Parliamo di soldi. Parliamo di mercato. Parliamo di vendite. Di libri.
Ci ragionavo sfogliando Come scrivere un best-seller in 57 giorni di Luca Ricci, leggendo l’intervista a Dan Brown per l’uscita – oggi – del nuovo romanzo, Il simbolo perduto, e provando a immaginare quanti libri sulla Massoneria ci attendono nei prossimi mesi (e magari è un bene, chi lo sa).
Nei discorsi fatti in questi giorni sulle gabbie e la corsa al prosciugamento dei filoni narrativi, esiste un pericolo di snobismo: quello che fatalmente e ciclicamente porta a dire “non vendo/e perchè sono/è troppo bravo, troppo avanti per i gusti del lettore. E’ solo chi fa concessioni al volgo a ottenere il successo”.
Falso, naturalmente, e non soltanto in termini letterari.
Qualche giorno fa ho citato la teoria dei due oceani. Per essere precisi, si chiama Blue Ocean Strategy, ed è stata teorizzata cinque anni fa da W.Chan Kim e Renée Mauborgne. Cerco di riassumere, da non esperta di marketing, quello che sostiene. Ci sono due oceani, appunto: uno è rosso. Rosso come il sangue. Perchè restare nell’oceano rosso significa dover competere (a morsi) nello stesso spazio di mercato con altri “predatori”. Più l’oceano rosso è affollato, più, tra l’altro, i margini di guadagno si assottigliano. Riportate la faccenda in termini libreschi e fate uno sforzo di memoria. Esce Harry Potter? A seguire, valanga di titoli su maghi/maghe in età scolare, possibilmente miopi. Esce Il codice da Vinci? Altra valanga di mistery dove si indaga su quadri, papiri, geroglifici, manoscritti, pietre filosofali e via così. Esce Il diario di Bridget Jones? Eccetera (Twilight, come si è detto, è solo l’ultimo esempio).
Ma quei libri vendono, dirà l’editore/venditore/libraio. Nessuno lo nega: la domanda è “per quanto tempo?”. Inoltre, la strategia dell’oceano rosso è percorribile: ma si limita a sfruttare la domanda esistente. Pace.
L’oceano blu, invece, è quello dove si crea una nuova domanda, dove della concorrenza si fa a meno, e dove si apre un nuovo spazio. Per dire, l’iPod nasce in acque azzurre.
Qualcuno ci pensa, ogni tanto?
Ps. Naturalmente il discorso vale per molti settori. Incluso quello pubblicitario di cui spesso qui si discute: uno degli ultimi esempi, segnalatomi ieri, non è soltanto offensivo e umiliante. E’ ripetitivo. Batte su concetti già assodati. E non è affatto certo che abbia effetto.
Ah, meno male che hai affrontato questo discorso.
Mi ero pentita di aver scritto il mio commento su ‘Gabbie’, perchè mi pareva che avessi affrontato il problema da un punto di vista troppo terra terra (il denaro?! ohibò).
Si parla tanto, in termini aziendali, di ‘vision’, ma io vorrei sapere proprio quale ‘vision’ abbiano gli editori (e non solo loro, ovviamente). Mi paiono di una miopia e di una pigrizia desolanti.
Ho come la sensazione che la navigazione nel Red ocean, in italia, sia molto più che una mancanza di coraggio commerciale e di impresa. Si tratta di un vero e proprio fenomeno antropologico. Mi sembra di vedere questa tendenza in ogni aspetto della vita di questo paese. Gli spazi per osare mi sembrano siano minimi tant’è che ogni innovazione viene dai più identificata come avanguardismo elitario (che sia artistico, commerciale, produttivo, politico o sociale non importa). Non esiste l’idea che una cosa possa essere contemporaneamente innovativa e di massa, mentre in altri paesi questi concetti si vedono molto spesso assieme proprio perché il pubblico è pronto a recepirli contemporaneamente… In Italia non mi sembra che funzioni così.. oppure, la mia, è solamente sfiducia nella gente.
Povera gente! In questo paesse non pare godere di molta stima. E però poi non cadiamo dalle nuvole, con grande scandalo, quando si lascia sedurre da chi dice di amarla e di capirla tanto!
