D’accordo, ho una marea di arretrati, ma ho anche delle
buone giustificazioni. Cominciamo dalla marea.
Primo. Dovrei, giustamente, raccontare di Berlino, dei
misteri della stilografia (come comparare gli stili di scrittura in rete e scoprire
eventuali plagi), di come la vostra eccetera sia rimasta basita davanti alla porta
di Ishtar e di come valga la pena visitare quest’altro museo.
Secondo. Ho varie cose da segnalare in rete. Anzitutto, il
terzo intervento di Wu Ming 1 e Wu Ming 2 sulla popular culture, uscito sabato
su L’Unità e leggibile su Carmilla.
Terzo. Sempre su Carmilla, la seconda parte del De
rerum natura secondo Girolamo De Michele.
Quarto. Vi invito ai festeggiamenti per un nuovo approdo
in rete, il blog multiautore La poesia e lo spirito. C’è un bel po’ di
bella gente.
Quinto. Vi invito anche a leggere l’intervento di Gherardo
Colombo sulla nuova serie di Golem l’indispensabile.
Sesto. Devo riparlarvi, e approfonditamente, di Voi
siete qui. Intanto, leggete questo.
Ovviamente non ho finito, però il punto sette lo riservo
ad un’altra storia. O meglio, alla risposta da fornire ad una vecchia e
ricorrente domanda. Che fine fanno i libri che un critico e/o cronista
letterario riceve, dopo che li ha letti ed eventualmente recensiti? Perché è
ovvio che da qualche parte dovranno pur finire, dal momento che non tutti
dispongono di scaffalature illimitate.
Bene, rispondo per me: io ho pensato di farli finire in
una biblioteca, per meglio dire nella biblioteca del paesello. Ecco,
accade che da sabato la medesima abbia un nome, e una targa. Capito qual è la
mia buona giustificazione?
Dicci due parole su Libero Lipperini… immagino tuo padre, colluso con la Resistenza:- )
Mio padre, infatti, serravallese doc.
Non era colluso con la Resistenza perchè finì a combattere in Grecia, scrivendo un bellissimo diario di guerra, peraltro. In compenso, era un gran divoratore di gialli e fumetti: e qui tutto si spiega.
🙂
Complimenti.
E’ una cosa bellissima, la targa. Ecco, ho trovato qualcosa per cui essere assai più invidioso della raccolta minimum fax d’esordienti, per cui stavo già da un paio di giorni rosicchiando tutti gli spigoli di casa.
(beninteso, l’ho acquistata. Ne conosco un sacco di quei bravi ragazzi che – beati loro – vi hanno esordito)
[Ste]
Cara Loredana,
ho letto il tuo penultimo post. Ne ho letti diversi, ma solamente ora aggiungo un commento ed esco dalle nebbie dei lettori muti.
Non esiste una ragione, né una reale attinenza con quanto hai scritto tu, se non una mossa “animale” più che dell’anima, un sentimento di rabbia e delusione, non ancora di rassegnazione. Con il tuo post sono andato a finire sull’articolo dei Wu Ming riguardo agli aedi, al mito e all’essere molteplice del narrare(-to). Ho letto dell’infinita possibilità e delle ramificazioni del raccontare, e quindi dello scrivere, della potenziale creatività del lettore, che avvicinandosi alla storia con passione e spensieratezza – e con una certa dose di intraprendenza – potrebbe rivitalizzare miti letterari e/o farne germogliare di nuovi.
Certo l’inno ad un approccio rivoluzionario alla creatività (stanca), all’esaltazione della storia, del plot, al di là della forma libro, trasporta il lettore – o in generale il fruitore del racconto (inqualsiasi forma quest’ultimo si presenti) – verso mete davvero impensabili rispetto a quelle garantite dal tradizionale trinomio autore-libro-lettore.
Ma queste considerazioni – vitali e affascinanti, direi rivelatrici – finiscono spesso per andare troppo al di là dell’orizzonte concreto delle cose e, in un certo senso, per trascendere il reale contemporaneo – e perciò contingente, e perciò ineluttabile – del panorama editoriale nazionale in tutti i suoi (banali e tristi, e per questo odiosi) problemi.
Ti scrivo da piccolo editore per dirti che i voli pindarici servono alla promozione della creatività, della scrittura e della narrativa, ma non sono sufficienti.
Per nulla.
Gli aedi di cui parlano i Wu Ming sarebbero voci perse nel tempo se non ci fosse stato un Omero ad ancorarli alla storia culturale di questo pianeta, certo con il rischio di trasformarli in classici “intoccabili”. Un rischio inevitabile.
Piuttosto il problema è un altro ed è quello, molto meno filosofico e molto più prosastico, della liberazione e della rivoluzione del sistema editoriale italiano, correlato ai problemi annosi e un po’ triti della distribuzione libraria.
Certo, ti parla un anonimo e piccolo editore, qualcuno “che siede nelle tenebre” e che ce l’ha a morte con il sistema. Un deluso dalla trasformazione dell’Ideale Feltrinelli nel Mercato Feltrinelli, come ci hanno insegnato tanti piccoli e medi editori durante diversi master per operatori editoriali (e non apriamo il discorso master, che è meglio).
