva.
Mathilda ama i libri: impara, si emoziona e si diverte.
In editoria di mathilde ce ne sono molte (molti): spesso i lavoratori editoriali (editor, redattori, traduttori, grafici etc) sono i primi ad avvertire e subire l’assurdità di certe politiche.
Io credo che, unendosi, ci si possa ribellare almeno un po’, superando le disgregazioni e le fratture. Se fossimo in tanti ma davvero tanti (e ritrovarsi non è impossibile) potremmo cominciare a tradurre le riflessioni in proposte forti, capaci, forse, di condizionare, le scelte dei nostri confusi Sporcelli.
Pensiamoci, non è impossibile.
@ Giacomo
La concorrenza al buon libro la fanno più i “buoni” libri, che i libri commerciali. Io come tutti i lettori forti, non ho né il tempo materiale né i soldi a sufficienza per leggere o comunque comprare tutti i libri che meriterebbero di essere comprati, considerando tutti quelli del passato e quelli nuovi che vengono scritti. Ma il marketing e le scelte editoriali non hanno nessun effetto né su di me né sui lettori forti, detto comunque che uno che legge dieci libri in un anno non è proprio un grande appassionato ( magari vorrebbe aver più tempo e soldi per leggere ). L’idea che Fabio Volo tolga lettori a Joyce o a Raimo è sbagliata. Chi legge i libri se li cerca, chi non legge o legge Fabio Volo ( e lo dico senza giudizio, l’ho letto cmq ) con piacere non cercherà altrove. Il marketing si rivolge a questo tipo di pubblico e non ha influenze né positive né negative su quel pubblico. Può succedere che chi legge Fabio Volo sviluppi curiosità oppure no, indipendentemente dalla qualità di Fabio Volo. O qualcuno porta l’esperienza di una persona che abbia smesso di leggere ( non di comprare, di leggere ) a causa di un brutto libro, oppure accettiamo il fatto che il gusto per la lettura non può essere influenzato in negativo dalle case editrici e dal marketing e neanche in positivo dai buoni libri, altro luogo comune duro a morire. Questo non è un paese che non legge. Dagli anni ’60 i lettori sono aumentati progressivamente, forse anche maggiormente rispetto alla media europea. Dal 1998 i lettori di più di 10 libri l’anno sono passati da 2600000 a 3500000, con una punta di 4000000 ( quando un infra-realista incontra un uomo con la calcolatrice, l’infra-realista è un uomo morto ).
@ Silvia
Passiamo dunque a parlare di editori, cosa utile. Bisogna però decidersi: o un editore fa male il suo lavoro secondo la tua ottica e allora è bene che fallisca e che si registri un giusto calo delle vendite oppure il profitto ci piace a prescindere. Se le case editrici puntassero solo sulla qualità avremmo meno libri pubblicati e meno libri venduti. Meno profitti e meno lavoro. Le strategie editoriali hanno effetto per le case editrici. La formazione dei lettori passa attraverso casa, scuole, centri culturali e amici. Ciò che si è cercato di fare è stato sfruttare il più possibile lo spazio creato dal marketing. Parlare di crisi è equivoco. Si stanno registrando perdite su profitti che non si basavano su cambiamenti strutturali. Ma questo non vuol dire che allora è stato sbagliato investire sul marketing a scapito della qualità perché questo dipende dagli obiettivi e perché è anche guadagnando con un titolo commerciale che si può investire sugli autori. Tutte le critiche possibili sono bene accolte, qualità del prodotto e impegno nella diffusione, tranne quella per cui i lettori sono pochi a causa della scarsa qualità.
@ Maurizio ( nelle risposte agli altri ci sono anche risposte a te )
Non so se abbiamo questa visione diversa, io qua vedo buoni argomenti e nessi causali sbagliati. Il marketing ha avuto effetto sulle vendite, il calo che si registra è proprio tarato sull’aumento dell’ultimo decennio ( dati AIE ) e parlare di fallimento è sbagliato, altrimenti se una casa editrice perde puntando sulla qualità dovremmo dire che puntare sulla qualità è sbagliato. Semplicemente, e su questo siamo d’accordo, non si vive di solo marketing. E quello che è successo è stato proprio un allargamento del settore degli acquirenti grazie al marketing, mai come oggi la lettura in Italia viene promossa sui canali mediatici. Ma nuovi acquirenti non vuol dire nuovi lettori. Ciò che è successo è che chi ha comprato per curiosità poi ha smesso di comprare, vale il caso di best-sellers, libri sui calciatori o di ricette. Vale anche se uno ha comprato Saviano per sfinimento. Una casa editrice può accrescere prestigio e crearsi un pubblico fedele per qualità e stile, ma questo lo fa su lettori già lettori, e lo fa togliendo spazio ad altre case editrici. A me piacciono i libri Minimum Fax. Se da domani cominciassero a pubblicare libri brutti smetterei di comprarli e come me credo tutti i lettori affezionati che si sono creati. Quindi o MF riesce a vendere di più con la nuova strategia oppure non cambierà strategia. Dal momento che ci saranno lettori-acquirenti potenziali ( e i lettori abituali tengono in piedi la metà del fatturato complessivo ) un’altra casa editrice potrà approfittarne, e la qualità è salva. Il “trash” prodotto abbassa la qualità media, e amen, ma non toglie necessariamente spazio alla qualità unitaria, perché quest’ultima poggia sul gusto dei lettori. E il gusto poggia su istruzione e cultura. Il “trash” non ha potere su istruzione e cultura. L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio.