Forse sbaglio, ma l’oceano blu mi sembra che sia quello che dà più margini di profitto quindi sarebbe stupido non tentare lì.
Probabilmente per un amo gettato nell’oceano blu, ne vengono gettati cento in quello rosso.
Harry Potter era nel blu quando è stato acquistato dalla Salani (e rifiutato da altre). Ed è stata la sua fortuna.
Cara Loredana,ho letto il tuo libro e ne sono rimasta davvero colpita.Non nel senso che mi ha shoccata ma che è stato per me come un confirmatio.Una confirmatio delle idee, delle intuizioni ,delle sensazioni che avevo in nuce dentro di me,sicchè leggerle nero su bianco e sentirle così mie,nostre,mi ha colpito.La tua è un’indagine accurata ma mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca non leggere una qualche prospettiva di soluzione al problema dei generi.Cioè tu dici in sostanza che bisogna agire sui modelli,cambiare i modelli.Ma se educare è trasmettere una ideologia,io questa ideologia alternativa non la vedo.Come si fa ad agire sulle bambine se non si riesce ad agire sulle madri?Come si può cambiare e cominciare a parlare di Persone e non di uomini e donne quando gli stereotipi sono tutti intorno a noi nelle teste delle persone donne in primis?Ho 27 anni,un ragazzo che amo ma non sogno minimamente il matrimonio o i figli e quando lo affermo seria mi prendono in giro,se la ridono(donne e uomini) oppure cominciano a guardami in maniera strana.A tavola dai miei suoceri finito il pranzo le donne AUTOMATICAMENTE si alzano e cominciano a sparecchiare e lavare piatti e spazzare e fare il caffè e gli uomini non alzano un dito.E io lo faccio ma mi sento frustrata,profondamente,nell’anima e nella dignità.Allora quando la Zanardo alla fine del suo “Il corpo delle donne” chiede “perchè non ci ribelliamo?di che cosa abbiamo paura?” io mi chiedo perchè le donne non si ribellano a cominciare dal quotidiano?Forse perchè sono state condizionate a credere che le cose devono andare così o addirittura che a loro PIACE lavare le mutande del marito mentre lui sprofonda nel divano.E se io volessi cambiare le cose nel mio piccolo,come faccio?Da dove comincio se tutte intorno a me le donne,le amiche,le conoscenti,le colleghe,le suocere,le nuore,le mogli degli amici del mio ragazzo remano contro?Mi isolo nella mia battaglia?Che ripeto,deve partire dal quotidiano.
Grazie se risponderai e scusami per lo sproloquio
Vediamo un po’.
L’oceano blu è affascinante e le sue vie meno battute. Perchè ovviamente è più agevole scimmiottare che creare. Eppure mi viene da pensare: la magia di Harry Potter è ‘la solita magia’ fatta di bacchette magiche, maghi cattivi, scope che volano, erbe miracolose… Ma è il modo con cui vengono mescolati questi ingredienti, lo stile fresco e accattivante che conquistano e rendono tutto un po’ nuovo. Nel Codice da Vinci, libro di scarsa qualità letteraria a mio modesto modo di vedere (mi scuso per le troppe m), i soliti vangeli apocrifi in salsa thriller. Allora già sarebbe un passo avanti trovare qualche avventuriero disposto a solcare l’oceano blu trovando modi nuovi di raccontare BENE anche le cose vecchie. E la cosa che preoccupa è che ce ne sono pochi (-issimi…), e magari quelli che ci sono preferiscono azzannarsi nell’altro oceano.
Vorrei anche commentare il commento (aaahhh) di Mary82 ma non trovo le parole giuste. Mi sembra, come dirlo?, perlomeno ingenuo. Uno ‘sciopero delle donne’… Già Aristofane lo aveva ipotizzato, e come andò a finire?
@ephorus
la commedia di Aristofane che citi non mi pare assolutamente calzante col mio discorso.
Non ho parlato di scioperi del sesso.