NON SI PARLA MAI ABBASTANZA – e si dovrebbe, forse ancor più che scagliarsi contro la Feltrinelli – della distribuzione, che sottostà alle regole di un mercato fittizio.“Altro che antitrust!”: un cartello (colombiano) che strozza il piccolo editore a prescindere, lasciandogli esclusivamente la libertà di diventare un marchettaro tipografo o semplicemente di morire in pochissimo tempo.
Una cosa ci pare di averla capita, ed è stata sorprendente. Sembrerà strano, ma non sono gli italiani a stare alla larga dai libri, ma piuttosto il contrario. Per la malefica combinazione di necessità & filisteismi di filiera, il mercato libraio (almeno per la narrativa) nel nostro Paese ha tratti paradossali: il potenziale di vendibilità, l’appeal, di un titolo non corrisponde necessariamente alle sue vendite effettive, né tanto meno può essere accertato (almeno per piccoli editori indipendenti) su tale base; la limitatissima visibilità a cui sono costretti – pur avendo (in teoria) distribuzione capillare – fa sì che molti titoli risultino (evidentemente) invendibili per chi non è raggiunto dalla notizia della loro esistenza, ma (in tal modo singolarmente) apprezzati da chi ha la fortuna o la tenacia di “incontrarli”. Non diremmo che in Italia si spende poco “per i libri”, ma piuttosto che si spende “per pochi libri”, cioè per un numero davvero limitato di titoli ad altissima tiratura, pompati da un martellamento mediatico che convoglia i lettori non fanatici (l’ovvia maggioranza) verso una scelta ristretta di autori e opere. E falso appare l’annuncio di morte del sopraffino plaisir gourmand del giro in libreria, come può dimostrare la visita da un qualsiasi librario (serio), in un qualsiasi sabato pomeriggio, in una (quasi) qualsiasi città d’Italia (e Canton Ticino, come aggiungerebbe il distributore nazionale). È vero invece che in quegli stessi posti ti accade di inciampare in montagnole di Faletti, per rotolare in vasche di Littizzetto-Capossela, e finire in pozzanghere di Baricco-Tamaro, sempre se hai avuto la fortuna (e il gusto) di dribblare colline di Vespa, di esoterici della domenica, scomunicandi su richiesta, instant book sulla più recente crisi mondiale…
A meno di non ipotizzare l’agghiacciante costruzione di una tipologia diffusa di lettore militarizzato (un vero e proprio mutante, uno zombie peggiore di quelli di cui s’è detto prima), accanitamente risoluto a trovare quel titolo di quell’autore per quell’editore (per un motivo che evidentemente non potrebbe essere il divertimento), a meno di non ricorrere a tale ipotesi post-umana sarà opportuno tentare una diversa interazione con le logiche distributive.
E NON SI PARLA MAI ABBASTANZA della marea dei piccoli editori (generalmente considerati poveri idealisti, ma generalizzare è peccato mortale) che smarchettano in giro facendo pagare fior di quattrini ad aspiranti scrittori, lucrando sulle aspirazioni individuali, carezzando l’ego abnorme di modesti scribacchini, e riuscendo magari anche a pubblicare (sempre e solo a pagamento) scritti di autentico valore, senza però neppure accorgersi di avere tra le mani un talento e accontentandosi dei 1600 euro di turno come “contributo stampa”, con tanti saluti al talento di cui sopra. Frutto prezioso ma destinato a rinsecchirsi nelle steppe dell’ar(-v-)ida editoria italica.
E NON SI PARLA ABBASTANZA delle società di promozione, che “dovrebbero far crescere” i piccoli editori (lo dicono pure i distributori, ma a quelli non si crede a priori) per poi, in realtà, promuovere solamente i piccoli editori si, ma quelli con tante palanche, come diciamo a Genova.
E NESSUNO PARLA delle banche, che per aprirti un e-commerce sul sito e permetterti di vendere “agevolmente” i libri (che non trovano spazio in libreria) on-line, pretendono di vedere il tuo fatturato dell’anno precedente, per poi chiudersi in un ottuso “queste sono le regole” quando gli fai notare che tu sei una giovane casa editrice, nata ora, e che NON HAI ANCORA un “fatturato dell’anno precedente” da sventolargli sotto al naso.
Ma tant’è…
Noi siamo nati oggi. Abbiamo pubblicato due libri e altri due stanno per uscire. Sono libri validi, se non altro perché interamente finanziati dalle nostre tasche (e questo dovrebbe testimoniare almeno sul fatto che ci crediamo). Noi non prendiamo soldi dagli autori. Abbiamo per le mani un naufrago, uno scrittore vero, che ha pubblicato un romanzo a pagamento con una casa editrice marchettara, la quale, presi i soldi del “contributo stampa”, ha abbandonato libro e autore ad una distribuzione fantasma, senza neppure accorgersi di essere incappata in un vero e proprio talento.
