PERCHE' SONO USCITA DA TSIPRAS E IL GIORNALISMO DEL GOSSIP

Questo è un post che mi dispiace scrivere. Se lo faccio è perché, come detto altre volte, non solo non rimpiango nulla dell’esperienza nell’Altra Europa con Tsipras e di quello che ha dato a me e delle potenzialità che tuttora ha, ma perché sono convinta che quell’esperienza non sia morta e che possa anzi proseguire felicemente. A patto di fare chiarezza. A patto che un certo modo di fare politica e di fare giornalismo vengano alla luce e vengano, come è giusto, smascherati.
I fatti, dunque. La settimana scorsa ho scritto qui le motivazioni per cui ritenevo concluso il mio percorso. Sono stata, credo, pacata e certamente generica. Volutamente. Ho fiducia nell’intelligenza e nella buona fede di chi è ancora presente nel progetto, e non intendevo prestare il fianco al pettegolezzo con cui viene raccontata, ancora oggi e ogni giorno, la lista Tsipras.
Il risultato è questo articolo di Daniela Preziosi uscito sul Manifesto di sabato. Un articolo dove si rappresenta una realtà distorta, fatta di velenucci e colpi bassi, e dove il mio congedo viene motivato così:
“Ma la ’base’ è per­corsa da malu­mori di varia natura: ex can­di­dati che sbat­tono la porta (così ha fatto la gior­na­li­sta Lore­dana Lip­pe­rini, ’accu­sata’ di aver fatto parte della giu­ria del pre­mio Tata­rella, un ex Msi)”.
E’ un falso.
Nella mailing list della lista, dove ho reso pubblico il mio abbandono prima di scrivere qui, sono intervenuta subito dopo una mail di Guido Viale, che ritenevo e ritengo escludente, come altre in precedenza, e tesa a ridisegnare un percorso divisorio, come altre in precedenza. Al mio abbandono, nel giro di pochi minuti, sono seguiti quelli di Giuliana Sgrena e Elena Ledda, con le stesse motivazioni.
Solo molte mail più tardi, una persona è intervenuta, come spesso avviene in questi frangenti, scrivendo sostanzialmente che non vedeva l’ora che mi togliessi dai piedi, fra l’altro perché avevo preso parte alla giuria letteraria del Premio Città di Bari intitolato a Tatarella, dunque, in sintesi, ero connivente con i fascisti. Ho ritenuto la polemica scioccamente velenosa, e non ho risposto. Sul Premio Città di Bari, che non si tiene più da quattro anni, dico solo che sono stata chiamata in giuria da un assessore di SEL, Nicola Laforgia, insieme ad altri loschi figuri con celtica e manganello che rispondono al nome di Nicola Lagioia e Michele Mari, e che al premio ho conosciuto, per dire, una nota fiancheggiatrice di Casa Pound come Elena Gianini Belotti.
Dunque, non ho risposto alla polemica in quanto secondaria e irrilevante, e comunque cronologicamente posteriore al mio addio.
Sul Manifesto, invece, questa viene presentata come motivazione: chi ha scritto l’articolo, che abbia letto la mailing list sotto copertura o abbia ascoltato la sua maliziosa fonte, non ha sentito il bisogno di interpellarmi. La scusa è stata: “non avevo il tuo telefono”. Bene, penso di essere la persona più rintracciabile dell’universo. La mia mail è pubblica e i miei account sui social sono a disposizione.
Il peggio viene ora.
Quando ho telefonato a Daniela Preziosi, le risposte sono state, in ordine sparso: pensavo di averti fatto un favore, ho indicato quella motivazione per far toccare con mano il livello della lista e ho avuto molte telefonate di solidarietà per te; i miei lettori non avrebbero capito la motivazione reale perché troppo complicata da spiegare, per di più in polemica con un collaboratore del Manifesto; in fondo una polemica c’è stata davvero quindi non ho detto bugie;  ho diritto di sbagliare; mi hai aggredita; mi hai dato del lei; hai chiesto una rettifica in toni giustizialisti;  se proprio vuoi scrivimi una mail di rettifica ma senza criticare la mia persona e ti risponderò nella rubrica della lettere. Infine: sto lavorando.
Io, in effetti, non stavo lavorando: stavo incartando piatti e bicchieri a casa di mia madre, il che non può essere considerato lavoro. Di questo chiedo venia.
Per tutto il resto, non mando mail ma scrivo qui, grazie tante. E scrivo che: trovo intollerabile il racconto di un progetto politico ridotto a puro gossip. Trovo intollerabile la mancanza di rispetto nei confronti delle persone che ne hanno fatto parte. Trovo intollerabile fare carne di porco delle persone stesse: sia a fini giornalistici, sia, nel caso dell’uso scorretto di una mailing list,  per mantenere vive correntine e giochini. La mia uscita non è stata la reazione isterica a due mail: è stata una presa d’atto che finchè si agisce come stanno agendo alcuni non ritengo possibile un percorso sereno. Per me e altri.
Altro non ho da dire. A chi rimane, l’augurio sincero di buon cammino.

