PER RADIO RADICALE (SEDICI): OGNI COSA PERDE LUCE, O DELLA CRISI EMOTIVA.

Da una parte spero sempre che questo sia l’ultimo post per Radio radicale, e lo spero perché mi auguro che la ventilata soluzione si trovi davvero, dall’altra mi dispiace. Perché ogni mattina, quando avvio la ricerca negli archivi, trovo perle che non sospettavo: questa, per esempio, la quinta giornata del seminario internazionale di discussioni sulle tecnica della nonviolenza, qualcosa che oggi giudichiamo preistorico, ed era l’agosto del 1963, e in quel momento ero al mare o magari al paesello a giocare al gioco del mondo, mentre si discuteva di “educare al senso del limite del proprio sapere, alla prospettiva che il mondo può cambiare in meglio verso una maggiore giustizia, comprensione umana, abolizione di ogni discriminazione classista, nazionalistica e razziale”, e si auspicava “la democratizzazione degli organi della scuola elementare”, e che la collaborazione, non la competizione fosse alla base dei “rapporti direttori-maestri e maestri-alunni”.
Bene, un motivo in più per pensare a cosa è possibile fare per inserire i saperi e i sogni del passato nel presente: che non muta solo perché sono mutati i mezzi che abbiamo a disposizione. Non muta perché oggi è più facile rispondere grugnendo a chi entra in metropolitana perché abbiamo la faccia china sul cellulare, è più facile scannarsi su Facebook, è più facile sgomitare chiedendo attenzione, è più facile giudicare, condannare, additare, sfogarsi.
Le cose sono cambiate prima, e sono cambiate fuori dalla rete. Questa mattina, entrando nel solito bar per il caffè, ho visto che c’era un folto gruppo di uomini e donne seduti intorno ai tavolini all’aperto. Nulla di strano, è quasi estate, finalmente, ed è bello godersi l’aria tiepida del mattino. Poi, lo confesso, ho avuto un brivido: era un gruppo di genitori che chiacchierava nell’ultimo giorno di scuola.
Un brivido? Addirittura? E cos’hai contro i genitori, essendo stata tu figlia, un tempo, ed essendo madre?
Ecco, il brivido viene dalle frasi che ho colto mentre entravo: quella stronza della maestra, bisogna fare qualcosa, quel bambino disturba, è il momento di prendere provvedimenti, l’anno prossimo ci organizzeremo. Insomma, l’antica logica del branco e della tutela feroce, indiscriminata, violenta a protezione del bene più prezioso.
Queste avvisaglie, questa mutazione, erano già leggibili negli anni Novanta. Ai diritti dei bambini, così fortemente voluti e difesi, si sostituiva il diritto del mio bambino contro i diritti degli altri. Ricordo che oltre dieci anni fa, quando stavo scrivendo Ancora dalla parte delle bambine, andai a trovare l’allora presidente del Tribunale dei Minorenni di Roma, Magda Brienza. Mi raccontò, ed era il 2006, questo:
“Con una certa frequenza riceviamo lettere dei genitori: c’è un bambino che picchia, uno che dà in escandescenze, fate qualcosa. Poi ci sono quelli che si lamentano perché nella classe dei loro figli ci sono alunni stranieri che non conoscono la lingua: dicono che in questo modo fanno rimanere indietro tutta la classe, che non si riesce a seguire la didattica. Invocano, insomma, un contenimento”. Le chiesi se si fosse data una spiegazione per quella che sembrava già una fobia ossessiva, e contagiosa, del mondo adulto. Ci pensò  un po’: “Da quello che vedo, esiste un forsennato desiderio di protezione da parte dei genitori nel rapporto con la scuola. Ognuno si chiude a riccio sul proprio figlio. Un po’ tutti, direi, ci siamo chiusi nel nostro guscio”.
Ricordo che salii un piano per andare a trovare  Roberto Polella, che presso il Tribunale dei Minori era  sostituto procuratore della Repubblica.   Mi disse questo:
“Abbiamo un problema di genitori. Genitori che contestano fino a creare problemi di sicurezza all’insegnante. Per parlar chiaro, gli tagliano le gomme dell’automobile. La scuola? Minimizza. Altrimenti dovrebbe riconoscere il proprio fallimento. Abbiamo un problema di madri, soprattutto. Sono apprensive, e aggressive: fanno piazzate in classe perché ritengono che il figlio venga discriminato. Infine, abbiamo il problema delle denunce, dove i genitori di altri bambini chiedono l’allontanamento di chi disturba le lezioni.”