Si dirà: “cavoli loro!”.
Eppure pubblicare cose buone non basta. Non basta neppure metterci soldi propri a prezzo, davvero, di tantissima fatica. Non basta perché grazie alla distribuzione e alla promozione di questo strano Paese, rischiamo di chiudere ancor prima di cominciare.
Per questo vorrei ascoltare meno favole e più cose concrete.
Si lotta per la creatività, per la diffusione del libro, per l’abolizione dei diritti di copyright.
A quando la lotta per evitare l’estinzione dei piccoli editori indipendenti? Noi facciamo guerriglia e ogni anno nasciamo e moriamo per un ideale vero. Cerchiamo Autori. Cerchiamo Racconti. E li troviamo, a volte, ma avremo speso tempo e denaro e non è detto che l’uno e l’altro siano nostri in eterno. Meritiamo rispetto.
Quando i wu ming verranno da me e mi diranno: “toh, eccoti il nostro ultimo romanzo. Pubblichiamolo insieme. Così sconfiggeremo i mali dell’editoria”? Qualcosa del genere è stata fatta in America da King, se non sbaglio. Ma quello, pur nelle sue enormi contraddizioni, è davvero un altro paese.
Perdona lo sfogo.
Un anonimo, giovane, editore agonizzante.
Posso capire il tuo stato d’animo e le tue ragioni, ma sfondi porte aperte una in fila all’altra. Siamo davvero gli ultimi a cui imputare un non-appoggio agli editori indipendenti. E se non proprio gli ultimi, comunque tra gli ultimi.
Come Wu Ming abbiamo pubblicato anche per editori piccolissimi. Per Bacchilega, ad esempio, abbiamo ideato il progetto “Ti chiamerò Russell” e partecipato al progetto “La potenza di Eymerich”. Abbiamo lavorato con editori indipendenti e ultraspecializzati come BD (risultato: il fumetto “La ballata del Corazza”). A un editore indipendente e guerrigliero come Derive Approdi abbiamo dato “Libera Baku ora”, e a un editore medio-piccolo come Fanucci abbiamo dato “Havana Glam”. Ai tempi di Luther Blissett, poi, abbiamo pubblicato con editori non solo indipendenti ma addirittura sotterranei, come Synergon e AAA. A Castelvecchi abbiamo dato tre titoli (“Mind Invaders”, il falso Hakim Bey intitolato “A ruota libera” e un noto pamphlet poi sequestrato dalla magistratura). Sempre con Derive Approdi, il saggio “Nemici dello Stato”.
Per quel che possiamo, recensiamo e segnaliamo libri di editori indipendenti. Su “Nandropausa”, in questi anni, abbiamo parlato di E/O, Meridiano Zero, ShaKe, Edizioni del Girasole, Nuovi Mondi Media, Sironi, Marcos y Marcos, Rubbettino, La Scimmia, Spartaco, Stampa alternativa, Pequod, Magic Press, Neri Pozza etc. etc.
Dico, che dobbiamo fare più di questo?
Marco, anch’io capisco lo sfogo e condivido. Però, non per essere pignoli: se tu avessi dato una veloce occhiata agli archivi di questo blog (mi rendo conto che è cosa noiosa e che porta via tempo), forse avresti notato che in due anni e passa di vita questi argomenti sono stati affrontati, spesso anche con passionalità estrema nel commentarium…
Il che non significa che non sia bene riproporli. Nel post di ieri, mercoledì, c’è tra l’altro un link all’intervento di Gabriele Pedullà che in parte tocca esattamente questi temi.
Dopodichè, mi sento anche di dire una cosa impopolare: non è che lo status di piccoli editori indipendenti renda automaticamente degni. Molto spesso i piccoli rincorrono trend improbabili peggio dei grandi. E pubblicano autori impubblicabili, pur di fare titoli.
Mi scuso perché probabilmente il mio sfogo mi ha portato a scrivere in modo equivocabile (ed è tutta colpa mia, davvero): non intendevo imputare colpa alcuna ai Wu Ming (sono un loro lettore, iscritto alla mailing list, ricevo Giap e Nandropausa), né a questo blog. Scusate.
Diciamo che il mio era lo sfogo – magari poco razionale – di un ragazzetto con il suo “educatore”. Mettiamola così. Era uno sfogo in famiglia, ok? E’ difficile trovare spazio e, qui, l’ho trovato. Insomma, era un pianto isterico, di chi si rende davvero (o finalmente) conto che, se si vuole solamente sperare di andare avanti, non bastano bravura e serietà, e forse neppure i soldi…
Per finire, Loredana: i piccoli editori sono i primi ad essere criticabili – e nel mio commento l’ho scritto – non solamente perché pubblicano (anche) cose improponibili, ma perché lo fanno, spessissimo, nell’esclusiva volontà di rubare soldi a poveri cristi che sognano di vedere il proprio nome in copertina.
Grazie per la risposta comunque…la Lipperini e i Wu Ming…Uau 😉