Non vi piacerà, ma io non sono per niente stupita dalla conquista delle vette dei libri più venduti da parte dell’autobiografia di Giorgia Meloni. Ha avuto un lancio promozionale impressionante: e chi rifiuta di venderlo nella sua libreria, e chi rifiuta di riceverlo dall’editore, e la notizia (non si capisce se falsa o vera) dell’invito in una scuola, poi smentito, vai a capire. Eccetera. Per forza che vende. E allora, perché ne parlo anche io? Non parlo del libro, in verità, che non ho letto (ma mi interesserebbe, avendo tempo, capire i meccanismi usati con notevole abilità da questa donna), ma del boomerang costituito dallo stigma collettivo (sì, anche dal rifiuto di vendere: che è faccenda molto legittima, essendo la libreria un libero esercizio commerciale, e però trattandosi di dichiarazione resa pubblicamente sui social a quell’effetto boomerang ha contribuito).
Non vi piacerà, ma diversi anni fa considerai (e considero) deleteria la richiesta di censura avanzata da femministe e politiche spagnole nei confronti di Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano. Venni, allora, accusata di tradimento della causa, e pazienza. Ma resto dell’idea che non si proibisce: si contrasta, semmai. Lo dico, anche, da autrice ai tempi espulsa dalle biblioteche venete insieme a una valanga di illustri colleghi. Lo dico tenendo in mente la censura a Piccolo blu, piccolo giallo di Leo Lionni, che resta una delle pagine più ridicole della nostra storia recente.
Qui, certo, non si parla di censura, ma appunto di stigma, e ripeto che ci sta, le scelte sono libere e ognuno ne è responsabile. Ma, come si vede, si rischia di entrare nello stesso meccanismo che si vorrebbe distruggere, e anzi di contribuire alla riuscita di quel meccanismo.
Le narrazioni si contrastano con altre narrazioni più efficaci, più empatiche, più forti. Magari sarebbe il caso di concentrarsi su quelle. E non mi sembra che stia accadendo: non con la stessa forza, purtroppo.