In pratica, gli chiesi, vi viene chiesto di fare da arbitri in una guerra dove i bambini sono la posta in gioco. “Come Tribunale – disse- siamo al centro di tensioni esasperate. La famiglia non ha autorevolezza. La scuola è in crisi. Per il bullismo, dicono. Ma il problema non è questo. Il bullismo è sempre esistito, a dispetto della mancanza di memoria dei mass media. Da sempre, a scuola, si picchia e si ruba. Ma ai miei tempi il bottino erano le merendine. Oggi il valore degli oggetti è molto più alto: e il reato diventa quello di rapina con estorsione. Semmai un fenomeno nuovo, pesantissimo, è quello dello stupro fra minorenni. Sa come funziona? Si sceglie una vittima e per prima cosa, con metodo, la si annienta moralmente. Prese in giro feroci, battute pesanti: giorno dopo giorno. Poi le si dice: la smettiamo in cambio delle tue prestazioni sessuali. Lei, in genere, accetta. Dopo la prima volta, si chiamano gli altri compagni. Lei torna. Altrimenti è fuori dal gruppo. Nessuno dei torturatori si chiede mai: “cosa stiamo facendo?”. Anche il pentimento è strumentale, chiaramente invogliato dai difensori e dalle stesse famiglie. “E’ stata una ragazzata. Sono giovane”. Questo è quello che dicono. E i familiari aggiungono: “sono vittime, sono stati provocati, la ragazza si è offerta, ci sta”.
E gli altri compagni? “Silenzio. Mi è rimasto impresso il caso di una bambina di tredici anni, in provincia. Le hanno rotto le costole durante il cambio delle ore, perché non si ribellava e subiva ciecamente gli insulti e le vessazioni. Un gruppo di quattro. Nessuno l’ha difesa. Se vuole sapere perché si arriva a questo, le dico come la penso. Perché non viene capito il disvalore dei soggetti più deboli e labili, con minor capacità reattiva: la vigliaccheria è ai massimi livelli. Ma si arriva a questo anche e soprattutto perché le madri iperproteggono figlie e figli fin dalle elementari. E quando sono alle medie, li provvedono di soldi e telefoni costosi. Poi c’è un terzo motivo: sa cosa farei, se potessi?”. No, non lo so, dissi. “Bene, prenderei per il collo i vertici Rai e Mediaset e li inchioderei al muro. Editori, dirigenti, autori. E imporrei il canone etico: un vero codice, non una formalità. E se non lo rispettano li caccerei tutti. Le faccio l’elenco: Michele Cucuzza. Maria De Filippi. Maurizio Costanzo. Lo staff di Buona domenica. Bruno Vespa, con il caso Cogne trasformato in soap opera. Con questi modelli, cosa devono pensare i ragazzi? Quel che penso io, è che da questa situazione non si torna indietro”.
Infatti siamo andati avanti. Ricordo un bellissimo articolo di Monica Pepe nei giorni del Metoo, quando fu una delle poche a mettere il dito sulla crisi profonda dei rapporti sentimentali, familiari, delle nostre emozioni:
“C’era una grande scommessa che ballava sulla pelle del mondo, quella di essere uomini e donne libere. Ma quando come donne abbiamo finito di dire agli uomini tutto quello che in loro non andava, non abbiamo avuto il coraggio di fare lo stesso con noi, e ci siamo rinchiuse nuovamente nell’ipocrisia e nei sensi di colpa che sono le facce con cui il potere, maschile e femminile, da sempre ci imprigiona e determina il nostro stesso vivere”.
Allora, ogni cosa smette di essere illuminata, si arrotola attorno a se stessa come le lucine che mia figlia ha messo attorno ai pali dei ponteggi, e che pure sono speranza, sono quei sogni stesi sul selciato, o attorno a un ponteggio, di cui parlava Monica. E non ci sarà più luce, se noi non ritroviamo il capo del filo. Perché possiamo sbranarci, insultarci, insultare, parlare di Salvini tutti i giorni, non parlarne, scrivere false notizie, chiedere scusa, non chiedere scusa, imprecare, tacere. Possiamo fare tutto, ma se non partiamo da qui, dalla crisi profonda, profondissima, emozionale prima che economica, non finiremo nell’abisso, tranquilli. Vivacchieremo, convinti di fare il buono e il giusto. Ed è meglio, credo, l’abisso.

3 pensieri su “PER RADIO RADICALE (SEDICI): OGNI COSA PERDE LUCE, O DELLA CRISI EMOTIVA.

  1. Io mi auguro che rinasca come “Radio 4.0”: visual (in dtt nazionale), digital (Dab, Ip e Satellite) e che dismetta la costosa rete FM prima che il suo valore perda di appetibilità commerciale, magari mantenendo solo le grandissime aree urbane (Roma, Milano, Napoli, Torino, al limite Bologna se non vi sono problemi interferenziali).

  2. Io sono il papà di un bambino “che disturba”. E sì, è vero: la tutela dei bambini è diventata, per tutti ” la tutela del mio bambino”. Senza empatia, senza mediazioni. Personalmente vivo questa cosa come una sconfitta cosmica.

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