Ho citato le parole conclusive del documentario della Zanardo e chiedevo alla Lipperini come tracciare una nuova prospettiva ideologica,da dove partire per cercare una soluzione al problema e non soltanto fermarsi all’indagine,alla raccolta dei dati,a delineare un quadro della situazione che ripeto ha fatto in maniera straordianaria nel suo libro.
Io sinceramente mi stufo preso delle “copie” dei prodotti che riempiono l’oceano rosso. Preferisco provare qualcosa di nuovo.
Oltretutto anche dal punto di vista degli autori solo il primo arrivato diventa famoso, tant’e’ vero che ormai tutti i lettori multimediali vengono chiamati iPod e tutti i maghetti sono chiamati Harry Potter. Insistere nell’oceano rosso non mi pare abbia molto senso.
a proposito del libro di ricci, dal titolo mi sembrava un manuale, invece qui se ne dà una lettura ben diversa: http://www.coltisbagli.it/2009/10/15/un-meta-racconto-eticamente-pop/
Scusate il ritardo. Ovviamente a me sembra ingenua la reazione di ephorus. Mary, non ho le risposte e non credo sia giusto che io le abbia: se non una. Decifrare quel che abbiamo intorno, quello che io chiamo immaginario: le narrazioni che passano non solo attraverso televisione e pubblicità, ma attraverso tutto quel che ci circonda. Educarci a riconoscerle per educare. E parlarne, anche con tre persone, ma parlarne.
Questo è un punto di partenza: e neanche così piccolo.
Quanto alla parte del commento di ephorus che riguarda gli oceani: raccontare bene le cose vecchie, e miscelarle in qualcosa di nuovo, è blu. Secondo me.
Io non credo che alzarsi da tavola per lavare i piatti sia una cosa così disdicevole… tutto qui. a casa mia spesso lo faceva anche mio padre, e anche i figli, l’abbiamo sempre interpretato -mia madre in primis- come un modo per vivere la famiglia, dove si cerca tutti di dare una mano e si sta bene insieme perchè nessuno pensa a difendere i suoi diritti.
Detto questo ho apprezzato moltissimo il documentario della Zanardo -che ho visto e fatto vedere a molte persone- e non perchè promuove la rivoluzione, ma perchè cerca di difendere la dignità della figura femminile e lo fa in modo intelligente. Sottolineo semplicemente che la dignità della donna non è più difesa se c’è una certa percentuale di donne in tutti gli ambienti della società, ma se ogni donna riesce a realizzare se stessa seguendo le sue attitudini e mettendo a frutto le sue qualità. Esattamente come gli uomini. Mi sembra discriminatorio trattare le donne come una specie protetta…
Grazie Loredana.
@ephorus
“spesso lo faceva anche”
E’ quell “anche” che sottolinea che le faccende domestiche siano una prerogativa della donna,connaturata in lei,una qualità discesa in lei come lo spirito santo.Mentre gli ometti della famiglia “spesso,anche” “collaborano” “danno una mano” ma danno già per scontato che non spetti a loro.Ma queste cose le ha già sottolineate Loredana in maniera inappuntabile nel suo libro e ora mi taccio.
Capisco. Però se l’uomo lava la macchina o fa alcune riparazioni in casa o va a pagare le bollette alla posta non è che si sente discriminato per questo. Insomma sono d’accordo che uomo e donna devono avere gli stessi diritti e pari dignità, che è inaccettabile la violenza sulle donne (come su tutti gli altri, uomini, bambini, extracomunitari, ecc.), e per quello sono pronto a battermi. Però cavolo, uomo e donna sono diversi, non si può fare finta che non sia così. Non ho letto il libro di Loredana però mi sembra che a volte si esageri un poco nei discorsi che si fanno.
E ci credo bene che non si sente discriminato!L’auto non la lava lui semmai la porta a lavare(una volta al mese),le bollette una volta al mese,le riparazioni in casa una volta ogni tanto,a meno che non vivi in una capanna.E tutti i santissimi giorni la schiava lava,cucina,lucida.
Beh ecco,quest’ultima tua risposta ephorus è quella che mi viene data più spesso e non regge.
