NON CHIAMATELO CYBERBULLISMO. E' PEGGIO.

Tiziana Cantone viene in queste ore pianta negli stessi luoghi che ne hanno determinato la fine. Chi ha contribuito a spingerla al suicidio con i suoi commenti, in una gamma che va dal pecoreccio – che non fa mai male, ma certo, ma fattela la famosa risata – all’annichilente, oggi non ha il pudore di tacere.
Su Facebook, sotto uno status in cui riportavo la notizia, commentano un poliziotto e un carabiniere di Lodi: ” ma no, non la nostra Bravah”, scrive il carabiniere, prima di cancellare in tutta fretta e rispondermi: “se vuole parlare con tutti quelli che hanno visto il video signora sarà un lungo lavoro..”.
Non un dubbio. Non un grammo di rimorso. Del resto, siamo sui social, giusto? E sui social tutto è concesso. Approfittare di uno status – come avvenuto due sere fa – sugli stereotipi della vecchiaia femminile per dare la stura al risentimento, ai cessa-collusa nei confronti di chi non era oggetto dello status, come Daria Bignardi. Reiterare il veleno ritenendo che sia un proprio diritto esprimere il peggio, e quel peggio non viene da giovani hater, ma da tranquille insegnanti e solari mamme di famiglia e pensosi signori con bretelle e cappello.
Roba vecchia, roba nota. Ma qui, spiacente, non si tratta di cyberbullismo. Perché è troppo facile, l’etichetta. Oh, guarda, ci sono gli odiatori e le odiatrici, ma che cattivi, io non sono così. Riguarda un meccanismo dove tutti siamo e a cui tutti contribuiamo. La rete come creatrice di illusioni: la democrazia (sono democratico e dunque scrivo quello che voglio e guai se mi dici che non è così), la rivoluzione (da fermi), la fama.
Già, la fama. Non mi interessa e non dovrebbe interessare a nessuno, ora, sapere se questa sventurata giovane donna ha subito un furto d’identità o se consapevolmente era entrata nel meccanismo dei social che portano visibilità. Non interessa me, nel caso. Perché qui le responsabilità sono di chi partecipa a quel meccanismo, di chi lo reitera, di chi lo usa. E non parlo neppure dei singoli utenti, con cui puoi parlare ore senza smuoverli di un centimetro, inclusi i poliziotti di Lodi: ma che ho fatto di male?, ti direbbero e ti dicono. Perché non posso dire che quella politica è infame, che quella giornalista va decapitata, che tu che mi stai contestando sei una zoccola censuratrice? E’ un mio diritto, e viene riconosciuto da tutti. I social mi danno spazio, uso quello spazio.
La responsabilità è di chi quel meccanismo  legittima. I cosiddetti old media, intanto, che inseguendo i social alimentano l’idea che i social siano da usare per farsi vedere. A qualunque costo e soprattutto con qualunque mezzo. La politica, in secondo luogo, che ritiene che il  linguaggio dei social sia quello da adottare. Perché è democratico, dicono. E invece no, non è democratico affatto: non quando l’autorevolezza si confonde con la popolarità, ed è esattamente questo che ci viene detto. Sii popolare. A qualunque costo, con qualunque mezzo. E se non hai le spalle per reggere, fatti tuoi.
Forse sarebbe il caso di cominciare a porsi, e sto parlando di giornali, radio e televisione, non come alternativa, certo, ma come integrazione seria: ed esibire linguaggi diversi, e ricordare a tutti, ogni santo giorno, che nulla di quello che viene offerto sul web è gratis. E a volte, come in questo orribile caso, ammazza pure.

10 pensieri su “NON CHIAMATELO CYBERBULLISMO. E' PEGGIO.

  1. Loredana, sempre più necessaria una ristampa con tour di dibattiti di “Morti di fama”… Non siamo riusciti a vederci in questo “movimentato” (ahinoi) Agosto, pensiamoci per i mesi a venire: l’AGEDO è con te.

  2. A me tutto questo fa paura, molta paura. Anche di dove andremo a finire e anche di tutti noi che siamo ingenui. Proprio allocchi da attirare strizzare e buttare.

  3. Il commento di Luca Perilli ha suscitato in me una minima speranza di fronte questa ennesima notizia di vittime di persecuzione in rete.
    Ho anche ascoltato “Tutta la città ne parla” (sono stata contenta che si sia voluto affrontare questo di argomento) e mi sono sentita quasi sgomenta di fronte alla ferocia e al pensiero di nessun aiuto per le vittime.
    Si può spingere una persona alla disperazione e impedire per sempre la sua possibilità di dimenticare una stupidaggine commessa; come direbbe il Bardo (non commettiamo tutti delle stupidaggini?) e non subire alcuna punizione.
    Temo purtroppo che il concetto di pena sia legato alla comprensione del danno commesso: se nessuno mi punirà allora non c’è stata colpa.
    C’è da parte nostra una sottovalutazione del pericolo che la Rete comporta,
    e a questo dovremmo trovare una risposta magari pubblica; pubblica come la scuola che deve poter formare all’affettività, alla responsabilità.(Ma i genitori?)
    Dico cose già dette mille volte, ma quello che mi ha fatto venire in mente l’associazione AGEDO è che deve esistere un’associazione a cui le vittime di persecuzione in Rete possano trovare un aiuto, non ci si deve trovare soli di fronte alla disperazione. Scusate l’ingenuità.