@ **
I lettori dagli anni Sessanta sono cresciuti? Contando il tasso di analfabetismo del dopoguerra è normale che sia così, si poteva solo salire. Quello non è un dato significativo; almeno, non messo giù come lo stai mettendo tu. L’Italia è un Paese che legge? Mi pare che nessuna rilevazione ti dia ragione. È vero che in Italia c’è un buon numero di lettori forti, ma non sono quelli che fanno la differenza sui numeri di una casa editrice (quantomeno grossa), proprio perché non ce ne sono abbastanza (non siamo la Germania). La calcolatrice funziona fino a un certo punto punto perché parifica tutto, compresi i non libri (le barzellette di Totti, che entrano nel computo). A fare la differenza tra un anno di successo e uno no in un grande gruppo non sono gli acquisti dei lettori forti (che sì, qui sono d’accordo con te, non sono abbindolabili dal marketing); a fare la differenza negli incassi è quando si intercetta il pubblico di lettori deboli. E il punto non è che un brutto libro possa o no distruggere un lettore (anche se io lo penso): qui il punto è, come dicevo nel messaggio prima, che si parla di andare in libreria non con brutti libri, ma non non-libri, giocattoli. Insomma, la contrapposizione non è Joyce/Volo ma Joyce/Giocattolo. È su questo passaggio che discute l’articolo, e che discutevo io nel messaggio. Per concludere, anche io non credo che tutti siano lettori. Credo però che i lettori potenziali siano molti di più di quanti oggi effettivamente leggono; credo che questi lettori si possano coltivare; credo che per farlo ci vogliano buoni libri; credo che la libreria (e la biblioteca) debba essere salvaguardata come luogo in cui questi incontri possano avvenire perché accompagnati da chi è già un lettore. Lo ripeto per chiarezza: io non sto discutendo sui libri buoni o no. Sto discutendo sui giocattoli in libreria. E l’altro passaggio importante è che qui si sta discutendo non su adulti, già lettori o no, come te, ma su bambini, che ancora possono diventarlo.
@ (**)
Io non credo che i lettori calino solo per la scarsa qualità (come tu dici c’è una condizione culturale sfavorevole), sono però abbastanza certa che la proliferazione di cattiva qualità disorienti i lettori forti e contribuisca a non formarne di nuovi; penso al mondo del thriller e del fantastico e della narrativa ragazzi: personalmente non sono più in grado di distinguere il prodotto di qualità da quello pessimo, perché entrambi sono confezionati nel medesimo modo: copertina rigida, grafica volgare, fascetta sgargiante; le collane (non tutte ma molte) sono state disintegrate, i marchi editoriali tendono ad annullarsi. Tu citi quei dati dell’AIE, ma se non ricordo male la crescita di cui si parla fondava sul settore ragazzi post Harry Potter.
Da allora, per quel che ho visto, è iniziata la caccia scriteriata al best seller-clone (e non solo nel settore ragazzi): centinaia di simil Potter, ma anche una covata infinita di simil don brown, pseudo moccia, post twilight, egual kingsella… Questa roba, prodotta un tanto al kilo, invade le librerie, nella logica del ‘ndo cojo cojo’ togliendo aria, per esempio, al piccolo medio editore; è questo, a mio giudizio, il vero trash, non Fabio Volo.
Il punto è che questa covata malefica non ha prodotto lettori nuovi né fidelizzato quelli storici. Mi risulta pure che tutti di questi ‘potenziali’ best sellers siano costati parecchio ai meritori editori, i quali hanno imparato a risparmiare sul personale, precarizzando le redazioni, rifilando traduzioni mal riviste, tagliando i giri di bozza e compagnia.
Prima si facevano meno libri, più persone campavano di editoria.
C’è qualcosa che non va. Non va.
Non penso che i grandi editori debbano fallire (no please) dico che si devono cambiare i vertici e le strategie editoriali.