Ti invito a leggere il libro comunque,a prescindere da questo discorso che tu definisci “ingenuo” o “esagerato”.
Saluti
Vabbè, vedo che hai il dente avvelenato. Mi dispiace. Chissà come ti hanno trattato gli uomini della tua vita.
Sei tipico,topico,banale,prevedibile.Mi dispiace
Con questo tipo di femminismo non si va da nessuna parte. Se l’effetto dei libri di Loredana è questo, mamma mia. Lei con buon senso suggerisce di parlare con tre persone, di avere senso critico e riflettere e far riflettere, ma se parti così come fai?
Hai bollato subito il mio intervento come “ingenuo” salvo poi intrometterti a più riprese sempre nel mio discorso continuando ad dispensare una serie di appellativi negativi sullo stesso.E puntualmente dimostrando tu stesso ingenuità e acriticità per chiudere in bellezza con una frase che dice tutto “chissà come ti hanno trattata gli uomini della tua vita”.Il mio uomo non mi “tratta”,mi ama.E non ho parlato di femminismo,nè storico nè attuale,io parlo di persone.E purtroppo con le persone dall’argomentare dozzinale e polemico è cosa vana e faticosa discorrere.
Hai ragione Loredana,urge “Dalla parte dei bambini”.
Mi sono molto interessato dal video di Lorella Zanardo e dalla sua battaglia culturale, che condivido pienamente: la dignità della donna calpestata in tv, la ‘violenza’ con cui vine trattata, il culto della bellezza e della giovinezza come valori assoluti, ecc. mi sembravano messaggi abbastanza forti espressi con semplicità e forza. Ne ho parlato e l’ho mostrato a varie persone. Poi sono arrivato su questo blog, pensavo fosse un luogo per parlare in modo costruttivo di questi temi. Evidentemente mi sono sbagliato. Pazienza. Torniamo a parlare di libri, che è meglio. Un saluto senza alcun rancore.
Vi supplico… Evitate la solita, trita, giaculatoria sull’editore ottuso e
vigliacco, sull’affarista consumato reo di aver dato alle stampe l’ennesimo spaghetti thriller dopo aver, magari, rifuitato il nostro capolavoro sperimentale d’esordio. L’editoria è, prima di tutto, un mercato. Un mercato di cultura e di intrattenimento, ma pur sempre un mercato. In quanto tale, non può ignorare l’esistenza dei trend, quali che siano. Non li igora il cinema. Non li ignora la musica. Non li ignorano la moda, il design, la grafica. Perché accidenti la narrativa dovrebbe porsi in modo differente?
Se fossi un editore, anch’io farei cadere la rete nell’oceano rosso.
Se fossi un editore, in questo momento sarei a caccia di un buon thriller
esoterico (o di una storia di vampiri emo) da buttare in rotativa.
Non me ne vergognerei affatto.
Perché seguire il trend significa relativa certezza di guadagno. Relativa certezza di guadagno significa non essere costratti a chiudere baracca; poter pagare gli autori; poter garantire ai collaboratori il trattamento più giusto; significa anche, magari, se i guadagni sono davvero buoni, poter
tentare l’azzardo, e cercare qualcosa di buono anche nelle acque blu.
E di azzardo si parla: perché è un errore pensare che tutto ciò che venga dal Blue Ocean sia per forza valido, efficace, capace di imporsi e di durare nel tempo. Anche il Betamax e quegli affari elettrici a due ruote
di cui nessuno ricorda nemmeno il nome venivano dalle acque blu…
A mio avviso, Loredana, se proprio dobbiamo trovare un vulnus, sempre che di vulnus si possa parlare, allora dobbiamo guardare… verso di noi.