  4. Cara Patrizia, l’Agedo è una associazione di genitori fortemente sensibile a questo argomento perché abituata a combattere contro i pregiudizi e le discriminazioni che massacrano le nostre figlie e i nostri figli, pregiudizi e discriminazioni che arrivano poi anche al resto dei familiari (cominciano ad accusarci di essere peggiori dei nostri figli perché non li “rieduchiamo alla retta via”, pensa un po’!!!)… Il libro di Loredana e di Giovanni Arduino è stato profetico nello svelare meccanismi davvero perversi che oggi cominciamo a vedere tutte e tutti. Prima che sia troppo tardi, è bene tentare di risvegliare le coscienze informando.

  5. Dottoressa Liperini, sono perfettamente d’accordo. Lei sembra suggerire, anche se non lo dice chiaramente, che le responsabilitá sono di tutti… ma proprio di tutti? Di tutti, di tutti? … e anche di tutte? Cioè se cado dalla moto… magari, si, c’era anche una buca, la strada era anche viscida… però almeno in parte, e non in minimissima parte… la “””””””colpa””””” è, non solo mia, ma anche mia. Cioè esempio banale: anch’io come tutti ho fatto sesso occasionale oppure non… se però mi lascio filmare, piu di una volta, dall’amico/a di passaggio….peggio non potrei andare. Morale della questione; se invece dell’esibizionismo plateale e semplificato, indottoci da questa societá, imparassimo il ritegno e la discrezione, magari ci (ci) risulterebbe un atteggiamento parco, sobrio, di grande riserbo e moderazione… giá come individui singoli… il resto a seguire…

  6. Ho una conoscenza parziale della tragedia(per esempio non so se la droga ha avuto un ruolo in qualche fase e nemmeno se il fatto di essere dovuta tornare a vivere in famiglia sia stato uno dei motivi che hanno scalfito l`istinto di sopravvivenza di questa giovane donna finita in mezzo alla tempesta). So per certo che chiunque dovrebbe vivere la propria sessualita` tra persone consenzienti senza subire nessun giidizio discriminatorio anche qualora le pratiche private dovessero per qualche.motivo diventare di pubblico dominio. Si dovrebbe essere giudicati per la sostanza

  7. E la “sventurata rispose”… ma… di lei non sappiamo realmente nulla, personalità, motivazioni, non abbiamo letto gli atti processuali, non conosciamo davvero i risvolti di questa vicenda che presenta punti poco chiari (perché ad esempio non appena scoppiato il putiferio in rete non ha prontamente denunciato le persone a cui aveva inviato i video?) e infatti la magistratura vuole vederci chiaro e sta indagando. Non abbiamo neanche un grande scrittore come il Manzoni a narrarci qualcosa al posto della petulante nebulosa delle ultime 48 ore dove massa a parte si sono avvicendati tutti, dalla mediaguru all’intellettuale par excellence, dalla pornostar in auge allo psichiatra di turno. E ora? Si dibatterà di più e criticamente riguardo agli effetti della tecnologia sulla sessualità e la personalità ai tempi della “realtà aumentata”? Ne dubito. Una cosa è certa, la maggior parte delle persone non ha una reale comprensione o competenza su cosa siano in realtà il web, i social e i dispositivi che usano ogni giorno come innocui giocattoli con cui divertirsi mentre non lo sono affatto. Se questa donna non avesse risposto al richiamo dei device magari adesso sarebbe viva.

  8. Usiamo la parola adeguata: linciaggio, ossia esecuzione sommaria di persona ritenuta colpevole di reato molto grave. Il linciaggio è uno degli episodi più raccapriccianti… sempre… per la visione del sangue, le urla di dolore della vittima,i ringhi belluini degli autori del massacro. In rete tutto questo sembra manchi, ma di linciaggio vero e proprio si tratta, e altrettanto raccapricciante: c’è la vittima di “presunto” grave, e anche il sangue, i carnefici ringhianti e ghignanti, le urla assordanti… ma non viene chiamato colo suo esatto terminè: qui non di linciaggio si parla, ma “gogna mediatica”, come ci fosse qualche differenza.
    Ecco, anche a questo ci ha portato il progresso. Me lo aspetto che tanti obietteranno: “Ma che dici?… Ci ha liberato da tanti disagi… le lavandaie al fiume… etcetera”, e vabbé!! Ma quando Prometeo decise di mettere nelle mani dgli uomini il fuoco, Corifea, più saggia di lui, così lo ammonì:
    “Tu non giovare agli uomini oltre il giusto!”, e gli aveva insinuato il dubbio circa l’affidabilità dell’uomo.
    E Prometeo si impappinò e cerco di consolarsi:
    “Mhumm… Eheumm… Sì! Ma… la tecnica è di gran lunga più debole della necessità”: una affermazione che è ‘na cazzata!, perché la tecnica diventerà la padrona di tutto: salva la lavandaia, ma disumanizzando sta distruggendo tutto il resto.

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