Scusa il pippone! e grazie per il confronto
@ Giacomo
I lettori sono aumentati progressivamente, anno per anno, dagli anni ’60 a oggi. Sono aumentati anche anno per anno nell’ultimo decennio. E se la tua spiegazione è corretta, ed è corretta, poiché la lettura è associata all’alfabetizzazione e all’istruzione, la tua preoccupazione e quella dell’articolo non ha ragione d’essere per questo particolare punto. Ovvero, si possono criticare le scelte editoriali senza per questo paventare danni alla cultura delle persone. In Italia leggono almeno un libro ogni anno circa 26-27 milioni di persone. Di questi circa 20 milioni leggono almeno 3 libri l’anno. Di questi sono circa 13 milioni quelli che comprano almeno un libro l’anno e circa 9 milioni quelli che ne comprano almeno 3 ( dati al 2007, fonte AIE ). Il 7% dei lettori forti ( + di 12 libri l’anno ) che sono poi il 5% degli acquirenti abituali, genera il 44% del totale dei libri venduti. Dati al 2011. La Spagna ha numeri leggermente maggiori, anche in rapporto alla popolazione. La Francia si stacca di qualche milione. UK e Germania hanno punti percentuali maggiori di circa il 20% per ogni voce in rapporto alla popolazione. Sono numeri migliorabili, certamente. Sono effetto in qualche modo delle scelte editoriali? Mi pare del tutto irragionevole. L’Italia sconta un ritardo storico, frutto di mancanze strutturali pubbliche, non di logiche di mercato private. I lettori potenziali sono solo i giovani che verranno. Mettiamoci nella testa che le persone adulte oggi che non leggono non leggeranno mai con passione in massa. Possono solo essere attratti caso per caso più dall’oggetto o dal personaggio. E va bene così, è andata, pensiamo a chi verrà, e scusa la franchezza, ma come fai a pensare che un brutto libro distrugge un lettore?
I giocattoli staranno nelle librerie ( poi quali? La libreria che frequento io non ha vetrine e ha un’ottima scelta, sebbene inutile, io so già quello che voglio e non mi importa di aspettare ), non ti piace d’accordo, ma perché a casa da piccolo tu non giocavi coi giochi? Ti ha impedito di amare la lettura? Non esisteranno più i genitori, gli insegnanti, gli amici? Le biblioteche sono state lasciate senza soldi dalle case editrici? Capisco sia la preoccupazione che la critica alla linea editoriale. Semplicemente la formazione dei lettori non è determinata dall’offerta editoriale, è piuttosto il contrario. “Troppa è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che per necessità fanno dimenticare quelli del giorno innanzi, sia pure eccellenti. Tutti i posti dell’immortalità in questo genere, sono già occupati”
Lo scriveva Leopardi nello Zibaldone. Era Leopardi, e si è sbagliato.
@ **
Scusa, ci deve essere stato un malinteso: credevo volessimo discutere dello stesso argomento, e invece adesso mi sono reso conto che non è così.
Non c’è bisogno di sfoggiare numerologia, che mi sembra solo uno dei tanti modi di alzare la voce.
E io non ho mai parlato di lettori adulti; l’ho specificato anche nel mio ultimo messaggio. Un brutto libro distrugge un lettore (ovviamente in erba, visto che di questi io stavo parlando) perché c’è il rischio che la lettura venga fatta coincidere con un’esperienza negativa.
E non sono stato mai contrario ai giocattoli, non so dove sei andato a pescare questa cosa in quello che ho scritto.
Come detto, a faccina scatta un riflesso pavloviano quando si parla di editoria: bisogna dirgli che va tutto bene ed è tutto bello, Giacomo. lascia perdere 🙂
a mdo mio d’accordo con faccina*, che in effetti c’è questa sopravvalutazione puzzonasina dei libri, dell’editoria, e della sgrittura, come se tutto questo ambaradan avesse il potere di formare i “buoni lettori”, e addirittura che questi “ buoni lettori” avrebbero maggiori scians per essere delle più buone persone. Conoscenza e virtù, si tramandano solo da persona a persona, attraverso le cose vive, il cosiddetto “amore per la lettura” è un valore in quanto celebra l’amore di chi ha risvegliato la nostra fantasia e la nostra fiducia, e questo amore viene da un essere umano, che è il Valore, non il libro. Questo ci rende capaci di “giudicare.
Più spesso “ amore per la lettura” è falso, nullo, difatti espresso con parole opposte come “intrattenimento” o “evasione”, sono questi che vogliono “vendere”. eppure bruciare queste boiate di libri, dare fuoco a una libreria mondadori intera che sarebbero anche cose buone di per sé, ci fanno invece giustamente orrore, in quanto sono azioni che veicolano la menzogna antica , che insieme ai libri si distruggano anche le frustrazioni le illusioni le bugie che in ivi essi contengono e orrore anche maggiore a pensare che qualcuno crederà pure che distruggendo la persona si elimini anche il dolore. che invece il dolore si distrugge solo con l’amore con una emme sola.
Va detto appunto che il compito dell’editoria non è vendere libri, ma tramandare le idee, normale che sia in crisi.
ciao,k.