Noi inteso come lettori. Siamo i primi a lagnarci della narrativa modaiola e delle minestre riscaldate. Ma al tempo stesso sappiamo dimostrarci tremendamente conservatori, diffidenti verso la novità, spaventati dal libro che non riusciamo a inquadrare dopo aver letto le prime tre righe sulla quarta di copertina. Assatanati di reiterazione, masturbatori, bulimici. Se non fosse così, in cima alle classifiche ci sarebbe Dario Voltolini, non Giorgio Faletti. I veri squali del vostro oceano rosso siamo
noi. Ci fate assaggiare un boccone di una certa storia. Quel sapore ci piace, e noi ne vogliamo ancora, e ancora, e ancora, fino alla nausea, alla saturazione, al rigetto. Ma in questo non c’è nulla di sbagliato. E’ umano. E’ lo stesso atteggiamento che, da piccini, avevamo sulle ginocchia della nonna, quando le chiedevamo di raccontarci, per la centomilionesima volta, la fiaba dei tre porcellini…
Un saluto a tutti. Scusate la lunghezza e il probabile (vista la piega
presa dalla conversazione) off topic.
L.
@L. Scusami L ma come lettrice non mi sento proprio di prendermi addosso la croce dell’inabissamento nel mar rosso. E per quanto abbia dato addosso all’editore nei miei post, non penso che sia lui l’unico responsabile, visto che sicuramente il sistema è composto da diversi soggetti.
I nodi della filiera che va dall’autore al lettore sono parecchi, anche se probabilmente la parola ‘filiera’ non è la più azzeccata e si dovrebbe parlare forse di un sistema a rete, dove non è detto poi che lo scrittore sia il motore primo del processo. Su di lui, infatti, arrivano molti inpulsi, pure quelli del lettore (vero o immaginato che sia), il mitico target che, nello stesso tempo è il bersaglio ma pure la freccia e, nella tua apocalittica rappresentazione, sembra essere proprio lui il motore immobile e immobilizzante del sistema.
Più che in un mare, noi lettori siamo impantanati in una pozzanghera, no? E’ questo che tu mi pare stia dicendo.
La vecchia nonna ci ammannisce una favola trita e ritrita e noi, come bambini desiderosi di rassicurazioni, lì a chiedere sempre la stessa storia e a controllare che ci venga narrata senza nessuna variazione di sorta.
Ma, scusa, ‘la nonna’… chi?
Ecco, io ogni tanto mi innammoro di spiegazioni che mi convincono. Magari temporaneamente, ma ci rimango attaccata (non a caso, evidentemente, sono una lettrice).
E allora in tutta l’agitata discussione dello Strega, a cui io come lettrice ho partecipato qui con qualche post (e mi sono confermata nell’idea che mai i lettori dovrebbero avventurarsi sul terreno minato delle discussioni tra addetti ai lavori) una cosa buona l’ho trovata: un intervento di Goffredo Fofi. E’ l’ennesima volta che lo cito, ma lo ripeto.
In sostanza Fofi dice una cosa forse ovvia, ma che a me (lettrice) pare molto sensata, ovvero che la società letteraria (il cui significato pieno mi sfugge) ha perso ormai qualsiasi funzione mediatrice e di orientamento, lasciando il lettore solo tra le braccia della ‘nonna’, dove per nonna si intendono un po’ tutti i soggetti coinvolti, ciascuno dei quali – a questo punto – si dovrebbe assumere le sue responsabilità, su questo non ci sono dubbi, anche il lettore.
C’è un libricino, che ho trovato bellissimo, ‘Letica del lettore’, di Ezio Raimondi, che fa consistere l’etica della lettura nella passione, nel rigore e nella disponibilità a mettersi in gioco.
Sono d’accordissimo. Il mettersi in gioco da parte del lettore, però, funziona sicuramente a livello individuale, ma – almeno secondo me – non può essere il solo lettore la forza trainante di un sistema inerte.
Riguardo alla qualità del pescato dei mari rosso e blu, mi pare che abbia già risposto Loredana. Per me posso dire che noi lettori non siamo così ingenui e rozzi come ci dipingi, almeno non mi pare.
Scusa la veemenza, ma sono davvero stanca di questo indiscriminato ‘dalli al lettore’ che vuole sempre e solo lo stesso pastone, e dunque solo quello gli viene dato.
Io penso che non sia così.