19 pensieri su “PERCHE' SONO USCITA DA TSIPRAS E IL GIORNALISMO DEL GOSSIP

  1. In the winter I gathered all my sorrows and buried them in my garden.
    And when spring April returned and spring came to wed the earth, there grew in my garden beatiful flowers
    unlike all other flowers.
    And my neighbours came to behold them, and they all said to me, “When winter comes again, at seeding time,
    will you not give us of the seeds of these flowers that we may have them in our gardens?”

  2. Quando Il Manifesto la fa fuori dal vaso. Divertente come una farsa inquietante come un dramma comprimario Nicola Lagioia con celtica e manganello, ma anche la Ledda la Sgrena e la Belotti

  3. Per correttezza, e senza nulla togliere al divertimento: Elena Ledda e Giuliana Sgrena non erano citate nelle poche righe dedicate al Premio Tatarella. Vediamo di non confondere piani e discorsi.

  4. Spostando indietro la macchina da presa e allargando il campo, noto con enorme tristezza che quello di cui qui si parla non è un caso isolato, ma uno dei tanti esempi di come il “metodo Boffo” sia stato interiorizzato anche a sinistra (sinistra?): dal “il personale è politico, ciò che è politico è anche personale” si è passati alla ricerca istintiva, di default, di una ragione personale dietro ogni atto politico, e all’interno della sporta di cavoli altrui alla ricerca del cavolo marcio, e poco importa se tale (cioè marcio) appare solo perché il rovistatore di turno non sa che ci sono anche cavoli viola.
    Poi, da pugliese (ma credo che eissta ancora una pagina fb dell’evento), aggiungo che il Premio Tatarella fu istituito nel 1998 non dal partito di Pinuccio T., ma da un ente pubblico (il comune di Bari) di cui Pinuccio T. era assessore (al Mediterraneo), e che mantiene la sua denominazione perché successive maggioranze di segno opposto non hanno ritenuto di doverne cambiare la denominazione; e come tale è un evento letterario che non afferisce a un partito politico
    – ma che te lo dico a fare? (tra l’altro, un ulteriore pericoloso camerata di quell’edizione era il noto comico in orbace Dario Vergassola, presentatore della serata)

  5. Chieso scusa, lo riposto senza il fastidioso corsivo che è partito per errore:
    Spostando indietro la macchina da presa e allargando il campo, noto con enorme tristezza che quello di cui qui si parla non è un caso isolato, ma uno dei tanti esempi di come il “metodo Boffo” sia stato interiorizzato anche a sinistra (sinistra?): dal “il personale è politico, ciò che è politico è anche personale” si è passati alla ricerca istintiva, di default, di una ragione personale dietro ogni atto politico, e all’interno della sporta di cavoli altrui alla ricerca del cavolo marcio, e poco importa se tale (cioè marcio) appare solo perché il rovistatore di turno non sa che ci sono anche cavoli viola.
    Poi, da pugliese (ma credo che esista ancora una pagina fb dell’evento), aggiungo che il Premio Tatarella fu istituito nel 1998 non dal partito di Pinuccio T., ma da un ente pubblico (il comune di Bari) di cui Pinuccio T. era assessore (al Mediterraneo), e che mantiene la sua denominazione perché successive maggioranze di segno opposto non hanno ritenuto di doverne cambiare la denominazione; e come tale è un evento letterario che non afferisce a un partito politico – ma che te lo dico a fare? (tra l’altro, un ulteriore pericoloso camerata di quell’edizione era il noto comico in orbace Dario Vergassola, presentatore della serata)

  6. Che dire. La politica è un’arte nobile quanto il giornalismo.
    Quando la si usa per il bene comune.
    Quando invece, biecamente, la si usa per fini propri, calpestando la dignità altrui, come nel caso occorso a Loredana, è quanto di più ignobile si possa immaginare.
    Per quel che vale, tutta la mia solidarietà, ad una persona che difende le sue idee a testa alta. Forza Lippa, chissà che non si riesca a riportare il percorso politico sui giusti binari, anche grazie alla tua scelta.

