Ricordo come se fosse ieri un pomeriggio di 21 anni fa, quando intervistai una nota sociologa provando a inserire nel dialogo la questione dell’impoverimento. E perché mai, proprio nel 2002? Semplice, vedevo le persone attorno a me e io stessa che di colpo non riuscivano ad arrivare a fine mese: e non per l’ingresso dell’Italia nell’euro, ma per come quell’ingresso era stato gestito. Nelle vetrine dei negozi (ho ancora presenti quali sono, dopo tutto questo tempo) ho visto passare da un giorno all’altro il costo di una camicetta da 50.000 lire a 50 euro. E tutto questo è stato negato, così come la nota sociologa negò con forza che ci fosse,in Italia, un problema di impoverimento. Quattro anni dopo, le cose sarebbero diventate evidenti.
Ieri ho scritto un post su Facebook, sfidando quelli che suppongono che chi si occupa di cultura abiti nei quartieri alti e mandi i domestici a fare la spesa nel negozio gourmet dei Parioli o di dove volete voi, per condividere lo sconcerto di una piccola spesa nel mio abituale alimentari di periferia (Pietralata) dove quel che a luglio avrei acquistato con una trentina di euro è costato più del doppio.
Se volete avere un’idea di quanto i prezzi del cibo siano schizzati in alto mentre i quotidiani ci intrattengono sui pericolosissimi migranti, Letizia Giangualano ha scritto un ottimo articolo per Alleyoop.
Qui però sorgono almeno due problemi. Il primo, è che esiste una tendenza nella sinistra, o in un certo tipo di sinistra, a non vedere la povertà, o l’impoverimento. Ed è una tendenza che va contro la sua stessa natura, e non da oggi, purtroppo. Il secondo, riguarda molte delle persone che lavorano con le parole, e che dunque possono chiamarsi intellettuali, e che di questi argomenti parlano pochissimo, sia nei loro libri, sia nei loro intervenuti pubblici, che spesso, se critici, si concentrano su cosa non funziona nel LORO mondo, ovvero appunto i loro libri non abbastanza apprezzati, e via andare.
Quello che voglio dire è che esiste una tendenza terribile, e generale, a non vedere la povertà, o l’impoverimento. I licenziati, gli sfrattati, i senza lavoro e i senza casa. Di cui ogni tanto ci si occupa e poi, certo, si dimentica. Ma questo non è un film, non è un romanzo. E’ vero. E che altro deve succedere?
Naturalmente ci sono le eccezioni, grazie alla dea. Ma la tendenza generale mi sembra questa, ed è una pessima, pessima, pessima tendenza: anche perché rafforza la narrazione, che è per lo più ingenerosa, di chi siede alla propria scrivania, in un bello studio ornato da paralumi liberty, ignorando quel che avviene fuori dalla sua finestra.
E io mi rifiuto di tenerla chiusa, quella finestra (quanto ai paralumi liberty, magari averne uno: ma questa è un’altra storia).
Anche io ricordo l’atroce aumento di prezzi che ci fu all’arrivo dell’Euro, tuttavia non sono mai riuscito a spiegarmi come questo non si veda nelle statistiche sui prezzi dell’Istat (contrariamente invece all’inflazione post-covid, quella c’è).
Ci vorrebbero tanti Ken Loach nel nostro mondo letterario. Ma quel che accade è comunque molto indicativo di quanto noi italiani abbiamo ben introiettato la dottrina thatcheriana. Oggi incarnata perfettamente da Giorgia Meloni e dal consenso di cui purtroppo gode.