CHAT GPT NON HA UNA VOCE (ALMENO CREDO)

Per prima cosa vi invito a leggere l’intervista che Annamaria Testa ha fatto a Francesca Lagioia su Internazionale. Per seconda, l’articolo del New York Times sull’azione legale intrapresa da alcuni scrittori contro OpenAI. Cosa rivendicano, fra gli altri, Jonathan Franzen, John Grisham, George RR Martin, George Saunders, Michael Connelly, Douglas Preston e molti altri? Il diritto d’autore, perché, sostengono, i loro libri vengono usati per addestrare ChatGPT, che può così produrre “lavori derivati” senza che venga loro riconosciuto alcun compenso, danneggiandoli non poco: “Il successo e i guadagni di OpenAI si basano sulla violazione di massa del diritto d’autore senza una richiesta di utilizzazione  o un centesimo di risarcimento ai proprietari dei diritti”. In particolare, Douglas Preston si è detto scioccato per aver chiesto a ChatGPT di descrivere personaggi minori nei suoi libri, e la risposta conteneva informazioni dettagliate che non erano disponibili nelle recensioni o nelle voci di Wikipedia per i romanzi. “È stato allora che  ho detto: ‘Mio Dio, ChatGPT ha letto i miei libri. Sapeva tutto, ed è stato allora che ho avuto una brutta sensazione.”
La faccenda è molto complicata, però, e per quanto mi riguarda è difficile esprimere una posizione netta. Resto convinta che nulla potrà mai sostituire l’intelligenza umana, né la sua creatività: so perfettamente che ChatGPT è capacissima di scrivere un romanzo alla Stephen King (gliel’ho chiesto) (a proposito: buon compleanno), ma so anche che quel testo non sarà mai paragonabile a un vero romanzo di King. L’intelligenza artificiale, credo, potrà insidiare gli autori di guide e manuali (e infatti la società micologica statunitense ha già protestato), ma non sarà mai e poi mai in grado di “essere” Cormac McCarthy (mi è arrivato Stella Maris e non vedo l’ora di leggerlo).
Come per ogni avanzamento del progresso, insomma, ci andrei molto cauta prima di esaltare o demonizzare. Ma vedremo.