  7. Piccole precisazioni per ragioni deontologiche, perché per ragioni professionali, umane (e pure politiche) non partecipo all’avvitamento psicologico della lista che pure sul manifesto abbiamo appassionatamente sostenuto. Riferisci il nostro dialogo come un fumetto: ciascuno scrive come vuole, ma io non faccio balloon. La polemica su di te a proposito del premio Tatarella c’è stata, tu lo confermi, ho scritto solo questo. Non è un gossip. Ti ho detto e ripeto che mi sembra emblematica, è una mia sindacabile opinione, abbi pazienza se ne ho una. Ne esci bene, mi pareva, comunque mi sembrava interessante. Non ho scritto le ragioni del tuo abbandono, rileggi il pezzo con calma. Perché: perché i contrasti fra alcuni di voi sono difficili da raccontare, perché – ancora mia opinione e scusa se ne ho un’altra – segnati da personalismi: non mi sembrano una gran notizia, posso sbagliare, magari un giornale di destra ci si divertirebbe. Peraltro alcuni di voi sono collaboratori del manifesto: se ritengono possono scriverne loro (questo ti ho detto, e non che non ne scrivo perché sono nostri collaboratori, altro fumetto). Inoltre: le nostre fonti non sono solo nella rete, vien da dire ‘esci dal blog’. Per scrivere mezza riga, tanto lo spazio di cui parliamo, di una cosa pubblica e rintracciabile non c’era bisogno di conferma. Io la chiudo qua, ringrazio tutti della pazienza, faccio la cronista di un materiale umano delicato e incandescente, la sinistra; se sbaglio me ne scuso, ma se la musica è brutta il classico della sinistra è sparare sul cronista.

  8. L’ho già scritto in privato a Loredana Lipperini : sono felice che abbia scelto di uscire da Tsipras perché credo che in questo momento storico non ci sia spazio per le persone che intendono la politica come la intende lei. E credo che questo non necessariamente sia un male. Forse i politici di professione potrebbero arrabbiarsi scoprendo che chi li osserva dall’esterno e quasi sempre in silenzio tende a girarsi dall’altra parte mentre pensa che questo paese avrebbe bisogno proprio di persone come Loredana Lipperini. E potrebbero arrabbiarsi ancora di più scoprendo anche che chi si gira dall’altra parte non ha bisogno di loro, i politici, per avere una strada da seguire, perché la politica buona la pratica tutti i giorni: quando lavora, quando esce a fare la spesa, quando comunica civilmente e cerca di costruire attorno a sé un clima umano vivibile. Questo si che potrebbe essere un gossip…

  9. (Ha anche letto Celine)Se c`e` un momento storico della sinistra italiana da buttare al cesso e` quello in cui si aizzavano i militanti a suggerire un`uscita di scena alla mishima al buon de gregori in quanto reo di vaghe connivenze con il nemico non altrimenti precisate. Tra la sinistra che si e` svenduta e quella che preferirebbe la fine del mondo piuttosto che aprire bene gli occhi e guardare la sostanza delle cose ci sono praterie sterminate sotto le stelle dell`orsa, e “comici, spaventati guerrieri”

  10. @ Daniela Preziosi
    Già che parli di deontologia professionale: se non scrivi delle ragioni dell’abbandono di L.L. (e verrebbe da dire: se non vuoi o non puoi scrivere le ragioni, o pensi che in mezzo rigo non riusciresti a renderle comprensibili al lettore, non ne parli, se hai solo mezza riga la usi meglio), ma ci metti accanto il caso-premio Tatarella, il lettore ne deduce che la polemica sul premio sia la ragione. L’uso degli accostamenti è un caso da manuale (tipo: articolo su Boldrini, e accanto immagine di barcone pieno di migranti; articolo su deputata tal dei tali che critica B., e accanto articolo sulla prostituzione), deontologia sarebbe non solo non usarli (gli accostamenti), ma riconoscerli quando involontariamente te ne scappa uno, prima di consegnare il pezzo. O riconoscere di aver toppato (questa si chiama modestia, e sarebbe anch’essa parte della deontologia).

  11. Dall’ altra stanza una eterna ottimista ascolta i 90 anni di radio col “Verzo” Siniba -meglio della macchietta di Marenco- che sta pettinando con la lingua il dannunziano critico d’ arte occhialuto che veste come n’ impresario di pompe funebri… Lori, fai outing da quella brutta storia in assoluto. La sinistra in italy non è mai esistita: sono solo delle preziose ridicole o dei modesti tartufi … burattini metafisici contenti del posticino buroculturale.

  12. Gentilissima Anna, gli unici libri che ho smerciato durato la campagna elettorale sono state le copie di Avvisi ai naviganti, concepito proprio per finanziare la campagna elettorale de L’altra europa per Tsipras. Ognuno come si vede, dà quel che ha, e quel che è. Commenti inclusi 🙂

  13. Grazie per aver precisato, non che io abbia dubbi su quello che fai pubblicamente, o che mi faccia ancora illusioni sulla deontologia giornalistica in Italia. Con la stima di sempre,
    Barbara Summa

  14. Però questo dimostra ancora una volta come nella sinistra-sinistra ci siano sempre delle divisioni o, comunque, delle incomprensioni. Una maledizione?

  15. Cara Loredana, sono convinto che l’elettore-medio di Tsipras sia stato abbastanza avveduto e consapevole da aver saputo valutare candidat* per candidat*. Persone come te a altre che sono “scese in campo” con idee serie e animo nobile sono state ampiamente riconosciute (e in diversi casi pure votate), il resto è squallore al quale ti prego di non abboccare: se questo Paese galoppa verso destra (politicamente e culturalmente) ci sarà pure un motivo…

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