Non sei veemente. Il tuo post mi è piaciuto molto, Valeria. Mi passa un sacco di spunti interessanti. Non credo che mi farà cambiare idea, ma l’ho apprezzato davvero, se non altro per il tempo che mi hai dedicato 🙂
Io non sto ‘dando’ al lettore. Così come tu, logicamente, non hai mai avuto intenzione di ‘dare’ all’editore. Non c’è nessuna colpa. La mia non è una requisitoria, non volevo farne una questione di giudizi morali, e se questo è ciò che è passato, me ne scuso.
Nessuna apocalisse.
Forse si tratta di un cinismo tutto mio.
O forse di una presa coscienza.
Presa di coscienza del fatto che come lettori, come oggetti / destinatari di una narrazione, tendiamo ad amare, tra le altre cose, e a prescindere, la ripetitività e la reiterazione. Questo è un dato di fatto. E allora, dove alcuni vedono la vigliaccheria di un editore, la debolezza di un sistema produttivo – il termine ‘filiera’ è perfetto, per me – o peggio ancora un qualche bizzarro complotto, io vedo soltanto il naturale piacere che possiamo provare nel farci raccontare la stessa storia dieci, cento, mille volte. In questo non c’è nulla di rozzo. E’ umano, tutto qui.
Dimmi, il termine ‘rassicurante’ ti fa così paura?
Io non me la sento di biasimare qualcuno che, alle pagine di un libro richiede ogni tanto, tra il resto, anche un pizzico di rassicurazione.
Per quanto riguarda gli editori, a mio modo di vedere si tratta di gente
che, semplicemente, cerca di stare al passo, di soddisfare un bisogno.
Se poi un giorno sarò editore, e sarò disposta a rischiare di mio,
di tasca mia, sulla pelle mia (e su quella delle persone che lavorano con me, e sotto di me), pur di cercare sempre e comunque la diversità, l’innovazione, l’originalità e… l’etica, beh, tanto di cappello. La mia, la nostra, sarà una scelta coraggiosa, da stimare.
Ma non per questo mi sento di biasimare coloro che questo fegato non ce l’hanno, e si limitano piuttosto ad annusare l’aria, e a seguire la corrente, a trascinare la carretta.
Ti prometto che mi procuro e leggo il libro di cui mi parli, che non
conosco. Ma, temo, partirò prevenuto. Perché vedi, io credo che non abbia poi nemmeno troppo senso di parlare di ‘etica’ del lettore.
Così come, per me, non avrebbe senso parlare di etica del cinefilo, o di etica del degustatore di vini. Dei tre punti che mi citi a proposito del testo, posso arrivare a condividere il primo: la passione. Il rigore e la capacità di mettersi in gioco preferisco richiederle e cercarle in aspetti meno frivoli e rilassanti della mia esistenza. Perché sì: non sono un critico, e non sono nemmeno un editor. Non sono pagato per leggere: pago per farlo. Per me, prima di tutto, leggere è uno spasso, e la sola idea di accostare il termine ‘rigore’ a una delle poche cose non rigorose e realmente libere della mia esistenza, mi fa accapponare, un pochino, la pelle…
Ti dirò. Magari poi riuscirai a farmi cambiare idea…
L.
Caro L, temo di essermi spiegata male. Nessuno vuole imporre al lettore un’etica. E nemmeno all’editore (al marketing, magari, sì: e non gli farebbe per niente male). Semplicemente, se nell’oceano rosso, dove è legittimo nuotare, si trovassero buoni libri, sia pure clonati, non ci sarebbe nulla da dire.
In coscienza, non è così.
@L.
La parola ‘etica’ l’ho usata io, ma non intendevo farne lo spauracchio del lettore. Pure a me ‘piace’ leggere, mica deve essere un cilicio la lettura. D’altra parte lo spasso è una cosa serissima, se prendi sul serio quello con cui ti stai spassando. Ma non vorrei incartarmi in un discorso complicato.
Riguardo al fatto dello sguazzare da parte degli editori in una bagnarola con la paparella invece che prendere il largo in mare pescosi, boh, non lo so, non mi pare un atteggiamento da imprenditore. Non dico nemmeno ‘lungimirante’, dico solo ‘imprenditore’ (l’assunzione del rischio e tutte quelle cose lì).